Il Palazzo d’Inverno, residenza del principe Eugenio di Savoia nel centro di Vienna, un capolavoro di architettura barocca, costruito tra il 1697 e il 1724, ospita la splendida mostra dell’artista danese-islandese Olafur Eliasson, dal titolo Baroque Baroque. Una serie di opere su larga scala di Eliasson, che appartengono alle collezioni private della Thyssen-Bornemisza Art Contemporary (TBA21) e Juan e Patricia Vergez, sono state proposte all’interno dei saloni barocchi del Palazzo d’Inverno, che hanno così acquistato nuovi significati spaziali.
Lo spazio e la sua percezione giocano sempre un ruolo fondamentale nell’arte di Eliasson, una delle personalità artistiche di maggior rilievo nel panorama mondiale. Qui a Vienna lo spazio viene rimodulato e trasformato dall’artista con una serie di giochi illusori creati attraverso l’uso di luci, lenti, specchi, che lo plasmano utilizzando proprio gli elementi tipici del barocco, ovvero le illusioni prospettiche. L’esterno e l’interno, e il loro modo di entrare in relazione e comunicare, l’inserimento di una terza dimensione che consente di vedersi dentro gli ambienti nei quali ci si muove, sono i tratti distintivi del modo in cui Olafur Eliasson riscrive il barocco in questa mostra.
L’arte di Olafur Eliasson entra in un dialogo intimo con le strutture architettoniche dell’edificio che la ospita, ridisegnandole.
E da questo connubio tra specchi, fari, lenti, colori primari, strutture metalliche, ventilatori, proiettori, luci e ombre la realtà diventa multiforme, acquistando nuove dimensioni. L’antico, fatto di stucchi, boiserie, cornici lignee dorate, lampadari di cristallo, affreschi, marmi, broccati, e il minimalismo contemporaneo si fondono per regalare al visitatore un’immersione totale nell’essenza stessa dell’illusione.
Il visitatore stesso diventa protagonista, entrando a far parte di deformazioni e trasformazioni che ridisegnano lo spazio, dandogli di volta in volta un senso diverso e unico. Tutto scorre, tutto si trasforma, tutto è mutevole, tutto è illusorio, tutto è tangibile, anche l’intangibile. Così la luce diventa quasi palpabile, gli specchi nascondono una parete, proprio quella che comunica con l’esterno, ma al tempo stesso allargano e duplicano, creando doppi illusori che sono più veri del vero, e realtà che sembrano effimere più di un riflesso fugace. Il visitatore può vedersi, così come una terza persona lo vede. Le lenti potenziano, ingrandiscono e il movimento produce ombre colorate che sono più reali della realtà stessa.
Le foto degli orizzonti islandesi sembrano quadri astratti che ben si sposano con le architetture dei saloni del Palazzo d’Inverno. L’atrio e la scenografica scalinata dell’edificio barocco acquistano una nuova dimensione spazio-temporale in “Yellow corridor”, grazie all’illuminazione sapiente creata da Eliasson con luci gialle monofrequenza poste sul soffitto.
Statue e trabeazioni sono altro da sé, e prendono parte attiva a un gioco illusorio che esalta l’essenza stessa dell’epoca nelle quali sono state realizzate, il barocco. I colori sono illusori, e traggono la loro stessa esistenza dalla comparazione con altri colori. Ecco perché nella sala dove c’è la biglietteria un’opera di Eliasson “Cubyc crystals” contrappone sei tubi montati su strutture a piramide esagonale, che emettono luce bianca e sei che emettono luce monofrequenza gialla.
Eppure questa bellissima opera passa quasi inosservata dalla maggior parte del pubblico. Tanto giallo falsa la percezione, così si tinge di bluastro tutto ciò che si vede spostandosi negli ambienti successivi.
Affacciandosi nei caleidoscopi di specchio, cristallo e alluminio di “Seu planeta compartilhado” (Your shared planet) si diventa parte di un mondo molteplice e cangiante, quasi metafora della realtà e delle sue mille sfaccettature. Un’opera dove tornano temi cari a Eliasson, come il ruolo dell’interdipendenza della percezione spaziale. Cambiare lo spazio, è un altro dei temi centrali per l’artista danese-islandese. E cambiarlo implica delle conseguenze, che introducono il tempo che rende lo spazio tangibile, accessibile.
Come spesso accade nelle opere di Eliasson entrano in gioco elementi naturali. Anche qui al Palazzo d’Inverno oltre alla luce, l’aria, o meglio il vento, prende parte attiva in due delle sale. In “Your windy corner” l’aria partecipa alla percezione dello spazio, in una curiosa rispondenza e interazione tra esterno e interno. Mentre in “Double light ventilator mobile” l’aria che soffia da un ventilatore fa da propellente imprimendo un moto circolare a due spot che proiettano sui muri luci che guidano lo spettatore nella sua percezione dell’ambiente circostante. E la visione attraverso uno degli antichi specchi aggiunge all’opera un senso ulteriore, quasi di opera d’arte nell’opera d’arte, di pirandelliana memoria, così è se vi pare.
Positivo e negativo sono equamente protagonisti nell’arte di Eliasson. Non solo le luci, ma anche le ombre hanno un ruolo attivo e creativo. Ombre, riflessi e luci sono elementi che danno al reale di Eliasson una dimensionalità.
Lo spazio ha dimensioni, contiene in sé il tempo, e questo è ancora più visibile, tangibile rileggendo lo spazio attraverso la lente deformante dell’artista. E il visitatore entrando all’interno delle sue opere prende parte a questo gioco di riscrittura con i suoi movimenti, tanto che i riflessi diventano una realtà più concreta della supposta realtà a cui siamo abituati.
Le strutture di Eliasson si adattano perfettamente al luogo che le contiene, acquistando nuovi sensi profondi.
Ma l’arte fine a se stessa per Eliasson non ha senso. L’arte è esperienza e l’esperienza è responsabilità. Ecco perché le sue opere non sono esposte solo per essere ammirate, ma per essere vissute, per essere esperite, per rendere lo spazio tangibile, percepibile in tutte le sue dimensioni.
E l’arte ha per Eliasson il compito di coniugare al tempo stesso la singola individualità e la collettività. L’arte ha a che fare con l’esperienza e con la responsabilità, e vuol dire prendere parte nel mondo. Ecco perché ancora più che decorare o abbellire, l’arte deve avere rilevanza nel mondo nel quale viviamo oggi.
È così che nasce “Yellow fog”, un’opera d’arte concepita da Olafur Eliasson in uno spazio pubblico viennese, la magnifica piazza Am Hof, per entrare in una sorta di dialogo con gli edifici e le chiese, con le carrozze e i passanti. Per un’ora al giorno, al crepuscolo, una nebbia si sprigiona sulla facciata del Verbund e viene illuminata da luci monofrequenza gialle.
La mostra prosegue fino al 6 marzo 2016.