Bahrain-Israele, nuova era di pace

Gli Emirati sono stati i primi a normalizzare i rapporti con Israele. Adesso è la volta del Bahrain. Manama annuncia l’avvio delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv. “È l’inizio di una nuova era di pace”, ha commentato a caldo il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. La decisione del re Hamad bin Isa Al Khalifa contribuisce alla sicurezza e alla stabilità del Medio Oriente ed è stata presa nell’interesse del regno, in piena autonomia, fanno sapere fonti vicine al sovrano bahreinita, sebbene sia avvenuta con la mediazione degli Stati Uniti

La formalizzazione dei rapporti tra i due Paesi avverrà il 15 settembre alla Casa Bianca, in concomitanza con la firma dell’Abraham Accord (Accordo di Abramo), la storica intesa tra Emirati Arabi Uniti e Israele annunciata lo scorso 13 agosto. Il Ministro degli Esteri del Bahrain, Abdullatif bin Rashid Al Zayani, ritiene che la pace appena siglata sia importante e possa favorire la fine nel conflitto israelo-palestinese, salvaguardando al tempo stesso i diritti del popolo palestinese. Anche l’Oman ha salutato con favore la posizione del Bahrain, secondo Paese del Golfo Arabico ad aver allacciato rapporti diplomatici con Israele. Il sultanato, tra quei Paesi che potrebbero presto procedere alla normalizzazione delle relazioni con lo stato ebraico, si dice sicuro che questo sia un passo fondamentale per la costruzione della pace nella regione. E che l’Oman abbia da tempo optato per una linea di apertura lo dimostra anche la visita di Netanyahu al sultano Qaboos bin Said nel 2018, un incontro mai avvenuto negli ultimi 20 anni. Plauso per la decisione del Bahrain è stato espresso anche dalle autorità emiratine che con il loro accordo hanno dato un contributo decisivo ad un nuovo clima di distensione. Vediamo insieme i punti strategici per il raggiungimento della pace nella regione mediorientale e la posizione assunta dall’Iran. 

Annessione territori di West Bank sospesa?

L’Abraham Accord stabilito con gli Emirati Arabi Uniti, che ha fatto da apripista alla nuova strategia dei Paesi del Golfo, è la sospensione da parte degli israeliani del piano di annessione di porzioni dei territori occupati di West Bank (Cisgiordania), ovvero gli insediamenti creati dai coloni israeliani dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Proprio questo sembra essere un punto, mantenuto volutamente vago, al quale ogni Paese coinvolto sembra dare una diversa interpretazione. Da un lato Netanyahu dichiara l’attuale accantonamento dell’annessione, fortemente voluta dalla destra israeliana, non l’abbandono definitivo.

Sebbene sia un piano irrealizzabile nel breve e medio termine, perché non trova neppure l’appoggio statunitense, l’annessione diventa merce di scambio per il Primo Ministro israeliano, per evidenti fini interni, facendo apparire la rinuncia ad essa utile per ottenere traguardi più importanti, come l’avvio di relazioni diplomatiche con gli Emirati, la seconda economia e il secondo Paese più influente del Golfo Arabico e una delle maggiori potenze del Medio Oriente. Dall’altro lato gli emiratini avevano assoluto bisogno di questa sospensione, da essi definita come un congelamento del piano di annessione, per non tradire la causa palestinese. Non si deve dimenticare che la posizione della Lega Araba ad oggi prevede che la normalizzazione dei rapporti con Israele possa avvenire solo dopo il ritiro del personale militare e civile dalle aree occupate a West Bank.

Una normalizzazione de facto, sommersa

Nei fatti l’Abraham Accord sancisce un processo avviato già da tempo, ma mantenuto nascosto. Di queste relazioni, ampiamente esistenti in modo sommerso, sono trapelati indizi soprattutto negli ultimi mesi, però tra Emirati Arabi Uniti e Israele, i rapporti andavano avanti da molti anni. Un lento e graduale avvicinamento, culminato nell’accordo del 13 agosto scorso, che affonda le proprie radici nel tempo. Una prima formalizzazione dei rapporti si era avuta nell’aprile 2019, quando Netanyahu aveva annunciato la partecipazione ad Expo 2020 Dubai, confermandola poi a dicembre 2019.

