Jihad sotto il velo

Il fenomeno jihadista si allarga a macchia d’olio. La radicalizzazione non conosce barriere sessuali. In Austria, infatti, sono 59 le donne diventate jihadiste, pronte ad andare a combattere in zone di guerra come Siria e Iraq, unendosi alle milizie dell’ISIS. Ben 59 donne su un totale di 280 foreign fighter austriaci. Di questi 89 hanno fatto ritorno in Austria e 13 di essi sono donne. Polizia e intelligence hanno impedito che ne partissero 50 per Siria e Iraq, 22 dei quali sono donne. In pratica il 21% dei simpatizzanti dell’ISIS è costituito da donne. Una percentuale tutt’altro che marginale, non solo rapportata alla popolazione austriaca, ma anche se paragonata a Paesi come ad esempio il Belgio, che pur avendo un numero di foreign fighter tra i 420 e i 516, nettamente superiore all’Austria, ha una percentuale di donne tra i simpatizzanti di Daesh del 17%. I dati austriaci finora disponibili fotografano la situazione alla fine di agosto 2016. Secondo gli esperti esistono motivi specifici per i quali il mondo femminile sarebbe così attratto dalla propaganda di Daesh e occorre escogitare adeguate contromisure, per prevenire un incremento di donne radicalizzate e potenziali jihadiste.

 

“Il problema in Austria è ancora relativamente di piccole dimensioni se paragonato a Francia, Belgio, o altri Paesi europei -mi dice il Prof. Rüdiger Lohlker della Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Vienna– È un problema che va affrontato seriamente, ma non ha ancora assunto una connotazione tale da ingenerare panico nell’opinione pubblica. La questione dell’ambiente radicalizzato, nel quale si diffonde l’Islam indentitario è un problema sociale ben più grande. In Austria non vi sono numeri scioccanti, ma si ha la prova che le donne possono essere stupide tanto quanto gli uomini. E che non sempre l’universo femminile rappresenta la parte pacifica dell’umanità”. Anche Germania e Regno Unito hanno un consistente numero di foreign fighter e simpatizzanti dell’ISIS. Però, se sempre più donne austriache finiscono per radicalizzarsi e unirsi all’IS, vuol forse dire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modello d’integrazione proposto in Austria? “Non sono sicura che vada visto davvero come un fallimento dell’integrazione -dice Carla Amina Baghajati Rappresentante delle Donne dell’IGGÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich– Sì, come gli uomini anche le donne seguono il jihad, perché come gli uomini possono avere una personalità instabile, possono provare un senso di esclusione e sentire il bisogno di appartenere a qualcosa. Le sette del terrore offrono l’impressione di essere accoglienti, inclusive, sembrano dire sì, stavamo proprio aspettando TE! Ma una simile, disperata crisi personale può colpire chiunque”.  Continua a leggere

1.000 euro per sloggiare

L’Austria offre 1.000 euro a ciascun rifugiato che decida volontariamente di fare ritorno nel proprio Paese d’origine. Al tempo stesso è pronta ad aprirsi alla redistribuzione dei migranti, così come chiede Bruxelles, accettando quote da Italia e Grecia. Così, da un lato sembra essersi allentata la tensione diplomatica tra Vienna e Roma, alimentata dalle dichiarazioni del Ministro della Difesa Hans Peter Doskozil (SPÖ), che rifiutava categoricamente di aprire le porte a migranti provenienti dall’Italia e che, ancora oggi, chiede l’uscita dell’Austria dal Programma Ue di redistribuzione dei rifugiati. Dall’altro si sta consumando una frizione, tutta interna alla coalizione di governo, tra socialdemocratici e popolari. Gli uni fanno la voce grossa e sono contrari a farsi carico di quel numero di migranti di loro pertinenza, come previsto dagli accordi comunitari. Gli altri sembrano avere toni più concilianti, come il Ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka (ÖVP), che oggi rassicura Bruxelles e Roma, dicendo che, seppur a malincuore, l’Austria accetterà il ricollocamento di quote di rifugiati per alleggerire quei Paesi membri più colpiti dai flussi migratori, come l’Italia. Sobotka ha detto di aver iniziato a lavorare a stretto contatto con il Ministro dell’Interno italiano Marco Minniti e con il Commissario europeo per la Migrazione e gli Affari interni Dimitris Avramopulos, avviando il processo di redistribuzione e facendo così fronte alle ripetute sollecitazioni giunte all’Austria dall’Unione europea in materia d’immigrazione.

