SHeroes: Arab influencers at Expo

Young, Muslim, creative, successful. Arab women use media to connect, shatter stereotypes, and gender gap. At the Women’s Pavilion, at Expo 2020 Dubai, proposing winning stories Arab women are bearers of positive instances, help sweep away prejudices about Islam, and foster a prospect of growth and development. They are the so-called “Super SHeroes”, or female superheroes, capable with their exemplary work of spreading an image of being a woman in the Arab world unhinging preconceived ideas and encouraging a constructive dialogue between East and West to better face future challenges. Social media is an extraordinary vehicle of connection and also an extremely powerful communication tool, Muna AbuSulayman, Nicole Al Rais, and Tima Shomali greatly handle them with a big drive.

The heroines I met in this debate are all socially engaged, remarkable communicators, and boast a large media following on different platforms. They are famous, influential, brilliant, despite moving in our contemporary society characterised by a deep gender divide creating disparity, inequality, discrimination. Thanks to their example they contribute to change the world, creating a support network, a collaborative atmosphere, a cultural humus in which to see the flourishing of new generations of empowered women who will increasingly be able to conquer power in a society that still prevents women from having the same opportunities as men. They made it, but this transformation process is far from being complete. Let’s find out more about the three protagonists and the topics emerged from the Women’s Pavilion initiative, which focuses on the value of digitisation and connection as universal human right capable of making positive change in society.  Continua a leggere



Sheroes: le influencer arabe a Expo

Giovani, musulmane, creative, di successo. Usano i social media per essere connesse, demolire stereotipi, abbattere disuguaglianze di genere. Al Padiglione delle Donne all’Expo 2020 Dubai le donne arabe propongono storie vincenti, sono portatrici di istanze positive, contribuiscono a spazzare via pregiudizi sull’Islam e a favorire un clima di crescita e sviluppo. Sono le cosiddette “Super Sheroes”, ovvero super eroi al femminile, capaci con il loro lavoro esemplare di diffondere un’immagine dell’essere donna nel mondo arabo che scardina idee preconcette e stimola un dialogo costruttivo tra Oriente e Occidente per affrontare al meglio le sfide del futuro. I social media sono uno straordinario veicolo di connessione e anche uno strumento di comunicazione estremamente potente, Muna AbuSulayman, Nicole Al Rais e Tima Shomali li maneggiano con grande capacità e forza penetrativa.

Le eroine che ho incontrato in occasione di questo dibattito sono tutte impegnate nel sociale, straordinarie comunicatrici e vantano un ampio seguito mediatico su piattaforme diverse. Sono famose, influenti, brillanti, nonostante si muovano in una società, quella contemporanea, caratterizzata da un profondo divario di genere che crea disparità, disuguaglianze, discriminazione. Grazie al loro esempio contribuiscono a cambiare il mondo, creando una rete di supporto, un’atmosfera collaborativa, un humus culturale in cui veder fiorire nuove generazioni di donne emancipate che sempre più saranno in grado di conquistare posizioni di potere in una società che di fatto ancora impedisce alle donne di avere le stesse opportunità degli uomini. Loro ce l’hanno fatta, ma questo processo di trasformazione è tutt’altro che compiuto. Scopriamo di più sulle tre protagoniste e sui temi emersi all’iniziativa del Padiglione delle Donne, che pone al centro il valore di digitalizzazione e connessione quali diritti umani universali capaci di imprimere cambiamenti positivi nella società.  Continua a leggere



COVID19, moschee chiuse per Ramadan

Negli Emirati le moschee continuano a rimanere chiuse. Anche adesso, in pieno Ramadan. Le preghiere congregazionali sono state sospese fin dall’inizio della pandemia di COVID-19. È la prima volta che i Paesi islamici hanno preso un simile, drastico provvedimento. Tanto che i muezzin hanno dovuto sostituire la penultima parte dell’adhan, la chiamata alla preghiera, che recita “Hayya Alasalah” (venite a pregare), con “Al Salat Fi Beyootikum” (pregate a casa). La chiusura delle moschee, stabilita a partire dal 16 marzo e inizialmente prevista per un mese, aveva lo scopo di arginare il diffondersi del coronavirus. Però, per garantire la salute e la sicurezza dell’intera comunità, è stata prorogata ulteriormente, estendendo la sospensione delle preghiere congregazionali a tutto il periodo del Ramadan, fino al 23 maggio.

