Vienna contro il velo islamico

La guerra contro il velo islamico è appena iniziata in Austria. A dichiarare battaglia all’hijab è il Ministro degli Esteri e dell’Integrazione Sebastian Kurz, non nuovo a proposte shock, che scatenano accese discussioni a livello nazionale. Il giovane Kurz, che a soli 30 anni è uno degli esponenti di spicco del Partito Popolare austriaco (ÖVP), ha deciso di proporre il bando del velo per coloro che svolgano servizi pubblici, soprattutto per chi operi nell’ambito scolastico. “L’Austria è un Paese aperto alla libertà di culto -ha dichiarato Kurz- Però è anche uno Stato secolarizzato” che si rifà al principio della laicità. E proprio per questo il Ministro Kurz intende far sua la proposta avanzata dal consulente Heinz Faßmann di inserire nel pacchetto per l’Integrazione, al quale il governo austriaco sta lavorando, il divieto di indossare l’hijab per chi ricopra incarichi pubblici. Giudicato particolarmente delicato è il ruolo che hanno insegnanti e operatori scolastici nella formazione dei ragazzi, e indossare il velo islamico “è un esempio dell’influenza che può essere esercitata sui più giovani” ha detto ai media austriaci Sebastian Kurz, dando il via alla sua personale crociata contro l’hijab. Al tempo stesso, ha precisato il Ministro, la presenza del crocifisso nelle aule non viene messa in discussione, perché rappresenta un’usanza storicamente consolidata dell’Austria, tra l’altro sancita e regolata anche dalla Costituzione.

Si è avuta ampia eco sui media austriaci. Dopo la presa di posizione di Kurz infuriano le polemiche, anche all’interno della stessa coalizione di governo. Da più parti sono arrivate decise critiche al Ministro Kurz, accusato di voler guadagnare popolarità adottando misure populiste, a spese della comunità musulmana austriaca, come ha dichiarato Omar Al-Rawi, Presidente dell’IMOe, Initiative Muslimischer Österreicherinnen und Österreicher (Iniziativa dei Musulmani austriaci). Anche Heinz-Christian Strache è intervenuto nel dibattito con un post su Facebook, scagliandosi contro Sebastian Kurz. La gente è stufa, ha detto il leader dell’FPÖ, di proclami vuoti ai quali non seguono mai azioni concrete, gli austriaci sono stanchi di politici che non mantengono le promesse. 

Rabbino Capo e Imam uniti nella protesta

Particolarmente sentite le critiche manifestate con una dichiarazione congiunta dal Rabbino Capo Schlomo Hofmeister e dall’Imam Ramazan Demir. Essi denunciano non solo il rischio di misure che portino a una limitazione della libertà religiosa attraverso la proibizione dei suoi simboli (come il velo entra nel dibattito anche la kippa indossata dagli ebrei), ma che discriminino fortemente la donna. Non si può avere integrazione se si promuovono al contrario l’esclusione e l’alienazione.

Una misura che non aiuta le donne musulmane

“È una notizia allarmante, che non favorisce affatto l’integrazione. In questo modo il Ministro Kurz non fa che alimentare il pregiudizio delle donne oppresse, relegandole di fatto all’invisibilità” mi dice Carla Amina Baghajati, Responsabile stampa dell’IGGiÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich (la Comunità di Fede Islamica in Austria).

Per la Baghajati, critica nei confronti del velo integrale, ma che guarda all’hijab come a una libera scelta diventata simbolo di un credo religioso, il provvedimento del Ministro Kurz rappresenta un messaggio negativo. È a suo dire un divieto che non unisce, ma che al contrario crea profonde divisioni. Inoltre a pagarne le spese, per la Baghajati, sono proprio le donne. “Il Ministro va anche oltre, dicendo che le donne con indosso l’hijab non danno un buon esempio ai ragazzi -mi racconta la Baghajati- Questo è uno schiaffo in faccia alle donne musulmane. Molte giovani di seconda, o terza generazione, hanno un’eccellente educazione e possono aspirare a posti importanti nel mondo del lavoro. Una simile proposta significa non voler dar loro alcuno spazio per emergere”.

L’integrazione vera non discrimina le donne

Carla Amina Baghajati sottolinea tra l’altro quanto il provvedimento proposto da Sebastian Kurz oltre a rappresentare un passo indietro, vanifichi tutti gli sforzi fatti per superare, all’interno della comunità musulmana, quel modo di pensare patriarcale che preferisce relegare le donne al ruolo di casalinghe e madri. “Uno Stato neutrale deve garantire una società pluralistica, che comprende anche la libertà di religione e di espressione” mi dice la Baghajati, che è rimasta molto colpita dalla portata devastante della proposta avanzata dal Ministro. Poi lancia una provocazione: “Fin tanto che le donne musulmane pulivano i pavimenti degli edifici statali, non c’erano impedimenti a che indossassero il velo. Adesso che per preparazione e competenza possono aspirare a ricoprire ruoli nella pubblica amministrazione, allora il velo diventa un modo per impedire loro una brillante carriera. Com’è contraddittorio questo concetto di integrazione” ribatte la Baghajati.

Contrasti nel governo sul Pacchetto per l’Integrazione

Prima fra tutti nel governo a non fare mistero di posizioni non in linea con quelle espresse da Kurz, è il Segretario di Stato per i Servizi Civili e gli Affari Culturali Muna Duzdar (SPÖ). Con lei il Ministro dovrà negoziare le misure contenute nel pacchetto sull’Integrazione, che il governo si appresterà a discutere e varare nelle prossime settimane. La Duzdar vuole prima aspettare che la Corte di Giustizia europea si pronunci sul caso di una donna belga che indossava il velo in ambito lavorativo. Sapere come l’Unione europea intenda muoversi su questi temi è importante per la Duzdar. “Se si parla di indumenti simbolo di credo religiosi, non se ne può scegliere uno solo e decidere di proibirlo” ha evidenziato Muna Duzdar. Secondo il Segretario di Stato non si può prendere di mira solo una religione e i suoi simboli, ma occorre eventualmente portare avanti un discorso che coinvolga tutte le varie comunità religiose.

Provocazione o discriminazione?

C’è chi ritiene che l’hijab oggi rappresenti il simbolo di un Islam radicale, di un atteggiamento fondamentalista. E chi pensa che coloro che operano nella pubblica amministrazione e nel settore educativo non debbano avere segni tangibili né delle proprie idee politiche, né del proprio credo religioso. Ognuno, dicono, può avere le proprie idee e professare la religione che preferisce, ma non deve ostentare in modo evidente nulla di tutto ciò, perché chi opera in settori statali deve mostrarsi neutrale, almeno pubblicamente. C’è invece chi sostiene che chi impone a coloro che operano nei servizi pubblici e nelle istituzioni il divieto di indossare il velo, non dovrebbe solo focalizzarsi sull’Islam. Se devono essere banditi i simboli religiosi occorre fare altrettanto anche con crocifisso, kippa e con tutti i simboli degli altri credo religiosi.

Che faccia ha l’integrazione in Europa?

Il dibattito è molto acceso e sullo sfondo emergono anche questioni legate all’identità e temi quali l’oppressione della donna e la questione di quanto il velo rappresenti in realtà una libera scelta femminile e quanto invece non sia il retaggio culturale di un’interpretazione distorta, retrograda e maschilista del Corano. Sono tutti nodi irrisolti e rappresentano alcune delle molteplici sfaccettature di cui si compone la discussione, non solo in Austria, ma in tutta Europa, come dimostra la recente sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo sulle lezioni di nuoto miste in Svizzera.