Per Viktor Orbàn e per il suo partito Fidesz è stata una vittoria schiacciante. Terzo mandato per lui, con una maggioranza che sfiora il 50%. Fidesz conquista due terzi del Parlamento, ottenendo 133 seggi su 199. Le elezioni politiche dell’8 aprile sono state un vero trionfo per Orbàn. Contro ogni previsione l’affluenza alle urne attorno al 70% non ha giocato in favore delle opposizioni ma, al contrario, ha aiutato il premier uscente.
Jobbik, il partito nazionalista di destra radicale, non più euroscettico e ricollocatosi adesso su posizioni più moderate, visto che quelle più estremiste le ha già tutte occupate Fidesz, ha fallito l’obiettivo di scalzare Orbàn. Tanto che il suo leader Gabor Vona si è dimesso. Ottenere il 20% dei consensi è un magro bottino per chi si riproponeva di voler combattere la corruzione diffusa che finora ha prosperato con il governo Orbàn. L’elettorato ha confermato la propria fiducia al premier, ha dato il proprio voto a colui che ha promesso di salvare il Paese dagli attacchi esterni, da chi vorrebbe sottrarre l’Ungheria agli ungheresi. Vediamo in dettaglio le ragioni di questo macroscopico successo elettorale.
La carta dell’immigrazione
Ha avuto presa sugli elettori la minaccia dell’invasione dei migranti, il rischio del crollo dell’Occidente e la paura dell’islamizzazione. Ormai Orbàn è il simbolo di chi si oppone ad un’afflusso spropositato di rifugiati, è colui che nel 2015 ha costruito il muro, ha eretto quelle recinzioni a protezione dei confini ungheresi. È l’eroe, il salvatore della patria. E poco importa che di tutti i rifugiati transitati pochissimi abbiano deciso di chiedere asilo in Ungheria. Per quanto il problema immigrazione non esista, è proprio grazie al timore che un fiume in piena di migranti potesse arrivare che un numero così nutrito di cittadini ungheresi ha deciso di affidare ad Orbàn un terzo mandato.
Un’opposizione troppo debole
Disorganizzata e disunita l’opposizione nulla ha potuto contro Fidesz e il suo leader carismatico, politico di lungo corso dalle straordinarie capacità comunicative. Orbàn è un abile oratore e sa toccare le corde giuste per infervorare il proprio elettorato e mobilitarlo quando occorre, scatenando reazioni da stadio tra i suoi sostenitori, come se non fosse politica, bensì tifo calcistico. I partiti dell’opposizione non hanno saputo creare alleanze. Solo coalizzandosi tutti assieme avrebbero potuto sperare di fare un fronte unico anti-Orbàn. Però è anche vero che quella tra Jobbik e la sinistra sarebbe stata un’alleanza assolutamente innaturale. Inoltre, fumoso e poco chiaro cosa avrebbe fatto l’opposizione una volta eliminato Viktor Orbàn. Un ruolo forte lo ha avuto anche la totale mancanza di alternative al leader di Fidesz.
Come Facebook e Cambridge Analytica?
L’ecosistema mediatico sotto il suo controllo, diretto o indiretto, che spazia dalle tv ai giornali, ai siti web fino ai social media, garantisce al leader di Fidesz una presa granitica sull’elettorato. Le informazioni e i dati sono gestiti in modo da offrire un quadro dell’operato politico di Viktor Orbàn che non necessariamente risponde alla realtà, anzi la diffusione di fake news è tale da inquinare qualsiasi verità. Un martellamento come quello fatto per mesi e mesi sul tema dell’immigrazione alla fine produce effetti dirompenti, simili a quanto fatto da Cambridge Analytica. L’importante è offrire agli ungheresi una narrativa incisiva, che dia un nome e un volto alle paure, all’insicurezza e all’incertezza del nostro tempo.
“Viktator” e “democratura”
Le campagne portate avanti dalle opposizioni non sono riuscite a penetrare il Paese in modo esteso e capillare, anzi, al di fuori delle grandi città il loro effetto è stato pressoché nullo. In Ungheria i detrattori di Viktor Orbàn lo hanno soprannominato Viktator, mentre altri dicono che il suo governo è illiberale ed è più simile a un regime, tanto che per definirlo usano l’espressione “democratura”, una crasi tra democrazia e dittatura. È vero, Orbàn gode di un mandato popolare ma tutto, dal sistema dell’informazione alla legge elettorale è organizzato per portare voti e seggi sicuri al premier. Il rischio è che adesso, forte della sua imperiosa vittoria Orbàn spazzi via gli ultimi brandelli di media indipendenti creando attorno a sé un ecosistema che favorirà ancor più il suo potere sugli elettori. Si rafforzerà l’asse tra Ungheria e Polonia e per l’Unione europea si prospettano tempi davvero difficilissimi.
Chiude il giornale più antico
I primi segni del dopo voto iniziano subito a farsi sentire. Come era prevedibile la stretta sui mezzi d’informazione indipendenti è cominciata subito dopo il trionfo elettorale di Fidesz. Clamorosa è la chiusura del giornale più vecchio d’Ungheria, Magyar Nemzet, fondato 80 anni fa.
Un quotidiano conservatore di proprietà dell’oligarca Lajos Simicska, che dichiara di essere a corto di risorse finanziarie. Lajos Simicska era un grande alleato di Viktor Orbàn, ma ormai si è trasformato in un nemico da combattere e il suo giornale, sempre su posizioni conservatrici, era una delle poche voci critiche nel Paese, soprattutto nell’ultima campagna elettorale. All’origine delle difficoltà economiche sembra abbia giocato un ruolo decisivo la drastica riduzione di pubblicità governativa. Assieme a Magyar Nemzet ha chiuso i battenti anche la stazione radiofonica Lanchid Radio, della stessa proprietà. Incerto anche il futuro di altri media sempre nelle mani di Simicska, per i quali il tycoon ungherese sarebbe in cerca di possibili compratori. Si vive nell’incertezza per altri due grandi media indipendenti: il gruppo RTL Television, che fa capo al gruppo tedesco Bertelsmann e Indexhu, un seguitissimo sito web d’informazione nel cui consiglio di amministrazione siede uno stretto collaboratore di Simicska. Altro mezzo d’informazione libero resta il quotidiano Nepszava, di proprietà dell’ex tesoriere del Partito Socialista Laszlo Puch, che lo possiede attraverso una società austriaca. Però è un giornale che fa meno paura ad Orbàn perché ha un seguito di lettori decisamente inferiore ad index.hu.