 

Ricollocare quote di migrati per il Ministro Sobotka è sostanzialmente sbagliato, perché a suo dire, è un incentivo per tutti gli illegali a giungere in Europa, aiutati dalle reti criminali dei trafficanti di esseri umani. Insomma, Wolfgang Sobotka riconosce che l’Austria non possa più sottrarsi ai suoi doveri comunitari, perché le deroghe a riguardo sono venute meno a partire dall’11 marzo scorso, però non condivide la misura, che a suo giudizio non aiuta ad arginare nuovi afflussi di immigrati illegali all’interno dell’Ue. Sullo sfondo gli incentivi che stanziano fondi per liberarsi di fatto di immigrati scomodi, che l’Austria non ha alcuna intenzione né di ospitare, né di prendersi cura. Le nuove misure, infatti, prevedono ulteriori 500 euro, per un totale di 1.000 euro a persona, da elargire ai primi 1.000 rifugiati che, su base volontaria, rinuncino a presentare richiesta di asilo sul territorio austriaco e tornino indietro al Paese d’origine.  Continua a leggere

Una “banca” in bitcoin

Vienna ha la sua prima “banca” in bitcoin. L’agenzia per la compravendita di BTC si trova nella centralissima Mariahilfer Straße, la famosa e frequentata via dello shopping. Si chiama “The House of Nakamoto”, in onore di Satoshi Nakamoto, pseudonimo del misterioso inventore della criptovaluta, il Bitcoin. I clienti di questa agenzia possono andare con soldi contanti e ottenere i bitcoin, o viceversa. Inoltre è possibile avere tutte le informazioni sulla moneta digitale, dalle quotazioni al funzionamento delle varie transazioni.

A gennaio il bitcoin (BTC) ha toccato vertici inattesi, guadagnando il massimo del suo valore, ben 1.000 dollari (940 euro), per la prima volta in tre anni e dopo aver chiuso il 2016 come valuta con la miglior performance. Secondo alcuni esperti questa impennata registrata dal valore del BTC è dovuta all’aumento della domanda in Cina, Paese nel quale si sono avuti il maggior numero di scambi al mondo. Ma è davvero così? Per capire meglio le continue fluttuazioni alle quali è soggetto il bitcoin ho chiesto il parere di un esperto del settore in Austria, Paolo Sommariva, Startup & Angel Investor basato a Vienna. “La Cina è il mercato numero uno del BTC e ci sono molti day-trader attivi -mi spiega Paolo Sommariva- Per cui una certa volatilità è certamente dovuta a piccoli speculatori. Quanto sia questa proporzione è difficile dirlo”. Se da un lato il BTC cresce come mai fatto prima, dall’altro inizia a mostrare qualche fragilità e anche qualche problema di tipo tecnico. Tutti fattori che forse, in tempi molto rapidi, potrebbero determinare possibili cambiamenti nella criptovaluta. “Il Bitcoin ha problemi tecnici -mi racconta Paolo Sommariva- La dimensione dei blocchi che si chiudono ogni 10 minuti è troppo piccola per far stare tutte le transazioni, perciò in alcuni momenti ci sono tempi di attesa lunghi, anche diverse ore, per avere conferma delle transazioni. Inoltre ci sono stati diversi attacchi DDoS alla blockchain. Insomma, il momento è molto caldo e potrebbero esserci cambiamenti profondi nella struttura del BTC nelle prossime settimane”.

La filiale viennese della prima “banca” in bitcoin è modernissima, tutta vetro, colori vivaci, arredi di design. All’interno offre anche gadget legati alla criptovaluta, forse per attrarre nuova clientela. Infatti il mercato sta diventando improvvisamente piuttosto competitivo, per l’entrata in scena di nuove criptovalute come ad esempio ETH (Ethereum). “L’Ethereum ha avuto un’impennata ed è appena arrivato a 42 dollari, da 1 dollaro quando è stato lanciato nel 2015 -dice Sommariva- Probabilmente molti sono passati da BTC a ETH, altrimenti non si spiega questo aumento così repentino”. Insomma stiamo assistendo ad un eccezionale fermento nel settore dei sistemi digitali della gestione del valoreContinua a leggere

