Burj Al Arab, arte sul tetto del mondo

La mostra dell’artista Sacha Jafri sull’eliporto del Burj Al Arab celebra i 50 anni della Convenzione per la Protezione del Patrimonio mondiale dell’UNESCO.  “È la prima mostra sull’eliporto del Burj Al Arab e spero che sia la prima di tante altre iniziative legate al mondo dell’arte -mi spiega Ermanno Zanini, Direttore e General Manager del Burj Al Arab-  Ci piace l’idea di inserire iniziative di tipo artistico e culturale all’interno di una struttura così iconica che è una sorta di opera d’arte e che sicuramente già lo è sotto il profilo architettonico”. Un’esposizione davvero particolare, “The Art Maze”, che ha la caratteristica di essere itinerante, toccherà 18 Paesi diversi per concludersi a novembre, con festeggiamenti di gala a Parigi, nel quartier generale dell’UNESCO. L’artista britannico Sacha Jafri è molto impegnato nel sociale e non è nuovo a iniziative che abbiano valenza umanitaria. Durante la pandemia ha prodotto il dipinto su tela più grande del mondo, opera che ha creato nel corso di 7 mesi durante il lockdown. In questo caso Jafri ha realizzato 30 opere, dipinti a olio e acrilico su tela, che riproducono alcuni dei luoghi culturali e naturali dichiarati patrimonio dell’umanità. “È un lavoro che è durato un anno. L’UNESCO mi ha commissionato 30 opere per il suo 50esimo anniversario dell’iniziativa dei siti patrimonio dell’umanità -mi racconta Sacha Jafri mentre siamo seduti in cima al Burj Al Arab, su un divano posto proprio sotto l’eliporto- Realizzerò un totale di 50 opere per quando avverranno i festeggiamenti a Parigi. Ci sarà un’ampia presenza internazionale e per me è davvero un grandissimo onore”.

A dire il vero le opere che sono esposte su strutture di ferro in cima all’eliporto del grattacielo più iconico di Dubai assieme al Burj Khalifa, sono state create in un arco di tempo molto più breve. “Un progetto al quale ho lavorato un anno, sebbene abbia realizzato le 30 opere in 6 settimane. Ho dipinto per 22 ore al giorno, dormendo solo due ore per notte e ho perso 14 chili -mi dice Sacha Jafri- Ho dovuto proiettare me stesso in ogni luogo che ho dipinto perché volevo riuscire a catturare l’anima di ciascun sito, volevo catturarne l’essenza. Inoltre, mi interessava far emergere la relazione tra l’essere umano e l’ambiente e il modo in cui è possibile riconnettere l’umanità attraverso questo progetto”. Scopriamo di più sulla mostra, sull’artista Sacha Jafri e sul Burj Al Arab che sarà protagonista di tante nuove iniziative artistiche e culturali. 

Riconnettere il genere umano grazie all’arte

“The Art Maze” farà tappa anche a Roma, arriverà in Egitto, sulla cima delle piramidi, si sposterà in India, di fronte al Taj Mahal ad Agra, per poi giungere a Parigi. “Credo che riconnettere l’umanità sia possibile anche attraverso questo progetto. Molto può essere raggiunto, tutto sta nel comprendere il nostro viaggio antropologico, capire come riconnetterci nuovamente con l’anima della Terra. Quale modo migliore per farlo se non attraverso i siti protetti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità” sottolinea Sacha Jafri. I siti che l’UNESCO preserva sono vari, da luoghi costruiti dalla mano dell’uomo a posti di rara bellezza paesaggistica. Tutti hanno importanza e secondo l’artista contemporaneo britannico sono veicoli che possono guidarci a recuperare legami con le nostre radici, che possono ridonarci un rapporto armonico con il mondo che ci circonda. Questo ricongiungimento avviene con “diverse categorie di siti, da quelli costruiti dall’uomo, che abbiamo costruito noi, che ci riconnettono alla civilizzazione, al nostro passato, alla nostra eredità, alla nostra storia -afferma Jafri- Poi ci sono i siti naturalistici, montagne, fiumi, alberi, oceani, deserti, che ci connettono di nuovo al nostro pianeta, all’anima della Terra, e perché no anche al nostro creatore. Poi ci sono i siti da preservare, come i coralli negli oceani, la fauna selvatica, le foreste e quelli sono importanti perché ci incoraggiano a ricordare la bellezza del nostro mondo e a cercare di proteggerla meglio”.

