L’Austria dichiara guerra al terrorismo di matrice islamica. Sono 68 gli islamisti radicali condannati, o sotto processo. Vi sono jihadisti, foreign fighter rientrati da Siria e Iraq, predicatori estremisti, simpatizzanti dell’ISIS. Il rischio che costoro in carcere possano radicalizzarsi ulteriormente, intensificare i contatti con altri musulmani estremisti, potenziare la propria capacità di azione, o intessere legami che possano far loro da sponda in caso di fuga, è più che reale. Ecco perché tanto il sistema giudiziario austriaco, quanto quello carcerario sono chiamati a combattere il terrorismo fondamentalista anche su questo nuovo fronte. Non bastano solo retate e maxi blitz, la guerra si combatte anche spezzando o impedendo collusioni e rapporti che si intrecciano durante il periodo di detenzione. Occorre quindi esercitare uno stretto controllo su chi, a vario titolo, risulti colpevole di reati legati al terrore di matrice islamista e per questo venga condannato, ma anche su chi sia ancora in attesa di giudizio. Tra le prigioni sorvegliate speciali vi sono i tre grandi istituti di pena di Garsten, Karlau, Stein e anche quello di Suben. È importante che le celle destinate a musulmani radicali siano separate dalle altre e dislocate in settori appositamente istituiti. Celle che vengono controllate molto più di quelle degli altri detenuti.
Parte delle contromisure consiste in un apposito esame psicologico e un questionario, da effettuare prima della carcerazione. Solo così è possibile avere un quadro d’insieme dettagliato. A tal scopo operano specialisti del Ministero dell’Interno, psicologi, costituzionalisti e interpreti, per un’accurata analisi dei rischi e perché nulla sia lasciato al caso. L’alto livello di sicurezza viene applicato anche alle visite ricevute dai detenuti, che non hanno alcun contatto diretto con coloro che li vanno a trovare. A separarli dai visitatori c’è un vetro molto spesso e le comunicazioni avvengono solo via telefono. Così la polizia può registrare e monitorare ogni discorso, anche con l’aiuto di esperti. Se esiste il minimo sospetto che nel corso della conversazione sia avvenuto uno scambio di informazioni proibite, oppure ci sia stato un vero e proprio accordo, si è così in grado di agire in tempi brevissimi.
3.400 esperti legali e l’isolamento
Fondamentale è l’apporto dei 3.400 esperti legali in forze attualmente in ambito carcerario. “Sono i nostri campanelli d’allarme, coloro che ci consentono di non abbassare mai la guardia -dice in un’intervista rilasciata al Kurier il Generale Josef Schmoll, Capo dell’Ufficio Penitenziario- Essi sono a stretto contatto quotidiano con i detenuti”. Si tratta, infatti, di personale sempre operativo, che ha anche realizzato un periodo di training con i servizi preposti alla protezione dello Stato, il settore che segue da vicino tutto quanto sia legato al terrorismo. Grazie al training gli esperti imparano a rapportarsi con il radicalismo islamista. Ad essere monitorati costantemente sono anche gli Imam che lavorano nelle prigioni, in virtù della garanzia della libertà religiosa, prevista per legge. Tutto per questi prigionieri si svolge separatamente da tutti gli altri delinquenti presenti in carcere, persino il momento dei pasti. Ma basta questo isolamento a contenere, se non eliminare, l’aggressività? “In genere questi detenuti sono abbastanza calmi -spiega Schmoll- Nulla a che vedere con i ceceni”.
Spallata al Califfato austriaco
A fine gennaio la polizia e le unità speciali antiterrorismo austriache EKO-Cobra hanno compiuto una maxi operazione per smantellare tra Graz e Vienna le reti jihadiste operative in Austria. 800 gli uomini impiegati sul territorio, 16 gli edifici perquisiti, 14 gli arresti. Nel mirino delle forze dell’ordine una rete islamica salafita radicale che cercava di creare una sorta di Califfato islamico austriaco, uno stato parallelo che intendeva sovvertire l’ordine costituito. Un’investigazione durata due anni, che rappresenta un duro colpo ai seguaci dell’ISIS, pedinati e controllati fin dal 2015. Quattro arresti sono stati portati a segno anche a Vienna. Tra coloro finiti dietro le sbarre anche tre donne, mogli di altrettanti jihadisti di origine bosniaca, e alcuni predicatori radicali. Gli arrestati hanno età compresa tra i 21 e i 49 anni e vengono prevalentemente dalla ex Jugoslavia. Sei sono bosniaci e macedoni, altri bulgari e siriani.
