Il fenomeno jihadista si allarga a macchia d’olio. La radicalizzazione non conosce barriere sessuali. In Austria, infatti, sono 59 le donne diventate jihadiste, pronte ad andare a combattere in zone di guerra come Siria e Iraq, unendosi alle milizie dell’ISIS. Ben 59 donne su un totale di 280 foreign fighter austriaci. Di questi 89 hanno fatto ritorno in Austria e 13 di essi sono donne. Polizia e intelligence hanno impedito che ne partissero 50 per Siria e Iraq, 22 dei quali sono donne. In pratica il 21% dei simpatizzanti dell’ISIS è costituito da donne. Una percentuale tutt’altro che marginale, non solo rapportata alla popolazione austriaca, ma anche se paragonata a Paesi come ad esempio il Belgio, che pur avendo un numero di foreign fighter tra i 420 e i 516, nettamente superiore all’Austria, ha una percentuale di donne tra i simpatizzanti di Daesh del 17%. I dati austriaci finora disponibili fotografano la situazione alla fine di agosto 2016. Secondo gli esperti esistono motivi specifici per i quali il mondo femminile sarebbe così attratto dalla propaganda di Daesh e occorre escogitare adeguate contromisure, per prevenire un incremento di donne radicalizzate e potenziali jihadiste.
“Il problema in Austria è ancora relativamente di piccole dimensioni se paragonato a Francia, Belgio, o altri Paesi europei -mi dice il Prof. Rüdiger Lohlker della Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Vienna– È un problema che va affrontato seriamente, ma non ha ancora assunto una connotazione tale da ingenerare panico nell’opinione pubblica. La questione dell’ambiente radicalizzato, nel quale si diffonde l’Islam indentitario è un problema sociale ben più grande. In Austria non vi sono numeri scioccanti, ma si ha la prova che le donne possono essere stupide tanto quanto gli uomini. E che non sempre l’universo femminile rappresenta la parte pacifica dell’umanità”. Anche Germania e Regno Unito hanno un consistente numero di foreign fighter e simpatizzanti dell’ISIS. Però, se sempre più donne austriache finiscono per radicalizzarsi e unirsi all’IS, vuol forse dire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modello d’integrazione proposto in Austria? “Non sono sicura che vada visto davvero come un fallimento dell’integrazione -dice Carla Amina Baghajati Rappresentante delle Donne dell’IGGÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich– Sì, come gli uomini anche le donne seguono il jihad, perché come gli uomini possono avere una personalità instabile, possono provare un senso di esclusione e sentire il bisogno di appartenere a qualcosa. Le sette del terrore offrono l’impressione di essere accoglienti, inclusive, sembrano dire sì, stavamo proprio aspettando TE! Ma una simile, disperata crisi personale può colpire chiunque”.
Jihadismo al pari di una setta
È interessante come Carla Amina Baghajati metta sullo stesso piano il terrorismo e il mondo delle sette. Entrambi si basano sul medesimo meccanismo seduttivo e su identiche strategie per irretire nuovi adepti. “Abbiamo visto che anche donne senza alcun retroterra islamico sono state sedotte dallo jihadismo -mi racconta la Baghajati- provenivano da famiglie cristiane, avevano sui 15 anni di età. Avevano scarsa autostima, avevano vissuto un’esistenza difficile, nella quale non si sono sentite apprezzate e dove hanno sperimentato solitudine e infelicità”. Le tecniche utilizzate dalle organizzazioni terroristiche come l’ISIS per reclutare nuovi affiliati sono le stesse delle sette, come analoghi sono i meccanismi di controllo psicologico esercitati su coloro che ne fanno parte. A subire maggiormente il giogo sono ragazzine molto giovani, con profili psicologici deboli e problematici.
Jihad, la setta del terrore che può fagocitare
Carla Amina Baghajati non sembra avere dubbi, gli jihadisti si comportano esattamente come una setta e recidere quei legami così stretti e vincolanti alla fine può risultare quasi impossibile. Ecco perché occorre fare un’incisiva azione preventiva, far conoscere a ragazzi e ragazze minorenni i grandi pericoli connessi a quelle scelte. “Gli ordini che i terroristi dell’IS impartiscono a queste giovani donne, spesso solo adolescenti, sembrano dare un senso alle loro vite -rilancia la Baghajati- Abbiamo potuto notare cambiamenti estremi come passare dal frequentare discoteche all’indossare il velo integrale nell’arco di una settimana. A volte si tratta di provocazioni, un modo per attirare l’attenzione. È un disperato grido di aiuto. E andrebbe ascoltato subito, per salvare queste ragazzine prima che vengano irrimediabilmente inghiottite all’interno della setta”. I numeri austriaci sono ancora piuttosto contenuti, ma il rischio esiste ed è più che mai reale ecco perché “non ci si può rilassare finché il pericolo è così concreto” evidenzia la Baghajati.
