Anche in Polonia come pochi giorni fa in Austria, la crisi dei rifugiati ha giocato un ruolo determinante nel risultato elettorale. Come in Austria l’estrema destra, in Polonia i Nazional-conservatori di PiS (Prawo i Sprawiedliwosc), Diritto e Giustizia, hanno sfruttato il sentimento di paura nei confronti del diverso e di una possibile invasione d’immigrati, ottenendo dalle prime proiezioni il 39,1% dei consensi.
Lo stesso meccanismo che ha portato l’FPÖ, il Partito della Libertà di Strache, alle amministrative di Vienna, a fare leva sull’anti-europeismo e sul nazionalismo, per attestarsi stabilmente come seconda forza politica.
PiS e una maggioranza schiacciante
Il PiS sebbene sia guidato dalla 52enne Beata Szydlo, è di fatto sempre sotto l’ala protettiva del leader storico, il 66enne Jaroslaw Kaczynski, vera e propria eminenza grigia. È anche grazie al sostegno della parte più conservatrice della chiesa cattolica che può oggi governare da solo, in virtù del premio di maggioranza, senza dover cercare alleanze con altre forze politiche, con ben 242 dei 460 seggi del Sejm (la Dieta o Camera Bassa del Parlamento). Un evento, questo, di portata storica. Nessun partito aveva vinto da solo negli ultimi 26 anni, ovvero dalla caduta del comunismo. Dalla sua prima apparizione nel 2007, PiS è alla sua prima prova di governo. L’opaco risultato dei moderati di Platforma, con il 23,4% li posiziona come secondo partito, con appena 133 seggi.
Vince chi sa parlare alla pancia degli elettori
Ha votato il 51,6% degli aventi diritto. Ma al di là dell’affluenza non altissima, le elezioni polacche mostrano come risultino decisive in campagna elettorale quelle fasce medio-basse dell’elettorato, in genere meno acculturate e localizzate nelle aree rurali, maggiormente propense a rispondere agli appelli elettorali. Proprio su queste fasce fanno presa temi quali la paura dell’altro, l’anti-europeismo e spinte di deriva nazionalista. L’uscita di scena dei partiti di sinistra è un altro segnale della svolta a destra della Polonia.
L’idraulico polacco, fine di un mito
Il mito dell’idraulico polacco, simbolo di tutto ciò che non funzionava in Francia e in Europa, della paura della delocalizzazione e dei posti di lavoro sottratti ai francesi da manodopera a basso costo proveniente dal paesi dell’Europa dell’Est e soprattutto dalla Polonia, uno spauracchio agitato in campagna elettorale in Francia nelle elezioni presidenziali del 2002 e del 2007 e nelle votazioni per la Costituzione Europea del 2005, oggi si disintegra in mille pezzi. Guardando al corso degli eventi, quel timore si è rivelato del tutto infondato. L’idraulico polacco, di fatto, non ha distrutto né l’economia francese, né quella dell’Unione Europea, che se hanno sofferto della crisi globale, lo debbono a problemi strutturali di ben altra natura.
L’invasione dei rifugiati islamici, ascesa di un nuovo mito
In Polonia, come già in Austria, sembra così essersi creata una nuova figura mitica, quasi come quella dell’idraulico polacco demonizzato da Sarkozy, ossia quella del rifugiato islamico proveniente da Medio Oriente e Asia, giunto attraverso il Mediterraneo Orientale e le rotte balcaniche. L’esodo in massa di centinaia di migliaia di migranti è stato quindi cruciale nell’accendere paure mai sopite nei confronti dell’immigrazione. Grande la polemica che si è accesa in campagna elettorale in seguito alla decisione del governo polacco di farsi carico della sistemazione di 7.000 migranti. Decisione che l’opposizione ha considerato come unilaterale, presa senza il consenso della Polonia. PiS è stato perciò capace di usare a proprio vantaggio sentimenti di euroscetticismo e di serpeggiante ultra-nazionalismo che sanno infiammare la pancia dell’elettorato medio, che di fronte al rischio di vedere erodere quel benessere faticosamente conquistato, preferisce chiudersi e ripiegarsi su se stesso, pensando che sbarrare le porte ed erigere muri come l’Ungheria di Orban, sia la risposta all’emergenza di quei popoli disperati che premono ai confini dell’Europa. Senza rendersi conto che così facendo c’è il rischio più che reale di annullare in un sol colpo tutti i risultati economici strabilianti che la Polonia ha raggiunto negli ultimi 8 anni di governo moderato di Platforma e allontanare gli investimenti stranieri. Starà a Beata Szydlo conciliare posizioni euroscettiche e simpatie verso Viktor Orban, con una NATO più forte e combattiva nei confronti della Russia di Putin e una propensione ad un maggiore allineamento con gli Stati Uniti.
Il miracolo economico della Polonia
Il premier uscente Ewa Kopacz lascia in consegna un paese sano e forte. L’economia polacca è la più solida dei paesi ex-comunisti ed è la sola in ambito europeo a non aver subito contraccolpi dalla crisi globale, grazie a un forte mercato domestico, un basso indebitamento privato e una moneta flessibile. Dal 2008 a oggi il Pil è aumentato del 20,1% a fronte di una crescita complessiva dell’Unione Europea che non arriva all’1%. La Polonia è il sesto paese per popolazione con 38,5 milioni di abitanti e il settimo per Pil, pari a 390 miliardi di euro. La presidenza del Consiglio europeo a Donald Tusk nel dicembre 2014 ha di fatto sancito il ruolo sempre più importante della Polonia nello scacchiere europeo. Governi stabili, esportazioni che non dipendono da un unico settore, l’uso sapiente dei fondi europei per costruire infrastrutture che hanno attratto investimenti stranieri, hanno reso possibile quel miracolo economico che ricorda da vicino il boom italiano nell’immediato dopoguerra.
Le altre forze politiche del nuovo Parlamento
Terzo partito è il nazionalista-protestatario del cantante rock Kukiz con il 9%. Poi c’è Nowoczesna (i Moderni), nuovo partito liberal che ha cannibalizzato voti a Platforma, con il 7,1%, e ancora i contadini con il 5,2%. Restano fuori dal Parlamento la Sld (Sinistra Unita), Razem (Insieme) un nuovo partito progressista che ricorda lo spagnolo Podemos, e anche l’ultradestra xenofoba di Janusz Korwin-Mikke.