Emirati, ToTok è sicura?

ToTok è davvero un’app insicura? Agli utenti negli Emirati è arrivato uno strano messaggio che mette in guardia sul suo uso. Al tempo stesso ToTok non è più disponibile sul Google Play Store emiratino, mentre continua ad essere bandita dall’Apple Store.

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Al centro di tutto vi sarebbe un’indagine in corso da parte dell’intelligence statunitense. L’ipotesi di accusa: cybercrime. Il sospetto è che nell’app vi siano backdoor o malware capaci di dare illegalmente accesso a dati personali e informazioni sensibili. L’Autorità per le Telecomunicazioni emiratina (Telecommunications Regulatory Authority – TRA), ha assicurato come negli Emirati Arabi Uniti siano in essere tutte le misure necessarie per prevenire ogni violazione della sicurezza e della privacy degli utenti. ToTok è sicura o meno? Vediamo insieme il contenuto del messaggio ricevuto dagli utenti emiratini e le caratteristiche di quella che è diventata una delle app più scaricate negli Stati Uniti e nel mondoContinua a leggere



ToTok, l’app spia degli Emirati?

ToTok, la popolare app per chat in video e voce, è ancora bandita dall’Apple Store. L’accusa, cybercrime. Sarebbe stata usata dagli Emirati per spiare gli utenti. ToTok era popolarissima tra gli espatriati residenti negli UAE, dove non è consentito l’utilizzo di altre app di messaggistica simili, in video, voce e testo, come ad esempio WhatsApp e Skype. Un sistema che non facilita la comunicazione in video e voce con l’estero e che occorrerà sicuramente ripensare, soprattutto in vista di Expo 2020 Dubai.

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ToTok consentiva di poter parlare con protocollo VoIP (Voice over IP), quindi gratis, evitando bollette telefoniche ancor più salate del normale, permettendo di rimanere in contatto, in voce e in video, con parenti e amici in altre zone lontane del mondo. Proprio per questo ToTok era diventata una delle app più scaricate negli Stati Uniti, guadagnando consensi e utenti anche in molti altri Paesi. Attualmente WhatsApp, Skype, Facebook Messenger voce, a cui tutti noi siamo abituati, non funzionano negli Emirati Arabi Uniti, e l’Autorità per le Telecomunicazioni emiratina (Telecommunications Regulatory Authority – TRA), incoraggia all’uso di Botim e C’ME, fornite rispettivamente da Etisalat e Du, ma non su base gratuita  senza limiti. Inizialmente, a ridosso di Natale, il bando aveva coinvolto sia Apple sia Google. Poi, senza troppo clamore, verso la prima metà di gennaio, Google ha reinserito la app su Google Play Store UAE, per poi toglierla nuovamente senza alcuna spiegazione. Il New York Times per primo ha scritto dell’indagine in corso da parte dell’intelligence statunitense. Secondo le autorità americane ToTok sarebbe stata utilizzata per controllare ogni comunicazione scritta e in voce. Il governo emiratino avrebbe spiato e tracciato ogni movimento, contatto, appuntamento, informazione, interscambio di chi aveva scaricato e usato la app. Scopriamo di più sulle presunte accuse e chi vi sia dietro ToTokContinua a leggere



Orban contro gli immigrati

Dopo Vienna nel mirino dei fedelissimi di Viktor Orbán finisce Bruxelles. Sui social media imperversa un secondo video, stavolta girato nel quartiere multietnico di Molenbeek. Protagonista è Tamás Deutsch, parlamentare europeo e membro di spicco di Fidesz, il partito nazionalista conservatore del premier ungherese. I politici vogliono riempire l’Europa di immigrati e non farla essere più degli europei, cristiani, bianchi. Vogliono trasformarla nell’Europa dei jihadisti, dice Deutsch. Immagini che mostrano immigrati musulmani per le strade di Molenbeek, montate con una colonna sonora drammatica. Con tono grave Tamás Deutsch espone la sua visione di un’Europa non più degli europei, ma ormai in mano ad estremisti islamici. Un video postato su Facebook non solo da Deutsch, ma condiviso e pubblicato anche dallo stesso Orbán, che ha contribuito ad infiammare ulteriormente una già accesissima campagna elettorale.