La città del futuro vista dall’alto

Una volta salita la scala e messo piede sull’eliporto l’emozione è talmente forte da lasciare senza fiato. Davanti ai nostri occhi si staglia Dubai, la città nata da una visione e realizzata in poco più di vent’anni. Si apre in tutta la sua estensione, con le coste di sabbia bianca, il mare azzurro, le dune del deserto che si insinuano tra gli agglomerati urbani e i grattacieli altissimi, di acciaio e vetro, che illuminati dalla luce del sole mediorientale luccicano come gemme preziose. Una città plasmata dalla forza di volontà e dalla determinazione di una leadership visionaria, che ha trasformato un Paese inospitale, desertico, riarso da un sole cocente, in un paradiso architettonico che sfida l’impervia natura per imprimervi il segno di un’umanità che non si arrende neppure davanti alle avversità climatiche. La skyline di Dubai si mostra in tutto il suo fascino alternandosi alle tele di Sacha Jafri dipinte con colori accesi e paesaggi che sembrano imprigionare nelle forme che li descrivono istanze espressioniste, fatte di sensazioni vivide e forte empatia. Così, i dipinti si snodano in un percorso labirintico che tende a fondersi con il panorama circostante fatto di cielo, luce, porzioni di distesa urbana viste dall’alto.

Sulle pareti aperte del labirinto, creato attraverso strutture in ferro dipinte di bianco, sono appese vedute del Colosseo, della Statua della Libertà di New York, delle guglie della cattedrale di Notre-Dame de Paris, scorci del Kenya, di Timbuktu, di Kyoto, di Berlino, della Grande Muraglia cinese, e persino dello stesso Burj Al Arab. Questi luoghi dipinti con pennellate intrise di colore ed emozioni, creano un inedito gioco di contrasti con il paesaggio urbano di Dubai che vista dall’alto sembra ancor più essere la città del futuro. Passato e futuro si fondono, nel qui e ora, in un presente fatto di bellezza ed emozioni.

Contro il Metaverse e contro l’isolamento

Sacha Jafri si schiera contro realtà virtuali e sulle tecnologie che ci stanno sempre più isolando e tagliando i legami che ci connettono gli uni agli altri e alla natura circostante. “Io indirizzo molto il  mio lavoro contro il Metaverse e il mondo digitale, perché tutto questo ci disconnetterà ulteriormente. Noi siamo disconnessi perché siamo fatti di energia che anima le nostre intenzioni -rilancia Jafri, parlandomi con intensità e passione- Però le nostre intenzioni sono diventate opinabili e quando riconosci tutto questo ammetti di essere in una fase statica. E se l’assunto è che ci troviamo in una stasi, di conseguenza non possiamo più comunicare perché l’energia non può comunicare in un ambiente statico”. Quello descritto da Jafri è un cortocircuito comunicativo, tra noi umani e con il nostro pianeta. Un legame venuto meno perché sono troppi gli elementi digitali che disturbano e interrompono un’armonia perduta con la natura. “Noi comunichiamo prevalentemente attraverso l’energia e quando questo non si verifica più la vera comunicazione si interrompe e noi tutti ci disconnettiamo dall’anima della nostra madre Terra, tra gli uni e gli altri, con il nostro creatore e così via -mi racconta Jafri- Quindi questo progetto punta a riconnetterci permettendoci di capire che non attraverso il Metaverse, ma rifiutandolo, capiremo la bellezza che ci circonda qui e ora, scoprendo la magia nel mondano, la magia nell’ultra familiare, riconnettendoci con esso. Questo è ciò che spero di raggiungere con questa mostra”.

