Libano di nuovo in fiamme

Il porto di Beirut brucia ancora. Un vasto incendio divampato in un deposito di olio e pneumatici ha gettato nel panico la città. Appena un mese dopo le esplosioni che hanno provocato oltre 190 morti, 6.000 feriti e lasciato 300.000 persone senza casa. Alcune fonti militari hanno raccontato che a prendere fuoco è stato prima il magazzino contenente olio alimentare. Le fiamme si sono propagate con grande rapidità, incendiando i copertoni, custoditi nelle vicinanze. Un fumo denso e nero, un odore terribile di gomma bruciata hanno immediatamente invaso la città, gettando nel panico la popolazione. Non vi sarebbero vittime.

ph. Agop Daldalian

Il fuoco si è sviluppato nell’area del Duty Free del porto. Il deposito di gomme era già stato parzialmente distrutto dalle deflagrazioni dello scorso 4 agosto. Le autorità portuali hanno riferito al Consiglio Supremo di Difesa che il rogo sarebbe stato causato da lavori di saldatura effettuati in modo incauto. Le scintille avrebbero bruciato sostanze infiammabili, tra cui derrate alimentari di alcune organizzazioni umanitarie. Da quanto riportato dall’agenzia Reuters anche l’incendio che ha preceduto le violente esplosioni del 4 agosto sarebbe stato innescato da lavori di saldatura.

ph. Agop Daldalian

“Le nostre operazioni umanitarie rischiano di essere paralizzate” ha dichiarato via Twitter Fabrizio Carboni, Direttore della regione mediorientale della Croce Rossa Internazionale. Aiuti che erano destinati non solo ai rifugiati siriani presenti in Libano e alla popolazione stremata della Siria, ma anche agli sfollati libanesi rimasti senza un tetto dopo lo squasso del 4 agosto scorso. Vediamo insieme le immagini e le fasi concitate della nuova catastrofe al porto di Beirut.

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Libano, l’albero della protesta

Il Natale in Libano si tinge dei colori accesi della protesta. Nel centro di Beirut un albero con l’iconografia, gli slogan e i messaggi dei dimostranti, diventa il simbolo delle feste ma anche di un movimento che non intende fermarsi, di una rivolta pacifica che non vuole arretrare. È diventato l’albero di Natale anti-governativo. Si erge spavaldo, con aria di sfida, tra la Moschea Al Amin e la Piazza dei Martiri. In quei cento metri che separano la moschea dalla piazza, nel luogo in cui i dimostranti si sono riuniti per settimane, animati da un unico proposito: spazzare via corruzione, nepotismo, disuguaglianza, povertà.

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Quest’anno nessun simbolo delle feste natalizie è stato eretto dalle autorità libanesi. Così, al posto di un albero di Natale pieno di luci sfavillanti, i dimostranti hanno innalzato un totem alla rivolta, con una scritta dal contorno viola posta al centro. Vi si legge una sola parola: “Thawra”, che in arabo vuol dire rivoluzione.

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Tanti i dimostranti che si sono assiepati a difesa dell’albero, di quel simbolo di lotta, di tenace resistenza, di una protesta che non accenna ad indietreggiare e che sempre più sostegno riceve da ogni parte del Paese. Tra i cori intonati da chi vigila su quell’albero del movimento di rivolta, riecheggiano queste parole: “Feirouz’s Bhebbak Ya Lebnan” (Ti amo, Libano). Scopriamo di più su un altro albero natalizio da guinness nella città costiera di Chekka e sulla situazione economica del Libano. Continua a leggere



Libano, studenti in piazza

In Libano gli studenti scendono in piazza. La rivolta contro l’intera classe politica giunge così alla terza settimana. Sono centinaia, universitari e ragazzi di liceo. Affollano le strade, con le loro grida e i loro cori. Chiedono a gran voce un futuro migliore e maggiori opportunità. È la volta dei giovani libanesi che non vogliono arrendersi a corruzione e nepotismo, che non intendono più assistere impotenti di fronte a sperperi di denaro pubblico sottratto alla comunità per l’arricchimento personale di pochi.