A rischio l’ultimo paradiso dei fumatori

Vienna pulita, inizia dai mozziconi di sigaretta. Chi li getterà per terra pagherà fino a 90 euro di multa. Per l’assessore Ulli Sima della giunta comunale dell’SPÖ, alla guida dell’amministrazione della capitale austriaca, è lotta senza quartiere contro le cicche buttate per strada sui marciapiedi da fumatori incalliti, con scarso senso civico. Obiettivo della delibera: avere una città linda e ordinata, un po’ sulla falsariga della Svizzera o di Singapore. Le pattuglie dei cosiddetti “Waste Watcher”, controllori dei rifiuti, sono attive a Vienna dal 2008, e ad oggi hanno fatto 55.000 interventi di controllo per le strade. Le ammende comminate dai “Waste Watcher” a chi trasgredisca le nuove norme sono salite dai precedenti 36 euro a 50 euro, fino ai casi più gravi puniti con la cifra di 90 euro. Il denaro delle multe confluirà nei fondi utilizzati per la pulizia della città. L’inasprimento delle disposizioni comunali è frutto dell’adeguamento di Vienna alle nuove regole federali.

 

Ad essere tutelati sono più in generale tutti gli arredi urbani, dalle panchine agli idranti, dalle locandine pubblicitarie alla contaminazione delle acque del Danubio. Nel caso vengano vandalizzati o insudiciati cartelloni pubblicitari si rischiano 2.000 euro di ammenda. Non solo mozziconi di sigarette, nel mirino dell’amministrazione comunale viennese ci sono anche escrementi di cani, lattine e bottiglie.

I “Waste Watcher” viennesi sono una cinquantina, affiancati da 400 uomini che compongono squadre specializzate, con l’incarico di effettuare ispezioni e controlli capillari sul territorio urbano. Non mancano voci critiche riguardo al provvedimento, soprattutto tra gli esponenti dell’ÖVP, il partito popolare. Sull’assessore Sima grava l’accusa di aver triplicato inutilmente le multe, mentre per avere una città più pulita, dicono i detrattori, basterebbe solo far rispettare la legge esistente.  Continua a leggere

ISIS: guerra agli Imam austriaci

La scia di morte seminata dall’ISIS non si arresta e arriva fino in Austria. Stavolta nel mirino non ci sono solo gli infedeli, ma anche importanti Imam e figure di spicco dell’Islam austriaco e tedesco. Le minacce di Daesh sono state lanciate attraverso il magazine online Rumiyah, grancassa della propaganda del Califfato islamico e mezzo utilizzato per il reclutamento di nuovi adepti al jihad. Obiettivo dichiarato sono gli infedeli (Kafir) e gli apostati (Murtadd) coloro che per l’ISIS si sono allontanati dalla vera religione, diventando così discepoli del male. Chiunque non combatta i Kafir diventa a sua volta infedele, anche se musulmano. Uccidere questi musulmani conniventi e venduti, per Daesh è persino più significativo che l’eliminazione dei cosiddetti crociati. Ad essere colpiti sono per la prima volta eminenti personaggi dell’Islam austriaco. Contro di loro sono state scagliate frasi terribili che suonano come condanne inappellabili: “sgozzateli, fateli saltare in aria, investiteli con le automobili”, questi gli incitamenti alla violenza e al terrore contenuti nel magazine Rumiyah. Un’esortazione ai “Mujahidin dell’IS” affinché “taglino le teste” degli apostati. La minaccia è stata presa molto seriamente, tanto che è già stato allertato il nucleo speciale dell’Ufficio di Stato per la Protezione della Costituzione (Landesämter für Verfassungsschutz und Terrorismusbekämpfung), ovvero il dipartimento dell’antiterrorismo. “È vero che simili appelli sono apparsi tante volte, soprattutto sui social media -dice Karl-Heinz Grundböck, Portavoce del Ministero dell’Interno alla stampa- Però stavolta sono state prese contromisure e si sta valutando un’analisi della situazione caso per caso”.

