Elezioni, Vienna la rossa non tradisce

La capitale austriaca si conferma feudo dei Socialdemocratici che superano il 42%. Crolla l’ultradestra al 7,7%, che perde il 23,1% rispetto a 5 anni fa. Potrebbe essere la fine della carriera politica per Heinz-Christian Strache. Il suo partito, Team H.C. Strache, si ferma al 3,6%.

I Popolari raddoppiano le preferenze rispetto alle passate elezioni del 2015, passando dal 9,2% al 18,8%. A guidare l’ÖVP c’è il Ministro delle Finanze, Gernot Blümel, stretto collaboratore del Cancelliere Sebastian Kurz. Una campagna elettorale tutta spostata a destra, quella di Blümel, che ha puntato a fagocitare i voti dell’FPÖ

C.Jobst/PID

Vero trionfo per il sindaco uscente Michael Ludwig. Con lui il partito socialdemocratico guadagna un consistente 2,2%, riscuotendo ancor più successo rispetto al 2015, quando al comando c’era il suo predecessore Michael Häupl, sindaco della capitale per 24 anni, dal 1994 al 2018. Aver nuovamente superato il 40% rappresenta un traguardo simbolico carico di significato. Nel 2015, infatti, si era temuto il sorpasso da parte dell’ultradestra che spinta da un travolgente Strache era arrivata al 31%, con un partito socialdemocratico al 39,5%. Guadagnano anche i Grünen, + 2,2%, attestandosi al 14%. Lieve crescita, dell’1,7% anche per i NEOS che raggiungono il 7,8%. L’affluenza alle urne è stata del 62,5%. Molti i voti postali a causa della pandemia di coronavirus, che proprio nelle ultime settimane ha visto un consistente aumento dei contagi. Oggi i positivi sono 979, mentre sono 617 i guariti. Proprio per i numerosissimi voti ancora da scrutinare, i risultati definitivi non saranno disponibili prima di martedì. Vienna, città sempre in cima alle classifiche per qualità della vita, dimostra che è possibile arginare una deriva populista se l’amministrazione riesce a dare risposte e ad andare incontro ai bisogni dei cittadini. Analizziamo insieme il successo dell’SPÖ e i motivi della debacle della destra sovranista.  Continua a leggere



Il ballo della destra fa discutere

La stagione dei balli viennesi è nel pieno del suo fitto calendario. Eppure nessuno come l’Akademikerball (Ballo degli Accademici), legato all’FPÖ e all’ambiente delle confraternite universitarie dell’ultradestra, ha lasciato un così lungo strascico di polemiche. Innanzitutto le dimostrazioni organizzate dagli ambienti di sinistra per protesta contro il ballo. Poi il video della polizia, che ha fatto discutere i media austriaci sull’opportunità, o meno di tale documentario postato su YouTube. E ancora la proposta del Ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka di riformare le regole delle manifestazioni di piazza, che ha suscitato clamore e che su qualche quotidiano e secondo alcuni esperti sarebbe stata persino definita incostituzionale. A dire il vero ogni anno, in occasione dell’Akademikerball, si scatenano folle di manifestanti che esprimono dissenso e slogan contro l’FPÖ. Un copione già visto più volte, ma che quest’anno ha raggiunto proporzioni senza precedenti. Per arginare le proteste, con ben tre dimostrazioni previste nello stesso pomeriggio, con la partecipazione di oltre 2.000 dimostranti, il dispiegamento della polizia è stato imponente. 2.800 uomini, arrivati da 6 dei 9 Stati federali austriaci, più una massiccia presenza anche di unità WEGA (Wiener Einsatzgruppe Alarmabteilung), le forze speciali antisommossa.

LPD W/Thomas Cerny

Tantissimi i mezzi e i cellulari muniti anche di computer, tablet e apparecchiature fotografiche, per effettuare controlli ed eventuali procedure di arresto. Un perimetro blindato con transenne e cordoni formati da decine e decine di poliziotti, molti dei quali attrezzati per fronteggiare emergenze, con elmetto e scudo, anche attorno alla Hofburg, il palazzo imperiale, che ospita l’Akademikerball.

