La prima volta che ho incontrato Ai Weiwei stavo andando a vedere F Lotus, l’installazione dei giubbotti salvagente trasformati in loti galleggianti. Il caso ha voluto che ci trovassimo proprio in quel momento. Era assieme alla sua famiglia e al suo staff. Mi sono presentata, ci siamo salutati con un lieve inchino, accennando un sorriso. Volevo chiedergli se potevo fotografarlo, anche se eravamo distanti qualche centinaio di metri dalla sua opera. Lui sorride, poi gentilmente mi prende di mano l’Iphone, mi viene vicino, si mette in posa con il suo solito sguardo curioso, vivace e scatta più volte per essere sicuro di catturare al meglio l’istante. Poche parole, ma tanta grazia e poesia in quell’incontro. Lo ringrazio, gli dico che ci vedremo ancora il giorno dopo per il vernissage della sua personale viennese Translocation – Transformation. Poi mi dirigo verso il laghetto del Belvedere.
Così un’afosa giornata di luglio, dal tempo incerto, si trasforma in un evento memorabile. Anch’io come il grande artista cinese sono un’appassionata di social media. Entusiasta per l’incontro fortuito, pubblico immediatamente lo scatto ovunque: su Facebook, Instagram e Twitter. Si tratta di questo selfie che vedete. Una foto d’artista, un’opera d’arte essa stessa, perché a scattarlo è stato Ai Weiwei. E artistici siamo entrambi, ritratti in quell’attimo. Lui che ha fatto di se stesso un’icona, un’opera d’arte vivente, un manifesto della sua idea di arte che lasci un segno nella società, che aiuti a cambiare il mondo, rendendolo un posto migliore; io che di lui sto scrivendo. Per me un incontro che ha il sapore dell’unicità. Per Ai solo uno dei mille volti, che smemoreranno in un tempo breve. Continua a leggere→