Mentre in Italia le messe sospese, quale contributo alla tutela della salute pubblica, hanno suscitato non poche polemiche tra fedeli, vescovi della Conferenza Episcopale Italiana e governo, negli Emirati Arabi Uniti la sospensione delle preghiere congregazionali e la conseguente chiusura delle moschee è stata prorogata fino a nuovo ordine, per garantire la sicurezza della comunità. Tutto è avvenuto in perfetta sintonia tra autorità e istituzioni religiose.

Il mese del Ramadan è un periodo di riflessione e privazione, di crescita, devozione e preghiera. In tempi normali si digiuna durante il giorno e ci si ritrova insieme dopo il tramonto per interrompere l’astinenza e per le preghiere congregazionali. Stavolta ci si trova a vivere una situazione di emergenza. La necessità di mantenere il distanziamento sociale deve essere rispettata, per la salvaguardia di tutti. Scopriamo di più sulla tradizione islamica, su Ramadan e preghiera, sulle norme imposte per prevenire l’ulteriore diffondersi del COVID-19.  Continua a leggere



Il soldato ISIS di Vienna

“Voglio tornare a casa, a Vienna”. Ha implorato così chi lo ha fatto prigioniero, il foreign fighter dell’ISIS caduto nelle mani delle Forze di Difesa del Popolo (YPG), le milizie curde che combattono contro i terroristi dello Stato Islamico in Siria. Il giovane terrorista prigioniero è viennese ed è cresciuto a Brigittenau, il 20esimo distretto, un quartiere della capitale austriaca con un alto tasso di immigrati islamici. Il giovane combattente dell’ISIS austriaco è di origini curde.

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I genitori vengono dalla Turchia e sono aleviti, un gruppo religioso sub-etnico e culturale presente sul territorio turco, una delle sette dell’Islam, considerata una corrente sincretica ed eterodossa. Il foreign fighter, però, a Vienna ci è nato e cresciuto. Ad un certo punto si è radicalizzato, frequentando una moschea a Leopoldstadt, il secondo distretto della capitale austriaca, aderendo ad una corrente salafita dell’Islam. La ribellione del foreign fighter viennese è stata totale, sia sotto il profilo religioso, sia politico, tanto da arrivare ad interrompere ogni contatto con i propri genitori per diventare un islamista radicale. Scopriamo insieme il percorso di radicalizzazione di questo foreign fighter vienneseContinua a leggere



La ragazza, l’emoji, il velo

Nella giornata internazionale dell’emoji, ecco la mia intervista alla 16enne che ha creato l’emoji con l’hijab. Si chiama Rayouf Alhumedhi e a fine 2017 è stata inserita da Time nell’elenco dei trenta teenager più influenti del pianeta. Rayouf è di origini saudite, ma vive a Vienna. Frequenta il liceo internazionale alla VIS con successo. È una ragazza intelligente, simpatica, socievole. Rayouf è musulmana e indossa il velo islamico, ovvero la sciarpa che copre testa e spalle, lasciando libero il volto.

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È lei che ha ideato e fatto in modo che quell’immagine di giovane donna con l’hijab diventasse un emoticon che tutti abbiamo notato all’interno del nostro smartphone, sia esso iPhone o Android. Qualche mese addietro oltre all’onore e alla gioia di essere diventata famosa per la sua iniziativa, il suo caso ha suscitato scalpore perché Rayouf è stata oggetto di un’incredibile ondata di odio in rete. Una pagina incresciosa dell’era dei social media, che ha visto coinvolti anche membri di spicco del mondo politico viennese. Attraverso le sue parole scopriamo di più sui suoi hater, su di lei e sul suo Paese, l’Arabia SauditaContinua a leggere