L’accesso era consentito solo agli invitati del ballo, ai residenti, ai giornalisti accreditati. Obiettivo: far svolgere le manifestazioni dei contestatori in modo pacifico e ordinato fino al raduno finale a Stephansplatz; consentire al ballo di svolgersi senza difficoltà, facendo arrivare a destinazione i 2.100 invitati; evitare disordini e scontri tra simpatizzanti di opposte fazioni. 

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Moby: un video contro Trump, Hofer e Salvini

L’ultimo video di Moby “Erupt & Matter” è un inno contro tutti i populismi e i loro leader. Compaiono in sequenza da Donald Trump a Kim Jong-un, fino a Norbert Hofer e Matteo Salvini. Poco dopo il rilascio del video scoppia il botta e risposta tra il numero due dell’FPÖ e Moby. Un duello consumato a suon di lettere aperte pubblicate su Facebook. Il video unisce una musica dura e incalzante, a tratti dal ritmo quasi tribale, ad un testo che graffia. Le immagini sono un concentrato di violenza, repressione e dispotismo, di leadership di ieri e di oggi, di mostri del passato e guasconi contemporanei. Vi scorrono veloci dalle proteste anti-Trump, alle parate militari della Corea del Nord, dai comizi di Recep Tayyip Erdogan a quelli di Nigel Farage, mentre Moby & The Void Pacific Choir scandiscono slogan contro le bugie dei politici alla guida di quei movimenti che fanno di razzismo, intolleranza, xenofobia, autoritarismo la loro bandiera.

 

Nel mirino della pop star americana ci sono tutti, anche con accostamenti azzardati. Spiccano i fotogrammi di Benito Mussolini mostrati pochi secondi prima del 45esimo Presidente degli Stati Uniti Trump. Lasciano il segno le parole della canzone scritte in rosso carminio che scorrono impietose sulle immagini del Segretario della Lega Nord Salvini: “Your touch is Death” (il vostro tocco è mortale) compare proprio su di lui, mentre a seguire si vedono manifestanti che brandiscono un cartello con su scritto “Mein Trumpf”, dove Trump è raffigurato con il ghigno e i baffi di Adolf Hitler. Ci va giù pesante Moby, senza guanti di velluto, mostrando il peggio degli archivi recenti: dal Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte che fa il gesto del dito medio, a Donald Trump che si fa beffa di un giornalista disabile in campagna elettorale.

Nel video sono messi sullo stesso piano Bashar al-Assad, Erdogan, Boris Johnson, Marine Le Pen, Geert Wilders, Frauke Petry. E c’è da scommetterci che proprio non deve aver fatto piacere a Norbert Hofer essere preceduto da un dimostrante con la testa rasata che urla minaccioso facendo il saluto fascista. Ecco perché non poteva non esserci un rimpallo via social media tra il politico austriaco e il musicista americano.  Continua a leggere



La colla tiene Hofer sulla poltrona

Elezioni presidenziali austriache: la storia infinita. Democrazia messa a serio rischio dalla colla. Il ballottaggio slitta ancora. Non è uno scherzo, tutta colpa di una colla che non attacca. Dopo il pressappochismo e la faciloneria dimostrati da scrutatori e presidenti di seggio, i voti postali tornano a fare notizia, ad essere la pietra dello scandalo. Stavolta una colla difettosa, poco appiccicosa, è responsabile dello slittamento del ballottaggio che vede fronteggiarsi nuovamente Alexander Van der Bellen e Norbert Hofer. Lo scontro è stato posticipato di altri 2 mesi, non si disputerà più il 2 ottobre, bensì il 4 dicembre. Nell’occhio del ciclone, ancora una volta, i voti postali e le buste che li custodiranno, realizzate con una colla che non fa appieno il proprio dovere: non chiude ermeticamente per un difetto di manifattura. Insomma, non sigilla le buste preposte a contenere le preferenze dei cittadini che votano a distanza, avvalendosi del voto postale, invalidandolo.