L’Ungheria, infatti, è chiamata a rinnovare il Parlamento il prossimo 8 aprile. Fidesz, il partito del Primo Ministro, viene dato per favorito, ma a fine febbraio ha iniziato a dare segni di cedimento in una tornata elettorale locale nella città di Hodmezovasarhely, roccaforte governativa, dove anche grazie ad un’affluenza del 62,4% l’opposizione è riuscita a far eleggere il proprio candidato. Il tema su cui Fidesz insiste maggiormente sono proprio gli immigrati e la spinosa questione dei rifugiati. Su di loro si impernia l’intera campagna elettorale, sebbene l’Ungheria non abbia accettato la quota di profughi prevista dal piano di ricollocamento dell’Unione europea e non abbia un numero di immigrati elevato. Per Tamás Deutsch la colpa di una massiccia presenza immigrati musulmani provenienti soprattutto dall’Africa a Bruxelles va imputata alla politica di ripopolamento di quartieri come Molenbeek ad opera del socialista Philippe Moureaux, a capo della circoscrizione dal 1992 al 2012, che ha favorito l’afflusso di immigrati, soprattutto da Paesi musulmani, con l’obiettivo di ampliare il proprio bacino elettorale con nuova linfa.

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Una politica dissennata, per Tamás Deutsch, che però ha prodotto solo danni: un deterioramento della pubblica sicurezza, un tasso di disoccupazione pari al 40%, atti di violenza contro le donne sui mezzi pubblici, una sostituzione degli esercizi commerciali e dei negozianti a vantaggio dei nordafricani. Tamás Deutsch vede un nesso diretto tra l’immigrazione illegale e il proliferare di atti terroristici, e ai politici irresponsabili imputa la colpa di aver fatto entrare masse di migranti illegali che pian piano sono diventate sempre più potenti. Vediamo il video postato anche da Viktor Orban e cerchiamo di analizzare gli altri temi su cui si concentra la campagna elettorale unghereseContinua a leggere



2018, l’anno dell’odio

Asel è la prima neonata del 2018 a Vienna. La sua mamma indossa l’hijab. Proprio il velo islamico ha scatenato sui social media un’ondata di insulti da parte di hater inferociti, coloro che in rete, celandosi dietro una tastiera, dispensano minacce, offese e commenti razzisti. Asel è stata data alla luce il primo gennaio, 47 minuti dopo la mezzanotte. Dopo appena 24 ore la sua storia è rimbalzata dai media austriaci a quelli di tutto il mondo. Anche il New York Times ha pubblicato un articolo sulla prima bambina viennese del 2018, perché la notizia della nascita della piccola Asel su Facebook si è trasformata immediatamente da momento di gioia in una delle più tristi pagine di intolleranza e odio degli ultimi tempi. Un sintomo evidente delle forti pulsioni xenofobe, sempre più radicate in Austria.

KAV / Votava

La foto che ritrae la bambina poco dopo il parto, assieme ai suoi genitori all’ospedale Rudolfstiftung, genera una marea incontenibile di odio, che spazza via la felicità legata all’arrivo di un nuovo nato e squarcia l’abisso di una società, quella austriaca, che dietro una facciata rispettabile cela razzismo, ferocia, disprezzo per il diverso. Ad essere sommerso di commenti offensivi e verbalmente violenti è soprattutto l’articolo pubblicato dal quotidiano Heute. Parole durissime, traboccanti di livore e violenza. A riportare alcuni dei commenti scritti da leoni da tastiera e odiatori del web è stato il sito Netpeace, una ONG creata nel 2017 da Greenpeace. Un movimento di pace su internet che vuole combattere l’odio in rete. Vediamo insieme alcune delle frasi degli hater e scopriamo qualche dettaglio in più sulla prima bambina viennese del 2018 e sulla sua famigliaContinua a leggere



Scandali, Facebook, dark post

Le elezioni austriache del prossimo 15 ottobre saranno le più incerte di sempre. Scandali, Facebook e dark post gli ingredienti dell’infuocata campagna elettorale. Appare difficile che un singolo partito possa ottenere una maggioranza netta che gli consenta di governare da solo. Sarà necessario dare vita a una coalizione e le combinazioni non sono infinite. La più probabile è una coalizione nero-blu, tra Partito Popolare e Partito della Libertà, anche perché lo scandalo del cosiddetto “caso Silberstein” ha colpito duramente i Socialdemocratici, gettando ombre sulla dirigenza del partito. L’affaire Silberstein, vede protagonista l’ex consulente dell’SPÖ Tal Silberstein, che avrebbe destinato parte del compenso per la sua attività di consulenza per foraggiare alcuni siti che hanno fatto su Facebook un’acerrima campagna per screditare il leader dei Popolari Sebastian Kurz, dato in vantaggio da tutti i sondaggi.