Sono molti gli Imam che si sentono in pericolo, alcuni dei quali sentiti dal Kurier confermano di essere stati ripetutamente definiti Kefir, ossia infedeli, in vari forum online. Ecco perché non sono particolarmente sorpresi per queste ultime minacce. A loro giudizio il recente attacco dimostra che la linea da tempo intrapresa del dialogo e della moderazione, accompagnata da una visione illuminata e aperta, in contrapposizione alle tendenze estremiste in ambito sociale, politico, teologico, porta i suoi frutti positivi e infastidisce non poco l’ISIS. Nessuno degli Imam fatti oggetto dell’ira di Daesh è disposto a rinunciare alla propria linea moderata. È possibile che l’intento di queste minacce sia quello di puntare soprattutto a scatenare reazioni da parte di soggetti isolati, cani sciolti non inseriti in cellule strutturate, di possibili imitatori, che grazie a questi incitamenti troverebbero il coraggio di passare all’azione.  Continua a leggere

Aviaria, pellicani e polli

L’aviaria è un’emergenza non ancora risolta in Austria? Prima ha fatto scalpore l’eliminazione della colonia di pellicani infetti dello zoo di Schönbrunn, a Vienna. Adesso è la volta dell’allarme lanciato dagli avicoltori. Infatti, dal 10 gennaio in Austria, per precauzione, tutti i volatili devono essere tenuti al chiuso, o comunque in luoghi protetti. Questa misura è stata imposta per evitare il possibile contagio dell’influenza aviaria, la A(H5N8). Chi non rispetta questa norma può incorrere in una denuncia. Eppure, il rischio che polli, galline, tacchini degli allevamenti avicoli possano essere contagiati venendo in contatto con escrementi di uccelli selvatici, viene considerata un’eventualità piuttosto remota.

 

Tra competenze distrettuali e federali la confusione impera, lasciando margini perché alcuni allevatori non rispettino le misure precauzionali. Tenere polli e galline al chiuso, all’interno dei pollai, rappresenta un problema non indifferente, soprattutto in primavera. Con il clima più mite e con l’innalzarsi delle temperature, costringere gli animali in spazi ridotti crea problemi di diffusione di parassiti e frequenti problemi di coabitazione tra i vari esemplari. Secondo l’Istituto Veterinario di Salisburgo, però, i casi di aviaria stanno gradualmente diminuendo. Il virus della A(H5N8) è molto pericoloso per il pollame, ma ad oggi non sono stati riscontrati casi di trasmissione all’uomo. Dalla sua prima apparizione in Austria, nel novembre 2016, l’influenza aviaria ha finora fatto registrare la morte di 152 esemplari di volatili selvatici, il contagio di un allevamento di tacchini in Voralberg e uno di polli nel Burgenland. Fino all’episodio dei pellicani dello zoo di Schönbrunn, che sette giorni fa ha scatenato un acceso dibattito nell’opinione pubblica austriaca, soprattutto via social mediaContinua a leggere

Vienna top per qualità della vita

Vienna, città al top per qualità della vita. Per l’ottava volta consecutiva la capitale austriaca sbaraglia le concorrenti mondiali e si aggiudica il primo posto per vivibilità nella classifica redatta da Mercer. Londra, Parigi, Tokyo e New York non riescono a rientrare tra le prime 30. Ancora una volta, invece, è la capitale irachena Baghdad a risultare la peggiore città nella quale vivere, delle 231 prese in considerazione nel mondo. Nella ricerca Quality of Living 2017 di Mercer, la società di consulenza statunitense che aiuta governi e aziende a valutare investimenti e a definire compensi, indennità, diarie per il proprio personale internazionale, intervengono vari parametri, 39 per l’esattezza. Tra i fattori determinanti vi sono: la stabilità politica, il sistema sanitario e quello educativo, la criminalità, le infrastrutture, i mezzi di comunicazione, i trasporti e il divertimento. Entrano inoltre in gioco il tasso di smog, la qualità dell’acqua potabile, la fornitura di energia elettrica, i servizi. Con il suo milione e ottocentomila abitanti che possono godere dei suoi musei, della sua offerta culturale e musicale, dei suoi bar e storici café, dei suoi teatri, Vienna ha fatto terra bruciata delle altre concorrenti.

 

Un piccolo gioiello il suo centro storico, l’Innere Stadt, patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO. Ottima la sua rete di trasporti pubblici urbani, che rappresenta un benefit straordinario per residenti e turisti. Ha vinto la sicurezza, che rende Vienna più che mai vivibile e godibile anche fino a tarda notte. Il suo basso tasso di criminalità la rende una meta gettonata da anni. Inoltre il mercato degli affitti è accessibile, risultando molto più basso rispetto a quello di altre città. Un vero vantaggio per chi voglia trasferire il proprio staff.