Il ruolo femminile nel Califfato
Le donne, al pari degli uomini, sono attratte dall’idea di creare uno “stato” attraverso la lotta armata. All’interno del Califfato islamico, alla donna viene generalmente assegnato il ruolo della moglie, della compagna che sta al fianco dei miliziani, che vengono considerati “eroi”. Anche se talvolta è possibile che le donne vengano utilizzate in prima linea, raramente come soldati, più di frequente come attentatori suicidi. “Dalla mia esperienza il ruolo delle donne nel Califfato islamico è principalmente quello di dare vita e far crescere i futuri mujahidin, di sostenere le strutture amministrative, di controllare le altre donne e si assiste un po’ meno a un loro impiego sul fronte bellico” dice il Prof. Rüdiger Lohlker.
Cosa spinge al jihadismo
Il sesso sembra non essere discriminante per chi decida di abbracciare il terrorismo. Insomma per gli esperti in gioco vi sono solo personalità fragili, facilmente manipolabili dai predicatori d’odio e morte. Non si tratta neppure del fallimento del modello di integrazione austriaco. Forse in crisi è la società occidentale, con i suoi valori, o con la sempre più evidente mancanza di modelli forti di riferimento. “Non solo donne straniere diventano seguaci di Daesh, ma anche le convertite nate in Austria da famiglie immigrate -mi spiega il Prof. Lohlker- Quindi le donne radicalizzate sono, che ci piaccia o meno, un prodotto della società austriaca. La maggior parte delle donne musulmane non decide di diventare jihadista. Alla base di tale scelta vi sono ragioni individuali”. E queste ragioni meritano di essere analizzate approfonditamente.
La crisi personale
Prima fra tutte, appunto, la crisi individuale, molto diffusa tra i teenager, tra gli adolescenti, in perenne conflitto con famiglia, scuola, società. “La ricerca di una comunità alla quale appartenere, di un ambiente ospitale del quale fare parte, come elemento stabilizzatore, una cosa tipica dei ragazzini, ma che può portare a unirsi a compagnie sbagliate” racconta il Prof. Lohlker. “Come Autorità religiosa islamica l’IGGÖ si concentra sulla prevenzione. Cerchiamo di raggiungere i giovani musulmani, specialmente facendo diventare la paura del terrorismo un argomento centrale nelle nostre lezioni di Islam nelle scuole pubbliche, frequentate da più di 70.000 giovani” sottolinea la Baghajati.
Il fascino del jihadista
Come in una favola, anche se questa ha più le caratteristiche di un incubo, portando con sé una terribile scia di morte, sangue, orrore, le giovani donne possono subire il fascino del miliziano dell’ISIS. “Il sogno romantico dell’eroe su di un cavallo bianco, che viene a salvare la fanciulla come in un film, può stimolare il desiderio in una ragazzina appena diventata donna -dice la Baghajati- Ma questo non ha niente a che vedere con l’amara realtà. Le giovani donne sono attratte all’idea di essere sposate con un combattente. Ma occorre metterle in guardia, è necessario dire loro cosa accadrà in realtà. Saranno sfruttate sessualmente, quelli che ai loro occhi sembrano eroi sono invece dei brutali violentatori, che le renderanno delle schiave, accanto alle loro mogli ufficiali”. Il grido d’allarme di Carla Amina Baghajati punta a sensibilizzare le giovani che pensano di andare in Siria, o in altri teatri di guerra per imbracciare un fucile e combattere. Molto diversa ed enormemente pericolosa è la realtà che le aspetta all’interno dell’IS.
Moglie di un jihadista per ribellione
“Essere sposa di un jihadista può essere una ragione per unirsi al jihad -puntualizza il Prof. Rüdiger Lohlker– Cercare il proprio principe azzurro, il cavaliere con indosso un’armatura lucente, può anche rappresentare un modo per ribellarsi alla famiglia, o alla società, oppure può dare l’idea distorta di essersi emancipate dalla famiglia”. Insomma scegliere l’uomo sbagliato, come può esserlo un terrorista, rappresenta una delle sfide dell’adolescente ribelle, che manifesta la propria opposizione all’ordine costituito e la sua insofferenza per l’autorità seguendo il jihad, o che crede di ottenere l’emancipazione aderendo all’ideologia del terrore.