Pagine Facebook che avrebbero usato metodi scorretti, commenti anti-semiti, un linguaggio molto pesante per ordire una campagna demolitoria nei confronti del Wunderwuzzi, il jolly tuttofare, l’uomo nuovo del nuovo ÖVP. Questa “dirty campaigning”, questa campagna elettorale che gioca sporco, è avvenuta senza che il Partito Socialdemocratico ne sapesse nulla, soprattutto a totale insaputa del Cancelliere Christian Kern, che pure dei Socialdemocratici è il leader. Estraneità dei vertici dell’SPÖ più volte ribadita anche da Silberstein e dal suo stretto collaboratore Peter Puller. Emergono però inquietanti particolari: l’ÖVP avrebbe offerto 100.000 euro a Peter Puller perché svelasse particolari riguardo alla campagna elettorale e alle strategie dei Socialdemocratici e avrebbe anche brigato per assoldarlo come informatore. Il Partito Popolare nega le accuse, sul fronte opposto il Partito Socialdemocratico quantifica i danni economici in 131.250 euro, mentre quelli politici sembrano al momento incalcolabili. Cerchiamo di capire meglio tutti i contorni dell’intricatissimo “affaire Silberstein”, che il Partito socialdemocratico potrebbe pagare a caro prezzo, con una debacle elettoraleContinua a leggere



Troll a lezione da Terminator

Nell’era dei social media imperversano troll e leoni da tastiera. Quello che se l’è vista con Arnold Schwarzenegger su Facebook, però, è stato “terminato” come solo lui, Terminator, sa fare. Il troll aveva scritto un commento sgradevole contro Schwarzy che aveva postato un video nel quale appariva assieme ad alcuni degli atleti vincitori ai Giochi Mondiali Paralimpici Invernali di Graz, in Austria. L’attore e politico austriaco, naturalizzato statunitense, sempre molto legato al suo Paese d’origine, si congratulava con i campioni paralimpici protagonisti a Graz, esprimendo loro i suoi più sentiti complimenti: “These guys inspire me!”, “Questi ragazzi sono fonte di ammirazione per me!”. Un post che aveva riscosso migliaia di consensi, ma anche qualche pessimo commento, come quello incriminato. Il troll non è stato bloccato e la sua osservazione offensiva non è stata cancellata, come avviene in genere con gli aggressivi e arroganti leoni da tastiera. Stavolta Terminator ha preferito liquidarlo con frasi lapidarie e qualche consiglio amichevole. Una tattica che gli è valsa il plauso della rete e che forse si è dimostrata più efficace di qualsiasi funzione “ban” o “delete”, disponibile nel sistema creato da Mark Zuckerberg. Un approccio educativo, che apparentemente stride con il personaggio di Terminator, il cyborg spietato interpretato dalla star di Hollywood, ma che lo ha fatto diventare, in questi giorni, eroe della rete. Il commento e la replica dell’ex governatore della California sono diventati virali e hanno avuto migliaia e migliaia di condivisioni sul web.

Il troll aveva scritto parole offensive, insinuando che i giochi paralimpici non abbiano senso, infarcendo il suo commento di epiteti sgradevoli. Invece di ingaggiare uno scontro, o di bloccare l’utente, o di eliminare il commento infelice e inopportuno, Arnold Schwarzenegger ha optato per un più magnanimo atteggiamento di tipo didattico. “As stupid and evil as this comment is I’m not going to delete it or ban you (yet) because it is a teachable moment”. “Anche se il commento è stupido e malevolo, non lo cancellerò, né ti bloccherò (per ora), perché può essere lo spunto per un insegnamento”, ha dichiarato un insolitamente affabile Schwarzy. Così dopo aver assestato un primo colpo, sferrato con non troppa veemenza, l’implacabile Terminator si prepara all’affondo finale, preludio dell’inevitabile KOContinua a leggere