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Manifestano pacificamente, scandendo con fermezza i loro slogan: “Vai popolo mio e calpesta, calpesta con i tuoi piedi e schiaccia il governo e il parlamento”. Vogliono bloccare le istituzioni, dai ministeri al potere giudiziario, dai servizi pubblici alle società di telecomunicazioni, percepiti come inefficienti e prezzolati. Ma i blocchi messi in atto dai dimostranti non sono rivolti ai cittadini, bensì ai politici dei quali si vuole l’uscita di scena senza alcuna distinzione tra partiti di governo e opposizioni. E proprio le opposizioni vengono accusate di strumentalizzare i moti popolari a proprio vantaggio, con l’obiettivo di guadagnare maggior peso in parlamento. Gli studenti hanno invaso copiosi non solo la capitale Beirut, ma anche molte città libanesi, da Akkar e Tripoli, nel nord del Paese, alle città costiere di Jounieh e Jbeil, da villaggi montani come Sofar, a Bekaa nella parte meridionale, comprese Nabatieh e Sidone. Scopriamo altri particolari sulla protesta degli studenti libanesi e gli elementi che hanno scatenato la rivoltaContinua a leggere



Libano in bilico

In Libano la rivolta prosegue. Dopo quasi due settimane di proteste e una mobilitazione popolare senza precedenti il Primo Ministro libanese Saad Hariri ha annunciato le proprie dimissioni. Un passo indietro tardivo, che non placa i manifestanti. Però il rischio che i moti di piazza pacifici possano trasformarsi in scontri e sfociare nel sangue sono più che concreti. Hariri, alla guida di un governo di unità nazionale in carica dal dicembre 2016, aveva promesso di far approvare dal Consiglio dei Ministri un piano di riforme economiche.

Queste misure, concesse in extremis, non hanno convinto la folla a fermare la protesta che sta paralizzando da giorni l’intero Paese, portandolo sull’orlo del collasso. Hariri rimette il suo incarico, decretando così la fine dell’esperienza di governo e sciogliendo l’esecutivo che vedeva in coalizione anche gli Hezbollah, partito politico islamista sciita molto vicino all’Iran e alla Siria, i cui sostenitori hanno scatenato disordini scontrandosi con i manifestanti anti-governativi in Piazza dei Martiri a Beirut. Vediamo insieme gli ultimi sviluppi di quella che i dimostranti scesi in piazza hanno definito la rivoluzione libaneseContinua a leggere



Rivolta pacifica in Libano

La protesta in Libano va avanti, senza interruzione, da dieci giorni. Una manifestazione senza leader, spontanea, pacifica, contro corruzione, nepotismo, malversazione ai danni dello stato, per contrastare disuguaglianza e povertà. I libanesi scesi in piazza chiedono con fermezza le dimissioni del governo, responsabile del collasso economico in cui versa il Paese. Tutto è paralizzato. Restano chiusi da giorni esercizi commerciali, banche, scuole. Completamente bloccata la viabilità, con le principali arterie ostruite da barriere e sit-in.

Giovani e anziani manifestano insieme, uniti come mai prima d’ora, superando le divisioni settarie che hanno sempre frammentato l’opinione pubblica, alimentato conflitti religiosi e sociali, e caratterizzato il sistema politico. Non ci sono particolarismi, c’è assoluta unità di intenti, vogliono tutti un futuro migliore e un Paese che possa offrire opportunità. Una protesta che è stata definita pan-settaria perché vi stanno prendendo parte tutti i cittadini libanesi che, con la crescente crisi economica che attanaglia il Paese, unanimemente dichiarano di aver sopportato abbastanza e di non poterne più. Sunniti, sciiti, cristiani, drusi, milioni di persone hanno affollato strade e piazze su tutto il territorio libanese. Ci sono studenti universitari, padri e madri di famiglia, vogliono tutti riforme e cambiamento. Al posto di quello attuale chiedono un esecutivo composto da tecnici, per favorire una stagione riformatrice che cambi finalmente volto al Paese. Scopriamo di più su questa mobilitazione popolare che sta accendendo il LibanoContinua a leggere