Gli Emirati, primo Paese arabo a produrre energia nucleare, hanno iniziato a far funzionare al 50% della capacità l’impianto di Barakah, ad Abu Dhabi. La centrale, la cui accensione è avvenuta lo scorso agosto, è costata 19 miliardi di euro (22,4 miliardi di dollari). Realizzata con tecnologia sudcoreana, fornita dalla KEPCO, dispone di quattro reattori di nuova generazione a fissione, con reazione a catena nucleare controllata. L’annuncio dell’aumento di potenza dell’operatività dell’unità 1, è arrivata in concomitanza con la riconferma dell’assegnazione agli Emirati Arabi Uniti di un seggio all’interno del consiglio direttivo dell’AIEA. Il consiglio è una delle massime autorità a livello mondiale sull’uso dell’energia atomica a scopi pacifici.
Una rielezione che rappresenta il segno tangibile della fiducia nell’operato delle autorità emiratine e che conferisce al Paese un ruolo sempre più importante nel processo di elaborazione delle politiche nucleari internazionali. Il programma nucleare degli Emirati e l’impianto di Barakah, infatti, sono stati realizzati con il supporto dell’AIEA.
Sempre nel mese di agosto sono avvenuti collegamento, integrazione e sincronizzazione del reattore 1 alla rete elettrica nazionale, dopo una lunga serie di test di sicurezza. Operazione che ha fornito i primi megawatt di energia pulita al Paese. Vediamo insieme quanto manca alla fine della costruzione dell’impianto di Barakah e quali rischi può rappresentare la presenza di una centrale nucleare nell’area del Golfo.
A che punto è la costruzione della centrale?
La ENEC (Emirates Nuclear Energy Corporation) ha dichiarato che è stato costruito più del 55% dell’impianto. L’unità 2 è stata completata e dovrebbe diventare operativa in tempi relativamente brevi. Lo stato di avanzamento della costruzione del reattore 3 è giunta al 93%. L’unità 4, invece, è stata realizzata all’86%. I quattro reattori, una volta funzionanti, produrranno 5.600 megawatt di energia, abbastanza per soddisfare il 25% dell’elettricità necessaria al Paese. Grazie alla centrale di Barakah si eviteranno emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera pari a 21 milioni di tonnellate all’anno, l’equivalente dell’eliminazione di 3,2 milioni di automobili dalle strade ogni anno.
Energia pulita e fonti rinnovabili
Con il pieno funzionamento dell’impianto di Barakah gli Emirati contano di poter ricavare molto più del 50% della propria elettricità da fonti rinnovabili entro il 2050, superando così ampiamente gli obiettivi fissati dalle autorità emiratine in materia di energia sostenibile.
Attualmente il 70% dei progetti legati alle energie rinnovabili del GCC sono riconducibili agli UAE che sono il terzo Paese a livello mondiale per numero di investimenti destinati ad impianti ad energia solare.
Una presenza rischiosa nella penisola arabica
La centrale è stata chiamata Barakah che in arabo vuol dire “benedizione divina”. A dispetto del nome evocativo, molti analisti considerano quell’impianto un pericolo concreto in un’area, la Penisola arabica, caratterizzata da instabilità, tensioni e rivalità. Gli attacchi alle strutture petrolifere saudite da parte dell’Iran avvenuti un anno fa rappresentano un precedente ad alto rischio nel caso l’obiettivo dovesse essere l’impianto nucleare emiratino. Tra tutti i Paesi vicini è il Qatar ad essere particolarmente preoccupato. La centrale, infatti, si trova nella regione dell’Al Dhafrah, la porzione costiera più occidentale degli Emirati, e non molto distante dai confini qatarini. Ma il Qatar ha più di un motivo per definire Barakah “una grave minaccia alla pace nella regione e all’ambiente”, essendo al centro di una crisi che da oltre tre anni non accenna a ricomporsi. L’isolamento imposto da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, vede l’imposizione di un embargo diplomatico, economico e logistico che sta danneggiando non solo l’economia qatarina.
Nucleare, uno status symbol?
Essere in grado di produrre energia nucleare è per le nazioni che se ne dotano l’evidenza della propria potenza. Malgrado molti Paesi stiano abbandonando il nucleare, soprattutto in Europa, a favore di un incremento del fotovoltaico e dell’eolico, ve ne sono ancora molti che puntano su una fonte che presenta criticità e rischi. Per quanto nell’immediato l’energia atomica risulti più pulita rispetto a quella ricavata da combustibili fossili, l’impatto sull’ambiente è enorme. Tuttora irrisolto il problema dello stoccaggio delle scorie radioattive. La volontà di affrancarsi da un’economia basata sugli idrocarburi da parte degli Emirati Arabi Uniti spinge il Paese a sperimentare ogni possibile alternativa.
Le catastrofi di Chernobyl e Fukushima, però, sono un monito a non sottovalutare la pericolosità del nucleare.
Barriere coralline da proteggere
L’avvio del reattore 1 della centrale di Barakah ha già creato la prima sfida ambientale: proteggere le barriere coralline e garantire la biodiversità della costa di Abu Dhabi.
7.300 sedimentazioni rocciose di coralli sono state rimosse dallo specchio di costa in cui sorge l’impianto nucleare per spostarle in altre zone. Altre 22.300 formazioni sono state fatte crescere in altre porzioni di costa. Inoltre, sono stati creati 6.000 metri quadri di barriere coralline artificiali. Ma saranno sufficienti questi sforzi per evitare che l’ambiente, soprattutto quello marino, subisca danni irreparabili per la presenza della centrale atomica?