Emirati, più di 1 milione di test

Sono 1 milione 122mila i test per COVID-19 eseguiti negli Emirati, uno dei Paesi al mondo con il maggior numero di tamponi effettuati in rapporto alla popolazione. L’1% delle persone controllate è risultato positivo. Uno screening importante, soprattutto per identificare i casi asintomatici. Una procedura resa semplice attraverso ospedali, ambulatori, centri specialistici, laboratori diagnostici e 14 centri drive through distribuiti sul territorio federale. A queste strutture sanitarie si aggiunge anche un servizio a domicilio, lanciato da pochi giorni a Dubai, pensato per anziani, malati cronici e immunodepressi. Con 113.000 test per milione di abitanti, uno dei valori più alti del mondo (l’Italia si posiziona subito dopo), gli Emirati Arabi Uniti stanno mappando il diffondersi del coronavirus nel Paese, riuscendo ad isolare in modo tempestivo i casi positivi, contenendo i contagi.

Attualmente i casi confermati di COVID-19 sono 11.929, 98 i decessi, 2.329 le persone guarite. “Naturalmente, con l’aumentare dei test effettuati, cresce il numero dei casi positivi. Ma ciò indica che siamo sulla strada giusta per contenere il diffondersi del coronavirus” afferma il Ministro della Salute Abdul Rahman bin Mohammed Al-Owais, intervistato dai media locali. Per analizzare la situazione è stato creato ad Abu Dhabi un enorme laboratorio, il più grande del mondo escludendo la Cina, che elaborerà i dati provenienti da tutto il territorio nazionale. Ci sono voluti 14 giorni per costruirlo e dotarlo di tutti gli equipaggiamenti più avanzati nel campo della diagnostica. Una struttura che sarà fondamentale per vincere la battaglia contro il COVID-19. Il governo emiratino e i medici invitano cittadini e residenti ad utilizzare anche AL HOSN UAE, una app di tracciamento che monitora le interazioni via Bluetooth e aiuta le autorità a capire chi sia venuto in contatto con individui positivi al coronavirus. Scopriamo di più sul servizio di test a domicilio e sulla app che traccia i contatti. Continua a leggere

ToTok, l’app spia degli Emirati?

ToTok, la popolare app per chat in video e voce, è ancora bandita dall’Apple Store. L’accusa, cybercrime. Sarebbe stata usata dagli Emirati per spiare gli utenti. ToTok era popolarissima tra gli espatriati residenti negli UAE, dove non è consentito l’utilizzo di altre app di messaggistica simili, in video, voce e testo, come ad esempio WhatsApp e Skype. Un sistema che non facilita la comunicazione in video e voce con l’estero e che occorrerà sicuramente ripensare, soprattutto in vista di Expo 2020 Dubai.

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ToTok consentiva di poter parlare con protocollo VoIP (Voice over IP), quindi gratis, evitando bollette telefoniche ancor più salate del normale, permettendo di rimanere in contatto, in voce e in video, con parenti e amici in altre zone lontane del mondo. Proprio per questo ToTok era diventata una delle app più scaricate negli Stati Uniti, guadagnando consensi e utenti anche in molti altri Paesi. Attualmente WhatsApp, Skype, Facebook Messenger voce, a cui tutti noi siamo abituati, non funzionano negli Emirati Arabi Uniti, e l’Autorità per le Telecomunicazioni emiratina (Telecommunications Regulatory Authority – TRA), incoraggia all’uso di Botim e C’ME, fornite rispettivamente da Etisalat e Du, ma non su base gratuita  senza limiti. Inizialmente, a ridosso di Natale, il bando aveva coinvolto sia Apple sia Google. Poi, senza troppo clamore, verso la prima metà di gennaio, Google ha reinserito la app su Google Play Store UAE, per poi toglierla nuovamente senza alcuna spiegazione. Il New York Times per primo ha scritto dell’indagine in corso da parte dell’intelligence statunitense. Secondo le autorità americane ToTok sarebbe stata utilizzata per controllare ogni comunicazione scritta e in voce. Il governo emiratino avrebbe spiato e tracciato ogni movimento, contatto, appuntamento, informazione, interscambio di chi aveva scaricato e usato la app. Scopriamo di più sulle presunte accuse e chi vi sia dietro ToTokContinua a leggere

Sit-in all’Apple Store

L’Apple Store sbarca finalmente a Vienna, con un variopinto contorno di manifestazioni di protesta. Il punto vendita, nella centralissima via pedonale Kärtner Straße, tra il Duomo e l’Opera, è stato inaugurato sabato. Un evento in bilico tra mondanità e contestazione, tra happening e sit-in. Il freddo polare non ha impedito il formarsi di lunghe code di appassionati dei prodotti del colosso di Cupertino, che si sono accalcati per non perdere l’occasione di entrare per primi nel negozio più di tendenza del nostro tempo.

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Ai fan della Apple l’opportunità di provare tutti i nuovi prodotti, tra cui l’iPhone X. In una città che finora aveva solo pochi premium reseller, si è trattato di un evento epocale, che ha inserito a pieno titolo la capitale austriaca nel circuito delle grandi capitali europee.

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A Vienna, però, convivono molte anime, in netto contrasto tra loro. Ecco perché anche in un’occasione di pura evasione a sfondo commerciale, non sono mancate vibrate manifestazioni di dissenso da parte di rappresentanti di varie ONG. L’associazione Südwind ha inscenato scenografiche dimostrazioni per chiedere migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche dove vengono prodotti i device della Apple. La ONG Attac, invece, ha protestato perché entrino in vigore sistemi di tassazione più severi nei confronti delle multinazionali. L’Austria esce quindi dai Paesi negletti, non considerati strategicamente utili per il proprio business dalla Apple, che finora aveva preferito aprire punti vendita in Italia, Germania e Svizzera. Scopriamo insieme altre curiosità legate all’apertura dell’Apple Store vienneseContinua a leggere

Vienna, 16enne crea emoji con hijab

Rayouf Alhumedhi ha 16 anni e vive a Vienna. È lei che ha creato l’emoji con l’hijab, la sciarpa con cui le donne islamiche si coprono testa e spalle, lasciando libero il volto. È una brillante studentessa di liceo, originaria dell’Arabia Saudita, è musulmana e indossa l’hijab. Grazie a Rayouf la Apple ha introdotto l’emoticon con il velo islamico tra le tante che già affollano gli smartphone, sia iPhone, sia Android.

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Un’impresa così straordinaria che le è valsa l’inserimento da parte del magazine americano Time nella classifica dei 30 teenager più influenti del pianeta del 2017.

Vienna International School / Rayouf Alhumedhi

“Cercavo un emoji che mi rappresentasse, cercavo un’immagine di me” racconta Rayouf ai media austriaci, un’immagine che però non riusciva a trovare tra i tanti simboli pittografici. Così è nata l’idea di contattare sia la Apple, sia l’Unicode Consortium, che stabilisce gli standard degli emoji. Rayouf ha detto che “Questo è un primo passo per celebrare la diversità e per accettare l’Islam nella società” aggiungendo che per lei indossare l’hijab è “importante per la sua identità”. Scopriamo di più su questa straordinaria ragazzina e sulle emoticon. Continua a leggere