Moschee chiuse? Solo parole

Sono tutte aperte le sette moschee chiuse con provvedimento d’urgenza dal governo federale austriaco. L’annuncio shock di voler combattere l’Islam politicizzato e radicalizzato operante sul suolo austriaco ha fatto sobbalzare l’Unione europea l’8 giugno scorso. Però, quelle dichiarazioni perentorie del Cancelliere Sebastian Kurz sembrano essere state smentite dai fatti. Si è trattato solo di proclami? Una mossa fatta per tenere desta l’opinione pubblica e per mobilitare l’elettorato interno, corroborando così le critiche mosse da chi vedeva dietro le parole del governo turchese-blu una strategia comunicativa mirata e poca sostanza?

Ad una ad una, qualcuna addirittura dopo appena una settimana, tutte le moschee hanno riaperto i battenti. A meno di un mese dalla conferenza stampa congiunta del Cancelliere, affiancato da un’ampia porzione dell’esecutivo composto dal Vice Cancelliere Heinz-Christian Strache, dal Ministro dell’Interno Herbert Kickl e dal Ministro per le Politiche comunitarie, Arte, Cultura e Media Gernot Blümel, l’attività di questi centri religiosi islamici è ripresa come se nulla fosse accaduto. Come è possibile? Scopriamo insieme il perchéContinua a leggere



2018, l’anno dell’odio

Asel è la prima neonata del 2018 a Vienna. La sua mamma indossa l’hijab. Proprio il velo islamico ha scatenato sui social media un’ondata di insulti da parte di hater inferociti, coloro che in rete, celandosi dietro una tastiera, dispensano minacce, offese e commenti razzisti. Asel è stata data alla luce il primo gennaio, 47 minuti dopo la mezzanotte. Dopo appena 24 ore la sua storia è rimbalzata dai media austriaci a quelli di tutto il mondo. Anche il New York Times ha pubblicato un articolo sulla prima bambina viennese del 2018, perché la notizia della nascita della piccola Asel su Facebook si è trasformata immediatamente da momento di gioia in una delle più tristi pagine di intolleranza e odio degli ultimi tempi. Un sintomo evidente delle forti pulsioni xenofobe, sempre più radicate in Austria.

KAV / Votava

La foto che ritrae la bambina poco dopo il parto, assieme ai suoi genitori all’ospedale Rudolfstiftung, genera una marea incontenibile di odio, che spazza via la felicità legata all’arrivo di un nuovo nato e squarcia l’abisso di una società, quella austriaca, che dietro una facciata rispettabile cela razzismo, ferocia, disprezzo per il diverso. Ad essere sommerso di commenti offensivi e verbalmente violenti è soprattutto l’articolo pubblicato dal quotidiano Heute. Parole durissime, traboccanti di livore e violenza. A riportare alcuni dei commenti scritti da leoni da tastiera e odiatori del web è stato il sito Netpeace, una ONG creata nel 2017 da Greenpeace. Un movimento di pace su internet che vuole combattere l’odio in rete. Vediamo insieme alcune delle frasi degli hater e scopriamo qualche dettaglio in più sulla prima bambina viennese del 2018 e sulla sua famigliaContinua a leggere



Austria: guerra all’Islam radicale

L’Austria dichiara guerra al terrorismo di matrice islamica. Sono 68 gli islamisti radicali condannati, o sotto processo. Vi sono jihadisti, foreign fighter rientrati da Siria e Iraq, predicatori estremisti, simpatizzanti dell’ISIS. Il rischio che costoro in carcere possano radicalizzarsi ulteriormente, intensificare i contatti con altri musulmani estremisti, potenziare la propria capacità di azione, o intessere legami che possano far loro da sponda in caso di fuga, è più che reale. Ecco perché tanto il sistema giudiziario austriaco, quanto quello carcerario sono chiamati a combattere il terrorismo fondamentalista anche su questo nuovo fronte. Non bastano solo retate e maxi blitz, la guerra si combatte anche spezzando o impedendo collusioni e rapporti che si intrecciano durante il periodo di detenzione. Occorre quindi esercitare uno stretto controllo su chi, a vario titolo, risulti colpevole di reati legati al terrore di matrice islamista e per questo venga condannato, ma anche su chi sia ancora in attesa di giudizio. Tra le prigioni sorvegliate speciali vi sono i tre grandi istituti di pena di Garsten, Karlau, Stein e anche quello di Suben. È importante che le celle destinate a musulmani radicali siano separate dalle altre e dislocate in settori appositamente istituiti. Celle che vengono controllate molto più di quelle degli altri detenuti.