Ma già da parecchio tempo prima Emirati e Israele avevano scambi e incontri, tenuti sempre segreti. Infatti, gli interessi israeliani all’interno dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA – International Renewable Energy Agency) con sede ad Abu Dhabi, istituita nel 2009 e diventata operativa nel 2010, vengono portati avanti in maniera continuativa con l’invio di delegazioni, sebbene mai attraverso canali ufficiali. Il volo commerciale diretto da Abu Dhabi a Tel Aviv, con aiuti umanitari delle Nazioni Unite destinati ai palestinesi, del 20 maggio scorso, ha segnato un’altra tappa importante. La partnership medico-scientifica anti-covid di fine giugno ha sancito un ulteriore passo verso l’ufficializzazione di una normalizzazione de facto già attuata.

L’Arabia Saudita resta a guardare?

Perché l’Arabia Saudita, il migliore e più potente alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, e Paese molto vicino agli Emirati, rimane attendista? Riyad ha più di un motivo per restare in disparte, dalla resistenza interna dei settori religiosi più conservatori che condizionano ancora molto le decisioni della casa reale, alle possibili ritorsioni iraniane. Il sabotaggio con i droni di alcune infrastrutture petrolifere saudite nel maggio 2019 mostrano le vulnerabilità del regno e l’impossibilità della famiglia reale ad esporsi, quanto meno in questa fase iniziale. Stabilire rapporti diplomatici con Israele è invece più semplice per gli Emirati Arabi Uniti che, al contrario dell’Arabia Saudita, non temono eccessivamente le reazioni di Tehran. Infatti da tempo Dubai fa affari con imprese iraniane, intrecciando scambi commerciali e finanziari piuttosto intensi.

Voli commerciali al via

Altro episodio che ha sancito l’avvento di una nuova era per la regione mediorientale è stato il primo volo commerciale diretto Tel Aviv-Abu Dhabi, lo scorso 31 agosto. Un avvenimento epocale, che ha avuto la benedizione degli Stati Uniti, con la presenza di Jared Kushner, Senior Advisor alla Casa Bianca e genero del Presidente Donald Trump. Gli Emirati Arabi Uniti e Israele sono due tra i Paesi più avanzati e innovativi della regione. Molte le possibilità di cooperazione, dalla ricerca tecnico-scientifica alla medicina, dal commercio al turismo. Enorme il potenziale di tali collaborazioni. E che si punti a legami sempre più stretti lo testimonierebbero i 4 voli al giorno Dubai-Tel Aviv che la compagnia Emirates starebbe per programmare entro breve.

Iran, tensioni sullo Stretto di Hormuz?

Di fronte ai cambiamenti di portata storica nelle relazioni diplomatiche tra i Paesi del Golfo ed Israele, l’Iran non resta immobile a guardare, anzi fa di tutto per far crescere le tensioni nello Stretto di Hormuz. Forte delle trattative in corso con la Cina per un accordo che potrebbe dare a Pechino la possibilità di utilizzare i porti iraniani, ridisegnando i confini geopolitici dell’intera regione. Grazie alla presenza cinese Tehran potrebbe mostrare i muscoli per intimidire i Paesi vicini nel corso delle esercitazioni militari previste tra questo e il prossimo mese. Sullo sfondo le elezioni presidenziali americane, con la possibile rielezione di Trump, o l’eventualità di una vittoria di Biden. E poi i rapporti tra Stati Uniti e Cina che dopo il deterioramento dei mesi passati sembrano attraversare una fase di stallo. Se il clima dovesse diventare incandescente a farne le spese sarebbero quei Paesi dell’area che hanno governi deboli, come Iraq e Libano. Anche la Russia potrebbe risentire di eventuali attriti nella regione, avendo accresciuto i suoi interessi in Siria, ancora dilaniata dalla guerra. Se esistono motivi di scontro tra Stati Uniti, Cina e Iran, non è da escludere che si creino scintille tra Ue, con in testa la Germania, e Russia. Le sanzioni sembrano lo spettro che si agita in un caso e nell’altro, mentre il Medio Oriente sembra essere sempre decisivo per determinare gli equilibri geopolitici mondiali.