Il sosia di Hitler beve acqua austriaca

Lo hanno soprannominato “Hitler-Doppelgänger”, il sosia di Hitler, ed è stato arrestato dalla polizia in Alta Austria, dopo giorni di caccia all’uomo. Ha 25 anni ed è stato catturato a Braunau am Inn, città dove il Führer nacque il 20 aprile del 1889 e dove era stato avvistato parecchie volte negli ultimi giorni. La somiglianza è tutta giocata sulla stessa pettinatura, con la riga da una parte, gli stessi caratteristici baffi e sull’uso di abiti che ricordano la divisa nazista. La polizia austriaca è venuta a conoscenza del sosia grazie a una serie di foto circolate su Facebook, che ritraggono il giovane con indosso una sorta di divisa, o con un loden, o anche con i Lederhosen, i tipici pantaloni di pelle tirolesi. Quando i poliziotti lo hanno individuato e arrestato, il 25enne non ha opposto alcuna resistenza. Molti i testimoni che lo avevano visto aggirarsi nei paraggi della casa dove Adolf Hitler ha trascorso la sua infanzia. Alcune settimane fa era stata segnalata la presenza della copia di Hitler a Vienna e a Graz, ma sembra che il giovane si fosse spostato in Alta Austria a partire dalla metà di gennaio.

“Apparentemente sembra glorificare il regime nazista e il Führer” ha dichiarato David Furtner, portavoce della Polizia dell’Alta Austria alla stampa. L’apologia del nazismo, mostrarne i simboli e promuoverne l’ideologia, è un reato per la giustizia austriaca, secondo quanto prevede una legge costituzionale (Verbotsgesetz) in vigore dal 1947. Un reato punibile con la reclusione, da uno a dieci anni. Il 25enne sembra che si facesse chiamare “Harald Hitler” e che si fosse fatto notare, oltre che per il suo aspetto, anche per aver insistito affinché gli venisse servita al bar “acqua minerale austriaca”. La notizia della cattura del clone di Hitler ha avuto molta eco sui media austriaci, dove nelle scorse settimane si è anche dato spazio all’incerto destino che attende la casa natale del dittatore nazista, al centro di una lunga vicenda giudiziaria.  Continua a leggere



La primavera di Bucarest e le sue voci

L’enorme spazio antistante il palazzo sede del Governo, Piata Victoriei, continua ad essere gremito di persone, che si riuniscono lì ogni sera. Sono scesi a migliaia in piazza contro la corruzione. Più di mezzo milione, forse addirittura 600.000 persone in tutte le principali città della Romania. Domenica sera erano in più di 250.000 a Bucarest per chiedere le dimissioni del governo e nuove elezioni. C’è chi l’ha già definita la primavera romena. Un’immensa folla, come non si vedeva dalla caduta del comunismo nel 1989. La protesta va avanti. Ieri c’erano 25.000 persone, ma era una serata freddissima e ventosa, e poi sono sette notti di seguito che i dimostranti si radunano. Nuovi assembramenti e manifestazioni davanti alla sede dell’esecutivo sono previsti nei prossimi giorni e una grande dimostrazione, dove sono attese migliaia di persone, dovrebbe tenersi da giovedì a sabato a Piata Victoriei: Toata La Romania Vine La Bucuresti.

Una moltitudine di manifestanti ha incalzato il governo per giorni, perché quel decreto, l’ordinanza numero 13, che avrebbe agito come un colpo di spugna su alcuni reati di corruzione venisse ritirato. Il braccio di ferro è durato per molte notti. Poi, sabato sera, l’annuncio del Primo Ministro Sorin Grindeanu e la convocazione straordinaria del Parlamento domenica, per annullare il decreto. Lo abbiamo fatto per non dividere il Paese, ha detto il Premier.

Ma quelle migliaia di dimostranti non si fidano e il ritiro del decreto salva corrotti non basta più. Vogliono far sentire la loro voce, vogliono che il governo si dimetta, e l’ala più radicale vuole tornare a votare.  Continua a leggere



Moby: un video contro Trump, Hofer e Salvini

L’ultimo video di Moby “Erupt & Matter” è un inno contro tutti i populismi e i loro leader. Compaiono in sequenza da Donald Trump a Kim Jong-un, fino a Norbert Hofer e Matteo Salvini. Poco dopo il rilascio del video scoppia il botta e risposta tra il numero due dell’FPÖ e Moby. Un duello consumato a suon di lettere aperte pubblicate su Facebook. Il video unisce una musica dura e incalzante, a tratti dal ritmo quasi tribale, ad un testo che graffia. Le immagini sono un concentrato di violenza, repressione e dispotismo, di leadership di ieri e di oggi, di mostri del passato e guasconi contemporanei. Vi scorrono veloci dalle proteste anti-Trump, alle parate militari della Corea del Nord, dai comizi di Recep Tayyip Erdogan a quelli di Nigel Farage, mentre Moby & The Void Pacific Choir scandiscono slogan contro le bugie dei politici alla guida di quei movimenti che fanno di razzismo, intolleranza, xenofobia, autoritarismo la loro bandiera.