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Così il ballottaggio per le presidenziali si tinge di toni farseschi. Tanto che il quotidiano conservatore Die Presse ha titolato: “Republik Banane”, ovvero “La Repubblica delle Banane”. Arrivando a invocare un intervento dell’OSCE e dell’ONU, in mancanza di una democrazia degna di questo nome, che non è in grado di organizzare neppure semplici elezioni.  Continua a leggere



Austria: tutto da rifare! Ballottaggio annullato

Tutto da rifare! Le elezioni presidenziali del 22 maggio scorso saranno ripetute. Una decisione di portata storica. È la prima volta che in Austria viene annullato un ballottaggio. Si voterà di nuovo in autunno, tra fine settembre e inizio ottobre, per scegliere il nuovo Presidente della Repubblica. Così ha deciso la Corte Costituzionale, accettando il ricorso presentato dall’FPÖ di Heinz-Christian Strache.

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Ad annunciarlo il Presidente della Corte Gerhart Holzinger. “Le elezioni sono il fondamento della nostra democrazia -ha detto- e il nostro compito è di garantirne il regolare svolgimento. La sentenza non determina né vincitori, né vinti, ma serve a ristabilire fiducia nelle istituzioni e deve rafforzare il nostro Stato di diritto”. Il Presidente della Corte Holzinger ha anche affermato che nessuna delle deposizioni rilasciate da oltre una novantina di testimoni ascoltati “ha messo in alcun modo in evidenza brogli”.  Continua a leggere



Presidenziali nel caos: si riapre il duello?

Caos in Austria. Prima il duello serrato alle presidenziali vinto per un pugno di voti da Alexander Van der Bellen. Poi il ricorso presentato dal candidato dell’FPÖ Norbert Hofer per presunte irregolarità nel conteggio dei 759.968 voti postali e su una possibile alterazione del risultato elettorale. Ora l’attesa è tutta per il verdetto della Corte Costituzionale (Verfassungsgerichtshof), chiamata a pronunciarsi in merito, per stabilire se ci siano stati brogli. Un verdetto atteso per domani.

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L’Hofburg-gate si ingigantisce di giorno in giorno. Sullo spoglio delle schede emergono pasticci e approssimazione. In alcuni distretti, 6 per l’esattezza, c’è stata la violazione delle procedure: le schede postali sono state scrutinate in anticipo rispetto alle norme previste dalla legge. L’audizione di oltre 67 testimoni, da 20 distretti, che hanno deposto nell’arco di 30 ore davanti ai 14 giudici costituzionali, ha fatto luce su una gestione tutt’altro che precisa e rispettosa delle regole. Le polemiche imperversano sui media. Risultato: la confusione regna sovrana sulla successione della Presidenza della Repubblica austriaca. Van der Bellen si insedierà davvero l’8 luglio all’HofburgContinua a leggere



Prima Brexit, poi Auxit?

Dopo la Brexit è la volta dell’Auxit? O come dicono gli austriaci dell’Öxit? A chiedere l’uscita dell’Austria dall’Ue è l’ex candidato alle presidenziali e vice capo dell’FPÖ, Norbert Hofer. Il temuto effetto domino post Brexit sta forse per trasformarsi in realtà? Hofer sembra essere determinato, il suo appare come un ultimatum. C’è tempo un anno per imprimere all’Ue una svolta diversa, per abbandonare il centralismo e snellire la burocrazia.

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Se l’Unione europea proseguirà verso una deriva sempre più dirigista e centralista, e se la Turchia dovesse davvero entrare a far parte dell’Unione, il numero due del Partito della Libertà propone anche in Austria un referendum analogo a quello inglese, pro o contro l’uscita dall’Ue. Così com’è l’Unione è disegnata male e non funziona, dice Hofer. Se non saranno recuperati i valori fondanti, se non si ridefiniranno gli equilibri, rilancia il numero due dell’FPÖ, occorrerà chiedere agli austriaci se vogliono ancora farne parte.  Continua a leggere



Vienna: Europa à la carte, nella cucina della destra

L’invito al meeting di Vösendorf a tutti i partiti dell’Euro-gruppo della destra, è arrivato dall’FPÖ, il Partito della Libertà, la destra populista austriaca. Uniti dalle comuni posizioni contro Bruxelles e i burocrati dell’Unione europea, in Austria sono accorsi tutti: da Marine Le Pen del Front National francese, a Marcus Pretzell eurodeputato di Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania) e compagno della leader dell’AfD Frauke Petry, da Janice Atkinson, ex-UKIP ora indipendente, a Harald Vilimsky (FPÖ) dell’EFN, la struttura di coordinamento dei partiti della destra europea, ai rappresentanti di Gran Bretagna (UKIP), Italia (Lega Nord), Polonia, Olanda (Parti voor de Vrijheid), Repubblica Ceca, Romania (Noua Dreaptă) e Belgio (Vlaams Belang).