 

Parte delle contromisure consiste in un apposito esame psicologico e un questionario, da effettuare prima della carcerazione. Solo così è possibile avere un quadro d’insieme dettagliato. A tal scopo operano specialisti del Ministero dell’Interno, psicologi, costituzionalisti e interpreti, per un’accurata analisi dei rischi e perché nulla sia lasciato al caso. L’alto livello di sicurezza viene applicato anche alle visite ricevute dai detenuti, che non hanno alcun contatto diretto con coloro che li vanno a trovare. A separarli dai visitatori c’è un vetro molto spesso e le comunicazioni avvengono solo via telefono. Così la polizia può registrare e monitorare ogni discorso, anche con l’aiuto di esperti. Se esiste il minimo sospetto che nel corso della conversazione sia avvenuto uno scambio di informazioni proibite, oppure ci sia stato un vero e proprio accordo, si è così in grado di agire in tempi brevissimi.  Continua a leggere



Gli attacchi di Bruxelles visti da Vienna

A quasi un mese dagli attacchi di Bruxelles chiedo al Prof. Rüdiger Lohlker della Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Vienna un’analisi degli attentati. Come profondo conoscitore dell’Islam ed esperto di social media, il Prof. Lohlker offre una prospettiva inedita per inquadrare quanto accaduto nel cuore dell’Europa. L’ISIS si serve di internet mettendo in atto una propaganda estremamente sofisticata. Via web l’ISIS riesce a fare proselitismo, a reclutare miliziani, ad entrare in contatto con nuovi adepti, a pubblicizzare il Califfato e a diffondere la propria ideologia.

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Bruxelles è principalmente una forma di ritorsione per ciò che sta accadendo in Siria, almeno stando a quello che abbiamo potuto verificare online -mi spiega il Prof. Rüdiger Lohlker– Voi state uccidendo i nostri miliziani a Raqqa e in altre località siriane, così noi iniziamo a uccidere voi, e lo facciamo in casa vostra. L’Europa è solo un primo passo. Da quello che dicono adesso online l’IS ha prima pianificato Parigi, poi Bruxelles, ma intendono colpire ancora. Londra e anche gli Stati Uniti sembrerebbero essere tra i loro obiettivi”. Bruxelles sembra quindi rappresentare un punto di partenza e al tempo stesso una forma di rappresaglia per tutto, per le offensive sul suolo siriano, ma anche andando indietro nel tempo per vendicarsi del colonialismo esercitato dall’Occidente nella regione.  Continua a leggere



Siria: volevano che uccidessi, così sono fuggito

La testimonianza di Mehyar Sawas, 25enne di Damasco, svela uno scenario spaventoso della Siria. Lui è scappato perché non voleva uccidere. Un paese, la Siria, dilaniato da una guerra civile, da una diffusa cultura del sospetto che porta a essere arrestati e incarcerati anche solo per aver manifestato il proprio libero pensiero. Talvolta di coloro che vengono arrestati si perdono per sempre le tracce. Secondo Mehyar sono tante le persone sparite, in un gorgo di torture, violenza e morte. La stessa sorte stava per toccare sia a lui, sia a sua sorella.

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In un clima di guerra aperta, il governo obbliga al richiamo del servizio di leva. Moltissimi giovani, studenti universitari come Mehyar, hanno deciso di abbandonare per sempre il proprio paese straziati dal dilemma se uccidere, o meno altri uomini.  Continua a leggere