In cima al Burj Al Arab, vicinissimi al divino

Il legame di Sacha Jafri con Dubai è molto profondo e affettivamente coinvolgente. “La cosa importante di questo posto è che non importa cosa tu faccia o quali traguardi raggiunga, sono le intenzioni con cui fai le cose che contano. Io conosco bene la famiglia reale di Dubai, conosco le persone che hanno reso possibile tutto questo, e so che le loro intenzioni sono buone, pure. Loro hanno a cuore la sostenibilità, si preoccupano della fauna selvatica, del futuro del nostro pianeta, hanno a cuore il destino dell’umanità. Sono intelligenti per capire che il futuro non è nella tecnologia, ma nel fattore umano” sottolinea l’artista britannico. L’eredità storica e culturale del nostro passato è lì, rappresentata dai dipinti potenti che le pennellate espressioniste di Sacha Jafri ha prodotto con sei settimane di lavoro. Il contrasto con la modernità di Dubai crea un vincolo indissolubile tra ciò che è stato e ciò che saremo. “Quello che trovo meraviglioso è che salendo qui sull’helipad vedi tutta la città ed è incredibile, non è vero? Hai il panorama di Dubai e ti rendi conto che quello che è stato raggiunto in vent’anni è semplicemente straordinario, è assolutamente pazzesco quello che hanno realizzato in vent’anni. E quello che colpisce e trovo bellissimo è che stai sull’helipad e vedi una città del futuro, quale Dubai in realtà è, e vedi al tempo stesso il nostro passato, la nostra eredità, la nostra storia -prosegue con il suo racconto Jafri- E questi due elementi insieme stanno così meravigliosamente bene e non avrei mai creduto che potesse essere possibile, ma funzionano veramente bene insieme. Tutto diventa così spirituale. Si sente davvero la presenza del divino sull’helipad, si ha una sensazione di trascendenza, sembra di essere vicini a Dio e in una maniera così naturale, non in modo forzato, questa vicinanza al divino avviene in modo estremamente naturale”. Vedendo la città così dall’alto si ha davvero l’impressione di essere ad un passo dal divino, quasi in una dimensione altra, prossima al trascendente. 

Immagini che risvegliano ricordi

Ogni visitatore tende a legarsi ad un’opera in particolare, forse perché è capace di risvegliare memorie di viaggi fatti nel passato, ravvivando sensazioni sopite, o perché riaccende immagini rimaste impigliate nelle fitte trame del cuore stabilendo un contatto che si dipana attraverso la dimensione affettiva, o ancora perché fa venir voglia di visitare luoghi che, ritratti con quei colori vivaci e con quelle pennellate potenti, stimolano il gusto della scoperta del mai visto prima. Anche l’artista ha un rapporto speciale con alcune tele. “Le opere alle quali mi sento maggiormente legato sono la Palestina, il Nepal con il il sito di pellegrinaggio buddhista di Lumbini, il Colosseo è molto potente, il Vaticano, l’Ucraina che in questo momento fa provare emozioni forti. Amo tutte le opere -mi dice Jafri, che le ha dipinte tutte e trenta con lo stesso coinvolgimento appassionato- Le persone salgono sull’helipad, visitano la mostra e molte di loro si commuovono, alcuni piangono e questo è fantastico. Non credo sia possibile essere connessi ad ogni dipinto, ma l’idea è che si trovi una connessione almeno con uno o due dipinti, e che quello inneschi un ricordo dentro ciascun visitatore e questo è meraviglioso e accende le emozioni, come una sorta di elettroshock che possa risvegliare qualcosa di sopito dentro ognuno di noi. Un risveglio emotivo che ci riconnetta con la nostra infanzia, con la nostra vera essenza, e questo è eccezionale, se davvero riesce a prodursi attraverso i miei dipinti e d’altro canto potresti essere ispirato dalle opere e desiderare di scoprire luoghi che non hai mai visto e che non conosci affatto. Se tutto questo diventa possibile allora è fantastico”. La commozione, la partecipazione, quelle tele che trasudano eredità storica, cultura, civiltà di un lontano passato, il luogo in cui questo incontro avviene che lascia senza fiato. “Nulla di tutto ciò era stato pianificato. Mi sono astratto dal mondo per 6 settimane, ma senza avere un’idea chiara di ciò che sarebbe accaduto -mi spiega Jafri- E non ero neppure sicuro di farcela finché non sono salito là sopra e non ho detto ‘Wow, è davvero bellissimo!’. Ero davvero felice quando ho visto tutta l’installazione. L’effetto labirinto è un’idea di Marcus Schaefer -il curatore di ‘The Art Maze’– davvero stupenda. Ma funziona ancora di più proprio perché è lassù e puoi vedere attraverso il labirinto, puoi vedere i dipinti e al tempo stesso la skyline di Dubai, percependo chiaramente l’eredità del passato in contrasto con una città così moderna e futuribile”. 