 

Molte poi le opportunità per divertirsi, soprattutto per i più giovani, con locali, night club, concerti. Unico neo il clima, che mai come quest’anno è stato inclemente, con uno degli inverni più rigidi e gelidi degli ultimi trent’anni. Subito dopo Vienna si sono piazzate Zurigo, Auckland, Monaco e Vancouver. Svizzera e Germania dimostrano di non avere nulla da invidiare alle località oltreoceano, dando la prova tangibile che la vecchia Europa resta ancora il miglior posto dove vivere, almeno qualitativamente parlando. Singapore è invece la prima città asiatica della top 30, con il suo 25esimo posto. Nuova Zelanda e Canada surclassano gli Stati Uniti. Solo 28esima San Francisco, che però è la migliore delle città americane in classifica. Tra le africane spicca la sudafricana Durban, all’87esima posizione. Damasco dilaniata dalla guerra civile che infiamma la Siria dal marzo 2011, resta 224esima. Gli ultimi posti, appena sopra il fanalino di coda rappresentato da Baghdad, sono della yemenita Sanaa, di Bangui (Repubblica di Centro Africa), della capitale di Haiti Port-au-Prince, della sudanese Khartoum, di N’Djamena, capitale e città più grande del Ciad.  Continua a leggere

Rifugiati identificati via smartphone

Negli smartphone spesso sono racchiuse un’infinità di informazioni preziose e dati sensibili. L’Austria si appresta ad usare i telefonini per identificare i rifugiati sprovvisti di documenti. È l’ultima iniziativa del Ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka (ÖVP), per snellire le farraginose procedure di identificazione delle migliaia di migranti che fanno richiesta di asilo in Austria. Foto di casa, esperienze personali, contatti, scambi di notizie con la famiglia, messaggi con le persone amate. A volte gli smartphone contengono la vita di un individuo. Nelle intenzioni del Ministro Sobotka c’è l’idea di raccogliere attraverso i cellulari le ragioni del viaggio verso l’Europa e le informazioni sui Paesi di origine. Molti dei rifugiti sono privi di documenti d’identità e scoprire chi siano implica un’enorme dispendio di tempo, risorse e denaro. Le percentuali dei migranti sprovvisti di passaporti è altissima soprattutto tra gli afghani. Su 20.000 procedimenti pendenti, infatti, solo il 20% è stato identificato, come conferma il BFA, Bundesamts für Fremdenwesen und Asyl (Ufficio Federale degli Affari Esteri e dell’Asilo). Chi viene dall’Afghanistan quasi sempre è sprovvisto di documenti per nascondere le proprie origini e ottenere così lo status di rifugiato. Ma tutto questo sta diventando insostenibile per l’Austria. Al contrario, coloro che arrivano da Paesi dilaniati dalla guerra, come ad esempio dalla Siria, hanno sempre passaporti e documenti con sé.

Un provvedimento analogo è stato già adottato in Germania e Sobotka intende proprio ispirarsi al metodo tedesco. Finora era richiesto il consenso del proprietario dello smartphone. Nel caso di persone sospettate di crimini adesso la polizia può crackare i cellulari, ma quei dati non possono essere utilizzati per le domande d’asilo. L’iniziativa tedesca viene vista dal Ministro Sobotka come una buona base sulla quale elaborare una procedura analoga anche in Austria, bozza alla quale il Ministero sta già lavorando. Comunque l’Austria ha già da tempo avviato una politica restrittiva nei confronti dei rifugiati. Un pacchetto di legge sui richiedenti asilo è stato infatti approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei MinistriContinua a leggere

Austria: presidente trumpizzato?

Un Presidente austriaco stile Donald Trump? L’inquilino della Hofburg in futuro sarà “trumpischer”, ovvero più trumpizzato, più trumpiano, insomma più alla Trump? A fine marzo l’Austria ridiscuterà i poteri della presidenza della repubblica. Alcuni partiti sembrano intenzionati a trasformare la figura del Presidente Federale, magari accentrando nelle sue mani più potere. Il 31 marzo il Parlamento, con una speciale sottocommissione, discuterà i possibili cambiamenti non solo dei poteri del Presidente, ma potrebbe anche disegnare una nuova legge elettorale. SPÖ e ÖVP vorrebbero privare la presidenza della repubblica della prerogativa di sciogliere il Consiglio Nazionale, ovvero la camera bassa del Parlamento. I Verdi, invece, sembrerebbero più propensi ad una presidenza che ricalchi un po’ di più quella americana. L’FPÖ almeno per ora, sarebbe poco propenso a fare modifiche. Ecco perché i Verdi alla fine potrebbero dover negoziare solo con socialdemocratici e popolari, visto che per approvare qualsiasi cambiamento è richiesta una maggioranza dei 2/3 del Parlamento.

