Uccise Samra e Sabina, le “ragazze immagine” dell’ISIS

Samra e Sabina, le due adolescenti austriache di origine bosniaca, andate in Siria per unirsi ai miliziani dell’ISIS, sarebbero state uccise entrambe. A riportare la notizia è stata prima la stampa austriaca, poi quella internazionale. Ufficialmente, però, né il Ministero Federale dell’Interno austriaco, né il Ministero Federale degli Esteri confermano la morte delle due ragazzine.

C_4_articolo_2145846__ImageGallery__imageGalleryItem_3_image

Contattato da me Karl-Heinz Grundböck, portavoce del Ministero dell’Interno, ha dichiarato “di non poter né confermare questa notizia, né di poter rilasciare in merito alcun commento”. Analoga risposta ha fornito Thomas Schnöll, portavoce del Ministero degli Esteri, impossibilitato a commentare singoli casi. 

Neppure le famiglie delle ragazze hanno confermato la notizia. Samra sarebbe stata ammazzata perché avrebbe tentato di fuggire da Raqqa, roccaforte dell’ISIS in Siria, nel tentativo di fare ritorno a casa. Mentre Sabina sarebbe stata uccisa mesi fa in battaglia, mentre combatteva al fianco dei miliziani.

image

Samra Kesinovic e Sabina Selimovic, approdate negli ambienti dove è più diffuso il radicalismo islamico, erano scomparse da Vienna nell’aprile del 2014. Giovanissime, ancora minorenni, all’epoca della loro fuga avevano rispettivamente 17 e 15 anni, avevano abbandonato le loro famiglie e la città dove erano fino ad allora vissute, Vienna, per andare a combattere in Siria al fianco dei guerriglieri dello Stato Islamico. Nell’arco di poche settimane erano diventate le “ragazze immagine” del jihad. Grazie a un uso sapiente dei social media da parte dei terroristi dell’ISIS, le foto delle due adolescenti austriache hanno inondato i social media: sono apparse sorridenti mentre imbracciavano i kalashnicov, oppure felici nella loro nuova esistenza di compagne di miliziani dello Stato Islamico, o ancora fotografate con indosso il burqa.

Propaganda politica 2.0 dell’ISIS: “Netwar” e “media mujahedeen”

Samra e Sabina sono diventate il simbolo di una gioventù che ha trovato certezze e un modello di riferimento forte nel radicalismo islamico, ma anche uno dei tasselli di cui si compone la propaganda dell’ISIS, sapientemente orchestrata su internet. Siamo portati a pensare che sia l’esclusione, la marginalizzazione a fare di alcuni estremisti islamici dei terroristi, in realtà lo jihadismo attecchisce “perché fa sentire i marginalizzati dei prescelti” spiega Nico Prucha, ricercatore al King’s College di Londra. “L’ISIS strumentalizza la religione, ma fa pura propaganda politica –sottolinea Prucha- Questa non è una guerra di religione, è una questione tutta squisitamente politica. Vengono presi frammenti di versetti del Corano per utilizzarli a scopo politico”.

image

La propaganda 2.0 del jihad rende evidente come la legislazione di molti paesi europei non consenta un’incisiva azione di contrasto. In Austria per esempio la tutela della privacy e delle libertà individuali è prevalsa sul bisogno di sicurezza. La legislazione rende difficile arrestare i fiancheggiatori di terroristi, effettuare controlli informatici e monitorare gli account sui social media di eventuali sospetti. Anche se non è chiudendo qualche account su Twitter o Facebook che si abbia la meglio sulla “Netwar” che l’ISIS combatte con mezzi sofisticati e strategie di alto livello. “La struttura della propaganda online dell’ISIS è a sciame –evidenzia Prucha- Non è facile smantellare la rete comunicativa e propagandistica dell’ISIS, perché è diffusa in modo capillare in tante piccole unità, attraverso network di media mujahedeen sparpagliati in tutto il mondo e pronta a riconfigurarsi continuamente a dispetto di qualsiasi colpo inferto su singoli account, o su porzioni di network”. Su YouTube, infatti, escono su base quotidiana nuovi video, anche con immagini girate sui campi di battaglia, spesso diffuse in tempo reale. In pratica si tratta della stessa strategia degli Zombie, ovvero i combattenti di ritorno, i cosiddetti dormienti, in attesa di segnali che li facciano entrare in azione, trasposta sul web.

Ripensare i modelli di intergrazione

Non bisogna inoltre dimenticare che lo Stato Islamico costruisce infrastrutture nei luoghi che conquista, portando elettricità, acqua, scuole in posti che da tempo versano in condizioni di arretratezza e sottosviluppo. Questo è un altro degli elementi di grande presa su giovani disperati, ridotti in miseria, che non hanno alcuna speranza di un futuro migliore.

A dover essere ripensati sono soprattutto i nostri modelli di integrazione, quelli diffusi in Europa, che fino a questo momento, come dimostrano il Belgio e la Francia, ma come forse avviene in modo meno evidente in Italia, non stanno funzionando. C’è di fatto una discriminazione strisciante in Europa, che porta gli immigrati ad avere meno possibilità degli altri. Esistono aree ghetto nelle grandi città, dove le forze dell’ordine hanno apparentemente abdicato, e dove prolifera il malcontento e il radicalismo. In queste sacche di degrado e discriminazione le prime generazioni sembrerebbero in qualche modo più o meno inserite nel tessuto sociale, mentre le seconde generazioni, quelle dei giovanissimi, sembrerebbero scollate dal contesto nel quale sono nate e cresciute, covando odio nel vedere che qualsiasi sbocco futuro è loro precluso.

image

Una volta che questi ragazzi abbandonano l’Austria, o un altro qualsiasi paese dell’Unione europea, non ci sono molte probabilità di poterli riportare a casa sani e salvi. L’unica via che le autorità hanno è l’azione di prevenzione, ossia evitare che questi giovani fuggano dall’Europa, per andare a combattere in Siria, cercando di liberarli dal giogo dei predicatori islamici radicali che, sfruttando la vulnerabilità data dalla loro giovane età, li condiziona spesso in modo irreparabile.