 

Nel mirino della pop star americana ci sono tutti, anche con accostamenti azzardati. Spiccano i fotogrammi di Benito Mussolini mostrati pochi secondi prima del 45esimo Presidente degli Stati Uniti Trump. Lasciano il segno le parole della canzone scritte in rosso carminio che scorrono impietose sulle immagini del Segretario della Lega Nord Salvini: “Your touch is Death” (il vostro tocco è mortale) compare proprio su di lui, mentre a seguire si vedono manifestanti che brandiscono un cartello con su scritto “Mein Trumpf”, dove Trump è raffigurato con il ghigno e i baffi di Adolf Hitler. Ci va giù pesante Moby, senza guanti di velluto, mostrando il peggio degli archivi recenti: dal Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte che fa il gesto del dito medio, a Donald Trump che si fa beffa di un giornalista disabile in campagna elettorale.

Nel video sono messi sullo stesso piano Bashar al-Assad, Erdogan, Boris Johnson, Marine Le Pen, Geert Wilders, Frauke Petry. E c’è da scommetterci che proprio non deve aver fatto piacere a Norbert Hofer essere preceduto da un dimostrante con la testa rasata che urla minaccioso facendo il saluto fascista. Ecco perché non poteva non esserci un rimpallo via social media tra il politico austriaco e il musicista americano.  Continua a leggere



Donne in marcia anche a Vienna

Due milioni e mezzo di donne hanno partecipato alla Women’s March (La marcia delle donne) in tutto il mondo. Mezzo milione solo a Washington. A Vienna, a marciare per le strade del centro storico, c’erano oltre 2.500 donne. Un fenomeno la Women’s March, che pian piano si è allargato a macchia d’olio, fino a coinvolgere 60 Paesi, con altrettante marce organizzate in oltre 100 città, il giorno successivo all’insediamento del 45esimo Presidente degli Stati Uniti. Vi sono state dimostrazioni a Washington, Londra, Parigi, Roma, Milano, Berlino, Bruxelles, Ginevra, Copenhagen, Praga, ma anche in Australia, Nuova Zelanda, Kenya, Perù. La pacifica marea rosa ha invaso anche il centro di Vienna, con una partecipazione massiccia, al di là di ogni aspettativa. Ad organizzare la Women’s March viennese è stata Caroline Kirkpatrick, nata nella East Coast americana, ma attualmente residente nella capitale austriaca. Dopo aver lanciato la sua idea su Facebook, nel gruppo Women of Vienna, e aver ricevuto risposte entusiaste e ampio sostegno, la Kirkpatrick ha deciso di dare vita all’iniziativa viennese. “Tutto è cominciato così, dalla mia frustrazione nel non poter partecipare alla marcia di Washington -ha raccontato in un’intervista rilasciata al quotidiano online The Local Austria Caroline Kirkpatrick- Un modo per rispondere all’ascesa di quella retorica populista di estrema destra, che si sta diffondendo nel mondo”. Da lì la creazione della pagina Facebook dell’evento, il coordinamento a livello globale con tutti gli altri Paesi coinvolti e poi, vista l’incredibile pioggia di consensi, la marcia nel mondo reale, che ha avuto luogo sabato alle 12:00 a Karlsplatz. Punto di partenza davanti alla chiesa Karlskirche, per poi snodarsi per le vie del centro, fino a raggiungere il polmone verde di Stadtpark. Si attendevano 700 persone, che avevano dato la loro adesione attraverso i social media, ma alla fine l’affluenza è stata straordinaria, a manifestare erano almeno 2.500, secondo i dati diffusi dalla Polizia. Molte più del previsto, che hanno sfidato le temperature rigide che da giorni stringono in una morsa di gelo siberiano la capitale austriaca.

 

La Women’s March non era solo una protesta di genere, ma un evento aperto a tutti, infatti a Vienna erano presenti anche molti uomini. E non si manifestava solo contro il Presidente Donald Trump, ma anche contro ogni tipo di discriminazione, perché non vengano calpestati i diritti civili così faticosamente conquistati.  Continua a leggere