La creazione di un anti-stato
Pesanti le accuse: non solo quella di associazione terroristica, ma anche quella di appartenenza a un’organizzazione eversiva, che intendeva creare un potere antagonista allo Stato Federale, un anti-stato. Due le associazioni islamiche obiettivo dell’operazione, molto il materiale sequestrato, soprattutto computer e smartphone, ora al vaglio degli inquirenti. Una delle moschee perquisite era stata chiusa nel novembre 2014 nel corso di un’indagine denominata “Operazione Palmyra”, ma dopo essere stata chiusa, era stata successivamente riaperta con un nome diverso. Sarebbero almeno una quarantina gli jihadisti reclutati dal gruppo. La cellula di Graz, per lo più di origini dei Balcani occidentali, non avrebbe connessioni con la rete legata al 17enne Lorenz K., arrestato il 20 gennaio scorso, che stava pianificando un attacco bomba a Vienna.
Connessioni con l’Imam Ebu Tejma
Tende così a chiudersi il cerchio attorno all’Imam radicale Ebu Tejma, vero nome Mirsad Omerovic, a capo di una rete di islamisti radicali bosniaci ramificata in modo capillare sul territorio austriaco. Il predicatore estremista era stato arrestato a Graz nel 2014 ed è stato condannato nel luglio 2016 a 20 anni di carcere. Ebu Tejma, 35enne, arrivato dalla Bosnia negli anni ’90, è al centro di un network di propaganda jihadista. È lui che ha reclutato tantissimi ragazzini, soprattutto minorenni sui 14 anni, facendoli diventare potenziali miliziani jihadisti, pronti a combattere per l’ISIS. Tra le sue vittime anche Samra e Sabina, le due adolescenti austriache di origine bosniaca, diventate le ragazze immagine dell’ISIS, partite per la Siria e rimaste uccise dopo aver combattuto al fianco dei miliziani di Daesh.
La radicalizzazione islamica in Austria
Il fenomeno della radicalizzazione salafita è in netta crescita in Austria. Casi come quello del 17enne Lorenz K. che preparava un attentato dinamitardo a Vienna, potrebbero aumentare sensibilmente in un prossimo futuro. Il radicalismo islamista tende a diffondersi esponenzialmente tra i gli adolescenti e tra i ragazzi più grandi, che vengono irretiti da movimenti protestatari e dal sottobosco “jihadista pop”, che ha molta presa sui giovani. L’emarginazione e la discriminazione sono alla base di un fenomeno che si sta allargando a macchia d’olio. L’identità e il senso di appartenenza a un gruppo sono alcune delle molle che generano nuovi adepti islamisti radicali. Molti i luoghi dove si diffonde la radicalizzazione: dai circoli sportivi, ai parchi pubblici, dagli istituti penitenziari per minori, alle prigioni.
Die wahre Religion
Die wahre Religion (La vera religione) è uno dei principali serbatoi e una delle fazioni più forti del salafismo tedesco. Il ramo austriaco ne è emanazione diretta e ramificazione di portata minore, ma non per questo meno pericolosa. L’azione di proselitismo di DWR avviene attraverso la produzione di video accompagnati da brevi testi. “Alcuni di questi video costituiscono un programma di conversione, che punta a consolidare l’Islam salafita come un brand, come se fosse un marchio da pubblicizzare” mi spiega il Prof. Rüdiger Lohlker della Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Vienna.
L’azione di proselitismo, da’wa in arabo, si esplica anche attraverso la distribuzione gratuita di copie del Corano, con una traduzione in genere molto scadente. DWR rappresenta un primo livello di avvicinamento all’Islam. “Molti di coloro che hanno scelto di diventare jihadisti violenti sono entrati in contatto con Die wahre Religion -sottolinea il Prof. Lohlker- Se però sia possibile stabilire una connessione tra DWR e il fenomeno jihadista, come vera e propria organizzazione terroristica sarà la questione cruciale che dovranno risolvere sia in Germania, sia in Austria”.
Il confine sottile tra Salafismo e jihadismo
In linea generale il Salafismo è una forma non violenta di jihadismo, che invece è violento. “Il Salafismo è un movimento identitario, che può essere identificato attraverso segni precisi -evidenzia il Prof. Rüdiger Lohlker– come ad esempio barba, abiti, volto velato per le donne, il linguaggio che utilizza elementi di arabo/islamico”. Eppure, sebbene il Salafismo sia una forma non violenta, non può sempre dirsi così del linguaggio utilizzato per la loro comunicazione e della tecnica adottata per fare proselitismo. “Analizzando il materiale video che si trova online e il loro modo di comunicare, però, esiste una zona grigia tra Salafismo e jihadismo, difficile da comprendere, un confine sottile dove gli elementi tendono a confondersi -mi racconta il Prof. Lohlker- In termini teologici non esiste una barriera tra il pensiero salafita e quello del Jihad”. Ecco perché è facilissimo passare da posizioni salafite a quelle jihadiste e viceversa. Quindi dal punto di vista legale per procedere contro DWR e le correnti salafite, occorre identificare il momento preciso nel quale il Salafismo si trasforma in jihadismo.