Poco più di un anno fa l’Austria ha dominato sui media internazionali per la straordinaria generosità, accoglienza e solidarietà dimostrate nel fronteggiare la drammatica emergenza dei rifugiati. Erste Bank, la seconda banca austriaca, era schierata in prima linea nella fase più difficile dell’afflusso massiccio di migranti. Un evento senza precedenti nel Paese. La storia che sto per raccontarvi parla di una mobilitazione eccezionale, che ha visto il coinvolgimento di tutti i dipendenti di Este Bank, dal CEO Andreas Treichl, ai membri del board, dai manager, agli impiegati di filiale, tutti impegnati attivamente per un solo fine: aiutare le migliaia di profughi transitate in Austria nei mesi più critici della fine del 2015. Il gruppo bancario aveva messo a disposizione, per oltre tre mesi, alcuni spazi del proprio quartier generale, ancora in fase di fine costruzione, adibendoli a centro di accoglienza per quei migranti di passaggio a Vienna, soprattutto offrendo un riparo sicuro a famiglie con bambini. E mentre una banca ha mostrato il suo volto umano in quei giorni difficili di fine 2015 e una convinta attitudine al sociale, che prosegue anche oggi con nuovi progetti a favore dell’integrazione dei richiedenti asilo, il governo austriaco sembra invece offrire un’immagine autoritaria e intransigente, annunciando di continuo misure sempre più restrittive in materia d’immigrazione. Proprio nelle ultime ore il Ministro dell’Interno Sobotka (ÖVP) e il Ministro della Difesa Doskozil (SPÖ) hanno infatti annunciato la volontà di intensificare i controlli lungo il confine con la Slovacchia, una zona diventata troppo permeabile ai rifugiati e ai trafficanti di esseri umani, che negli ultimi mesi viene scelta come rotta privilegiata. E non è tutto, sempre in queste ore, sia l’Austria, sia la Germania, promettono di voler riattivare da febbraio e mantenere per un tempo illimitato i controlli delle frontiere, almeno finché i confini più esterni dell’Unione europea non saranno sicuri. Promette di stanziare un centinaio di soldati il Ministro Doskozil, per pattugliare i treni e impedire l’accesso in modo illecito ai migranti, che continuano ad essere intercettati a centinaia. I treni carichi di profughi accolti dai viennesi con applausi scroscianti alla stazione centrale, l’Hauptbahnhof, sembrano un ricordo sbiadito, quel clima aperto e solidale sembra ormai essere lontano anni luce. Il Ministro Sobotka, ha ribadito che l’Austria ha ricevuto un numero di rifugiati pro capite superiore a Germania, Italia e Grecia, 90.000 domande di asilo nel 2015, 42.100 nel 2016, e porta avanti una linea di netta chiusura. Vengono proposte delle Wartezonen (zone di attesa) nelle quali far rimanere quei migranti che non rimarranno in Austria e quei richiedenti asilo eccedenti rispetto al tetto, che ammontano a 17.001. Aree di attesa nelle quali i migranti dovranno soggiornare, impossibilitati a lasciarle, se non per essere rispediti nei Paesi di origine. La storia di Erste Bank, del suo Campus trasformato temporaneamente in un rifugio per profughi, dell’abnegazione e degli sforzi profusi dal primo all’ultimo dei suoi dipendenti, vale la pena di essere raccontata. Perché non trionfino sempre solo i luoghi comuni, che vedono nelle banche forze oscure da combattere.
“L’’Austria non era preparata a ricevere quell’ondata immensa di profughi. A suo tempo c’è stata una risposta straordinaria da parte della società civile, migliaia di volontari si sono mobilitati. Il gruppo Erste non poteva restare a guardare -mi spiega Boris Johannes Marte, Capo del Polo per l’Innovazione di Erste Bank- Così, assieme al CEO, abbiamo deciso di creare al piano terra della nostra nuova sede, non ancora completata, un centro di accoglienza per rifugiati. Eravamo in 40, tra membri del board, manager e semplici dipendenti, a montare i letti per l’area dormitorio, un sabato di fine agosto”. Continua a leggere→