COVID19, cresce l’IVA in Arabia Saudita

A luglio l’Arabia Saudita innalzerà al 15% l’imposta sul valore aggiunto, causa COVID-19. Emirati e Bahrain restano per ora fermi al 5%. Mentre gli altri Paesi del Golfo sembrano voler rallentare il regime di transizione verso l’introduzione dell’IVA. La decisione dei sauditi arriva come una doccia fredda e rappresenta un vero choc per i consumatori che vedono improvvisamente triplicare l’imposta sul valore aggiunto a partire dal primo luglio.

Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno introdotto assieme l’IVA il primo gennaio 2018. Il Bahrain ha fatto altrettanto un anno dopo. Nel 2018 gli introiti derivanti dall’IVA sono stati 27 miliardi di AED negli Emirati. A metà novembre il regno saudita ha dichiarato di aver avuto un gettito dell’imposta sul valore aggiunto pari a 46,7 miliardi di riyal. Sono molti i settori che hanno chiesto alle autorità emiratine un periodo di sospensione dell’IVA di almeno 6 mesi, per dare una boccata d’ossigeno alle imprese, fortemente destabilizzate dalla pandemia, e consentire ai consumatori di riacquistare fiducia. Ecco perché al momento non sembra che il governo emiratino abbia intenzione di ritoccare l’IVA. Al contrario, mantenerla al 5% produrrebbe vantaggi notevoli per le imprese locali. Vediamo insieme perché l’Arabia Saudita abbia adottato questa misura e cerchiamo di capire se gli Emirati andranno in scia. 

Perché ritoccare l’IVA al 15%?

Prima della pandemia di COVID-19 il Fondo Monetario Internazionale aveva suggerito all’Arabia Saudita di innalzare al 10% l’IVA. Il Ministro delle Finanze saudita Mohammed al-Jadaan ha dichiarato che l’aumento della tassa sul valore aggiunto al 15% è una misura che, per quanto dolorosa, si è resa necessaria per mantenere la stabilità finanziaria ed economica del Paese. A rendere la situazione ancor più difficile, la crisi senza precedenti innescata dal diffondersi del coronavirus. Questo provvedimento era il solo possibile per arginare i danni provocati dalla pandemia. Stavolta il governo saudita non ha posto in essere alcuno sgravio per i residenti, attraverso possibili incentivi in altri settori. Inoltre, si pensa anche di revocare le indennità di cui godevano finora i cittadini sauditi che lavorano in ambito governativo.

Il peso del lockdown

Il drastico calo dei ricavi derivanti dal petrolio, che in periodo di lockdown, con la chiusura di attività commerciali e severe misure restrittive, ha fatto contrarre notevolmente i consumi, non hanno dato molta scelta al regno saudita. La congiuntura mondiale ha determinato la necessità di un trattamento choc per l’Arabia Saudita, i cui fondamentali restano comunque solidi. Sembra essere ancora valido il piano Vision 2030, sebbene si renda necessario apportare più di un aggiustamento, con una progressiva diversificazione dell’economia saudita. Il petrolio oggi contribuisce al 70% del PIL. Con il ribasso del prezzo del petrolio e la contrazione delle vendite di idrocarburi, il regno saudita rischiava il dimezzamento degli introiti. Da qui la scelta dell’innalzamento dell’IVA, come una strada quantomai obbligata. 

Cosa faranno gli Emirati?

In questi giorni il governo emiratino si riunisce e potrebbe inserire in agenda anche il possibile aumento dell’IVA. Se anche dovesse decretare un innalzamento della tassa sul valore aggiunto, sembra poco probabile che possa arrivare al 15% come in Arabia Saudita.

Se restasse al tasso attuale del 5%, però, darebbe un consistente vantaggio sui prezzi sauditi, con opportunità sia per i consumatori, sia per i commercianti. L’oro potrebbe essere tra i primi a risentire di ritocchi sull’IVA. Analogo impatto potrebbe sentirsi nel settore della gioielleria. Anche la logistica è destinata a subire contraccolpi. Quel che appare probabile è che ogni Paese dell’area del Golfo tenderà ad armonizzare in modo diverso il proprio sistema fiscale, cercando di contenere il più possibile la pressione sul budget determinata dalla crisi economica innescata dalla pandemia di coronavirus.

Dubai e le richieste degli imprenditori

Per fronteggiare la recessione provocata dalla pandemia di COVID-19 alcune tra le più grandi imprese con sede a Dubai hanno chiesto alle autorità di poter ottenere una riduzione dell’IVA, dall’attuale 5% al 2%, e anche un dimezzamento degli oneri doganali, fino alla fine dell’anno. Le piccole e medie imprese, soprattutto le aziende a conduzione familiare particolarmente in sofferenza, hanno inoltre chiesto tagli del 50% sulle spese di elettricità, acqua e servizi, sempre fino alla fine del 2020. Questo aumenterebbe la liquidità a disposizione del mondo imprenditoriale e arginare gli effetti della crisi.

Gli imprenditori chiedono anche di poter partecipare, assieme alle autorità, alla stesura di un piano di risanamento dell’economia del Paese. Altra misura utile potrebbe essere la disposizione per accelerare i pagamenti da parte delle varie agenzie governative e delle loro controllate. Tra le richieste delle aziende a conduzione familiare c’è anche quella di eliminare o ridurre le spese per emissioni e rinnovi di licenze commerciali sempre fino alla fine di quest’anno.