La possibilità di chiedere le dimissioni del governo, a causa della mala gestione dell’emergenza rifugiati, ossia l’ipotesi che a più riprese aveva avanzato come possibile scenario della sua presidenza il candidato dell’FPÖ Norbert Hofer in campagna elettorale, a giudizio dei Verdi, però, andrebbe cancellata. Tale prerogativa resterebbe solo in determinate condizioni: in caso di voto di sfiducia, o di dichiarazione di fallimento dei propri obiettivi da parte del governo. O ancora, nel caso in cui non si riesca a formare un governo per un lungo periodo di tempo, creando una paralisi della cosa pubblica. Quest’ultima, però, è un’eventualità legata a nuove elezioni e avrebbe lo scopo di non creare vuoti di potere. 

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Burkaverbot, no al velo integrale

A ridosso della festa della donna in Austria è acceso il dibattito sul velo islamico integrale, il niqab. Ancor più, dopo l’approvazione della legge sull’integrazione, Integrationsgesetz, che ne prevede il bando da tutti gli spazi pubblici. Viene definito Burkaverbot e vieta di fatto la copertura integrale del volto, sia che avvenga con il niqab, o con il burqa. Per chi non rispetti tale norma sono previste multe di 150 euro. Un tema molto controverso, che ha visto scendere in piazza a Vienna oltre 2.000 persone appena un mese fa, in segno di protesta contro il provvedimento del governo federale. Una manifestazione alla quale hanno partecipato soprattutto donne musulmane. Secondo avvocati ed esperti austriaci il divieto contenuto nella legge sarebbe un provvedimento non necessario, discriminatorio e sproporzionato. Per la Camera di Commercio austriaca esiste il rischio che le donne con indosso il niqab vengano definitivamente isolate ed escluse dal consesso pubblico, relegandole ai margini della società. Andare a fare acquisti, recarsi negli uffici pubblici, effettuare una visita medica, accompagnare i figli a scuola, tutto nella quotidianità diventa impraticabile per quelle donne che indossano il velo islamico integrale in Austria. Queste sono solo alcune delle attività che le donne svolgono in pubblico. Forse lavorare, o sedersi in un bar per un caffè non rientra tra ciò che è consentito alle donne musulmane? È la provocazione lanciata da Ibrahim Olgun, Presidente dell’IGGÖ Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich (la Comunità di Fede Islamica in Austria). Olgun è contrario al Burkaverbot e non vede miglioramenti nella comunicazione se queste stesse donne non portassero il velo islamico integrale. Però la donna coperta integralmente da niqab o burqa è davvero l’immagine femminile che vuol dare la comunità islamica austriaca?

Un dibattito molto sentito, che agita l’opinione pubblica e si è riverberato anche sulla stampa austriaca, proprio in occasione dell’8 marzo. “È una condanna a restare invisibili -mi dice Carla Amina Baghajati, Rappresentante delle Donne dell’IGGIÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich– Per le donne che indossino il velo islamico integrale vi sono forti limitazioni, sia nella vita professionale, sia nella sfera pubblica della loro esistenza”. Anche se la Baghajati non nutre simpatia per il niqab, non ne approva il bando. Hijab e niqab sono capi di abbigliamento che, per alcune donne, diventano parte integrante della pratica religiosa. Tuttavia non sono un comandamento imposto dalla religione. Per Carla Amina Baghajati c’è il rischio di far fare alle donne musulmane enormi passi indietro. In Francia le donne che indossano niqab o burqa sono diventate eroine, i loro uomini pagano le multe volentieri, e sempre più esse rappresentano l’immagine dell’ideologia radicale. Questo bando contenuto nella legge sull’integrazione “contribuisce a diffondere un clima di paura e sospetto nei confronti dei musulmani -puntualizza la Baghajati- Alimentando reazioni populiste che prosperano su queste emozioni e aprendo la strada a un’ulteriore polarizzazione della società”.  Continua a leggere