Ancora arte e cultura sull’helipad e al Burj Al Arab

“L’iniziativa ha anche lo scopo di raccogliere fondi a favore dell’UNESCO, impegnata a livello internazionale nella tutela di siti di interesse culturale, sia archeologici, sia artistici, sia naturalistici, quindi ci tenevamo ad impegnare una parte di queste risorse per sostenere l’UNESCO -mette in evidenza Ermanno Zanini– La struttura del labirinto si trasferirà in tutte le altre location del mondo, anche se di volta in volta verrà scelta una posizione diversa, però il concetto è legato all’idea del labirinto attraverso il quale ci si può muovere con abbastanza facilità, alla scoperta di luoghi straordinari, che già appartengono al nostro immaginario, dal Vaticano alla Tour Eiffel all’Opera House di Sydney a luoghi meno conosciuti che fanno comunque parte del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Tutti luoghi iconografici”. Il gruppo Jumeirah da tempo organizza progetti artistici per rendere ancor più straordinaria l’esperienza nei propri hotel di lusso. A Zanini si deve l’aver aperto le porte del Burj Al Arab al pubblico, rendendo meno distante un capolavoro architettonico che sembrava essere irraggiungibile. “È un’aspirazione e un percorso che abbiamo già iniziato da molti anni con il Capri Palace che oggi è parte della famiglia Jumeirah, dove la presenza dell’elemento dell’arte è molto forte e distintivo, perché comunque riteniamo che il viaggiatore colto e più sofisticato sia sempre alla ricerca di emozioni ma anche di conoscenza. Quindi l’arte è un modo per avvicinarci alla conoscenza facendoci osservare la realtà da un punto di vista diverso. Quindi pensiamo che questo sia un elemento che arricchisce l’esperienza degli ospiti” mi dice Zanini. “Vogliamo utilizzare sempre di più l’helipad, particolarmente per eventi che sono legati al mondo della cultura, dell’arte e della musica. Molto presto faremo un’altra bellissima mostra di Fabrizio Plessi, un fantastico artista italiano -mi racconta Zanini- In quel caso la mostra invaderà uno spazio inusuale per una mostra d’arte, perché sarà presente all’interno del nostro ristorante L’Olivo, ristorante italiano con menù a base di pesce, all’interno dell’acquario. Le opere che verranno presentate sono la serie ‘Splash’, delle bellissime installazioni video con dell’acqua che scorre. Mi piace moltissimo il contrasto che c’è rispetto alla calma dell’acquario. È un modo per contaminare uno spazio che tradizionalmente ha la vocazione del ristorante, ma che invece può diventare anche un luogo di interesse, attrazione, curiosità artistica” conclude Zanini che promette nuove mostre e iniziative che vedranno la partecipazione di artisti internazionali ma anche uno sguardo particolare al mondo dell’arte italiana.