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A fare la parte dei leoni: Marine Le Pen e Heinz-Christian Strache, che sa bene come coinvolgere il suo elettorato e animare la platea di oltre 2.000 persone accorse al centro congressi Pyramide Vösendorf, a 10 km da Vienna, venerdì sera.  Continua a leggere



La destra che si sente centro

La nuova destra austriaca, che ha raggiunto il 49,7% dei voti alle presidenziali, perdendo al fotofinish contro Alexander Van der Bellen, quella che ha il volto pulito e rassicurante di Norbert Hofer, non vuole essere definita destra estrema. Anzi, va oltre, e colloca se stessa al centro, ad occupare quella posizione di centrodestra, che è stata finora appannaggio esclusivo dell’ÖVP. All’indomani dei risultati elettorali lo dicono a chiare lettere sia Hofer, sia Strache: “Noi non siamo un partito di ultra-destra. Non chiamateci più così” hanno più volte ripetuto. Un partito di ultra-destra non avrebbe mai riportato un risultato di simili proporzioni, si sarebbe al contrario fermato appena al 2%, dicono all’unisono. L’FPÖ è una destra moderna, liberale, che si sente di centro, una nuova destra capace di attirare elettori anche tra coloro che non sono simpatizzanti, o dichiarati sostenitori del Partito della Libertà. Una nuova destra che ridefinisce se stessa, si ridisegna in chiave moderata, perché capisce che solo così può attirare anche chi aveva scelto altre formazioni conservatrici, riuscendo a sfondare davvero.

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Quel sorpasso così vicino alle amministrative dello scorso ottobre, così a portata di mano, eppure non ottenuto, sembra essere adesso un’esperienza lontana anni luce. Quello che si è verificato a queste presidenziali segna una nuova fase nella vita politica del Paese, rappresenta un evento di rilevanza epocale e ha riscritto, spazzandola via in poche settimane, l’intera storia politica austriaca. Mai l’Austria, di norma un Paese piuttosto noioso, è stata al centro dell’attenzione del mondo. Mai la politica austriaca è stata così interessante, così avvincente, così importante anche nel possibile ridisegno degli equilibri geopolitici dell’Europa e del mondo.  Continua a leggere



Vittoria per un soffio

L’entusiasmo è alle stelle tra i sostenitori di Alexander Van der Bellen. Si sono dati appuntamento per festeggiare in modo spontaneo al MuseumsQuartier, il cuore pulsante della cultura viennese, un polo museale dove coesistono capolavori del passato e arte contemporanea. La festa dopo una rimonta che ha il sapore del miracolo. Alexander Van der Bellen ce l’ha fatta, è il Presidente della Repubblica austriaca. Una vittoria sul filo di lana: 50,3 a 49,7. Il candidato ecologista vince per una manciata di voti, appena 31.000. Determinanti le preferenze degli elettori giunte per posta. Un testa a testa che ha tenuto tutto il Paese con il fiato sospeso per 24 ore. Tanto c’è voluto per conoscere il risultato delle elezioni. Tanto ha richiesto lo spoglio di quei 885.437 voti, pari al 14%, che hanno fatto la differenza. Secondo il Ministero dell’Interno di questi voti, dopo scorpori e esclusione di schede nulle, ne sono rimasti validi 746.710. Il 61,7 è andato a Van der Bellen, il 38,3 a Hofer. L’acclamazione il lunedì pomeriggio.

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Come si è avuta la certezza di quel risultato è iniziata la festa, quella che non si era potuta celebrare la sera prima. In anticipo sull’ufficializzazione del verdetto delle urne da parte del Ministero dell’Interno, Norbert Hofer, il candidato dell’FPÖ, che fino al mattino sembrava essere in vantaggio, si congratula con l’avversario e gli rende il merito della vittoria.  Continua a leggere