Una partnership medico-scientifica contro il COVID-19 lega Emirati e Israele che ufficialmente non hanno relazioni diplomatiche. Cosa c’è dietro questa inedita unione? Da un lato fa notizia l’annuncio a sorpresa del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che fa presagire un accordo di cooperazione tra i due governi, con imminenti passi ufficiali da parte dei rispettivi Ministri della Salute dipingendo l’azione congiunta contro la pandemia come uno degli ultimi sforzi compiuti dallo Stato ebraico per costruire legami più saldi con gli Stati arabi. Dall’altro fa da contrappunto il laconico comunicato dell’agenzia stampa emiratina WAM che ridimensiona la collaborazione, ponendo l’accento sul sodalizio tra aziende private e nessun accordo a livello governativo. Sullo sfondo pesa come un macigno l’annessione di una porzione dei territori occupati da parte di Israele.
Un passo affrettato da parte di Netanyahu che ha colto alla sprovvista gli Emirati Arabi Uniti, non ancora pronti a far emergere alla luce del sole rapporti più stretti con lo Stato ebraico, specie adesso che sta discutendo l’annessione. A partire dal 1 luglio, infatti, il Primo Ministro Netanyahu ha promesso che annetterà il 30% di West Bank, atto che riacutizza le tensioni nel mai sedato conflitto israelo-palestinese, impedendone una pacifica risoluzione. Al di là della dichiarazione del Primo Ministro Netanyahu, rilasciata nel corso di una cerimonia presso la scuola piloti dell’aviazione (Israeli Air Force), neppure Yuli Edelstein, Ministro della Salute israeliano, ha fatto alcun annuncio ufficiale sulla partnership con le aziende degli Emirati. Il lancio dell’agenzia di stampa WAM parla di due aziende private emiratine e due israeliane che si apprestano a collaborare per effettuare ricerche mediche utili ad arginare la diffusione del coronavirus e volte a salvaguardare tutta l’area mediorientale, senza però menzionare di quali imprese si tratti. Un proposito nobile, che vede mettere da parte dissidi e frizioni per ottenere risultati concreti in ambito scientifico e tecnologico contro la pandemia. Scopriamo qual è l’atteggiamento degli Emirati nei confronti dell’annessione dei territori occupati da parte di Israele e cosa si celi dietro questo avvicinamento.
Collaborazione privata ma non governativa
A confermare la collaborazione tra imprese private e non tra governi arriva anche la dichiarazione di Hend al-Otaiba, l’emiratina che dirige la comunicazione strategica del Ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti. “Alla luce della cooperazione internazionale nell’ambito della ricerca, sviluppo e tecnologia al servizio dell’umanità, due compagnie private degli Emirati e due israeliane hanno siglato un accordo per collaborare ad un piano di ricerca tecnologica per combattere il COVID-19” ha detto Hend al-Otaiba. Secondo il Times of Israel questa partnership in chiave anti Covid tra i due Paesi sarebbe stata favorita da Yossi Cohen, capo del Mossad, i servizi segreti israeliani.
West Bank, e la posizione emiratina
Appena un paio di settimane fa l’Ambasciatore emiratino negli Stati Uniti, Yousef Al Otaiba, ha scritto un articolo pubblicato in uno dei principali quotidiani israeliani, Yedioth Ahronoth, in cui mette in guardia Israele. L’annessione dei territori occupati, sostiene Al Otaiba, sarebbe un atto unilaterale che minerebbe i rapporti con il mondo arabo e con gli Emirati Arabi Uniti. Netanyahu ha molto da guadagnare da una partnership con gli Emirati, infatti da tempo cerca di creare legami con il mondo arabo senza riuscirvi e vive una fase di stallo nelle trattative di pace con i palestinesi. Alcuni stati arabi rifiutano di avere rapporti con Israele, altri chiedono come prerequisito la firma della pace con la Palestina. Negli ultimi anni, però, le monarchie del Golfo hanno iniziato a vedere nello stato ebraico un valido partner commerciale e un possibile alleato nell’aperta rivalità con l’Iran.
Prove tecniche di relazioni
Secondo il Times of Israel, recentemente gli Emirati avrebbero fornito, attraverso il Mossad, 100.000 kit per test anti-Covid ad Israele. Un episodio riportato anche dal New York Times che, se confermato, proverebbe l’esistenza di rapporti segreti tra i due Paesi e di contatti che si sono intensificati soprattutto negli ultimi mesi. Lo Stato ebraico ha una piccola rappresentanza all’interno dell’Agenzia per le Energie Rinnovabili (IRENA-International Renewable Energy Agency) ad Abu Dhabi e sebbene non vi siano relazioni diplomatiche ufficiali tra Emirati e Israele, vi sono stati contatti che hanno segnato risultati epocali, come lo scorso maggio il primo volo Etihad atterrato a Tel Aviv con aiuti umanitari e presidi medico-sanitari per i palestinesi, aiuti che l’Autorità Palestinese ha comunque rifiutato perché considerati un tentativo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e le monarchie del Golfo.
Fronte comune contro il coronavirus?
Appena qualche settimana fa Anwar Gargash, Ministro degli Esteri degli UAE, ha caldeggiato rapporti con lo stato ebraico, nella speranza di stabilire una più stretta cooperazione, soprattutto nel settore medico, nel quale gli israeliani hanno raggiunto traguardi notevoli. Proprio il mese scorso Israele ha comunicato di aver raggiunto risultati di rilievo nella cura del COVID-19, riuscendo ad isolare un importante anticorpo che apre le porte alla ricerca di una possibile terapia. Un’intensificazione della collaborazione che potrebbe contribuire anche ad alleviare le sofferenze del popolo palestinese, colpito dalla pandemia di coronavirus.
L’Iran, agisce da collante
Ultimamente la causa palestinese inizia ad appannarsi, diventando impopolare nel mondo arabo, soprattutto con l’emergere di gruppi terroristici come ad esempio l’ISIS. Al tempo stesso l’Iran viene visto sempre più come la principale minaccia per la stabilità della regione.
Il pericolo iraniano farebbe quindi da collante nelle relazioni tra Emirati Arabi Uniti e Israele. Gli accordi segreti tra Stato ebraico ed Emirati spaziano dalla tecnologia alla sicurezza, dall’agricoltura all’ambito sanitario. L’area mediorientale è caratterizzata da una costante ricerca di stabilità. Attualmente le monarchie del Golfo non considerano lo Stato ebraico come ad un nemico, ma come un’opportunità. Fare fronte comune contro l’Iran diventa oggi l’elemento capace di ridisegnare l’assetto geopolitico dell’intera regione. E molti degli equilibri attuali apparivano impensabili anche solo qualche anno fa.