Ragioni umanitarie e fandom
“Talvolta si diventa jihadisti per ragioni per così dire umanitarie, come ad esempio l’idea di solidarizzare e aiutare i musulmani perseguitati e oppressi” dice il Prof. Lohlker. Ad un certo livello la ragione può essere “il sentirsi parte di un fandom”, sentirsi parte di un gruppo composto da fan, di una subcultura caratterizzata da un sentimento di empatia e cameratismo, anche se per il Prof. Rüdiger Lohlker questa motivazione oggi tende ad essere più debole. A dire il vero non c’è mai solo una ragione, bensì un insieme di ragioni per cui si decide di unirsi al jihad. “Cruciali sono i network che offrono il jihad come una soluzione -mi spiega il Prof. Lohlker- Ci sono problemi di integrazione in Austria che facilitano il prosperare di questi network, consentendogli di raggiungere giovani e giovanissimi”. Uno dei più grandi errori è lasciar sole le comunità di migranti, abbandonate a se stesse, senza reti di fiducia al proprio interno connesse alla maggioranza.
Non basta dire il terrorismo non c’entra con l’Islam
“Personalmente rispetto agli anni precedenti non vedo un problema di radicalizzazione così serio -afferma Carla Amina Baghajati– Spero che il picco massimo sia ormai un ricordo. In ogni caso sono convinta che dovremmo intensificare l’approccio improntato al dialogo, che abbiamo intrapreso all’interno della comunità musulmana”. Il paradosso che si consuma all’interno del mondo islamico è talvolta una delle cause di una mancata ed efficace azione contro ogni forma di estremismo e radicalismo. “Non basta dire: il terrorismo non ha nulla a che vedere con l’Islam. Finché gli estremisti usano l’Islam con interpretazioni sbagliate, asservendo l’Islam alla loro disumana ideologia, noi musulmani dobbiamo dire chiaramente che queste non sono interpretazioni possibili dei sacri testi islamici, che tutto ciò si colloca fuori dall’Islam” dice la Baghajati. Ai musulmani spetta quindi il difficile compito non solo di prendere le distanze da ogni forma di radicalismo e dal terrorismo, ma anche rafforzare la convinzione che l’Islam sia compatibile con “la democrazia, la legge dello stato, il pluralismo, i diritti umani” puntualizza la Baghajati.
Combattere dall’interno terrorismo, violenza, pregiudizio
Secondo Carla Amina Baghajati i musulmani non si possono nascondere quando si parla di violenza. “Non si possono liquidare i matrimoni forzati, o i delitti d’onore come qualcosa che non c’entra con l’Islam, ma che riguarda le tradizioni -sottolinea la Baghajati- Così si perde la chance di unirsi per combattere questi fenomeni. Comunque sono contenta che questo atteggiamento sia cambiato”. Attualmente sta crescendo tra donne e uomini musulmani, già in ambito scolastico, la consapevolezza di dover contrastare la violenza. “Occorrerebbe trasferire questa esperienza positiva anche nella lotta contro il terrorismo. Sta già succedendo -mi racconta la Baghajati- Le voci dei musulmani, però, dovrebbero uscire dall’ambito della comunità islamica, facendosi sentire anche all’esterno, promuovendo queste idee di dialogo e apertura”.
Jihadismo e foreign fighter, un fenomeno in decrescita?
Il fenomeno jihadista per Carla Amina Baghajati è totalmente slegato dal sesso: “Ogni singolo che si unisca al cosiddetto Stato Islamico è una persona. Comunque va messo in evidenza che l’IS sta perdendo molta della sua attrattiva. Sono sempre meno coloro che cadono in questa trappola. Se secondo i dati del Ministero dell’Interno nel 2015 le persone a rischio radicalizzazione erano 130, nel 2016 il numero è sceso a 16”. Però, è altresì vero, che non è possibile abbassare la guardia considerando l’Austria come un’isola felice. I recenti attacchi rivendicati dall’ISIS, spesso attuati dai cosiddetti “lone wolf”, dimostrano che il pericolo c’è e che occorre porre in atto tutte le possibili soluzioni per favorire integrazione e inclusione, evitando che gli adolescenti immigrati, di seconda o terza generazione, si sentano estranei al contesto sociale nel quale sono nati e nel quale vivono.
Internet e il Califfato
Nella lotta contro radicalizzazione e terrorismo si deve anche guardare ai social media e al web. “Internet aiuta molto a diffondere il messaggio jihadista attraverso la propaganda online -conclude il Prof. Rüdiger Lohlker– ma deve essere supportato anche da strutture e reti offline”. Smantellare quelle reti offline è compito di una società che combatte l’alienazione e che è in grado di offrire ai giovani modelli di riferimento, opportunità, possibilità di un futuro migliore.