La Croce Rossa austriaca gestisce il centro per rifugiati all’aeroporto Schwechat di Vienna. È una struttura che può ospitare fino a 230 migranti. Ora ve ne sono 223, provenienti da Siria e Afghanistan. Sono tutti nuclei familiari che hanno fatto richiesta di asilo in Austria. La vita di questa struttura di accoglienza, però, ha i giorni contati. Sarà chiusa alla fine di ottobre.
Nel frattempo si sta provvedendo alla creazione di un centro che possa accogliere fino a 400 rifugiati, in un’altra area dell’aeroporto. “Non sapevamo dove sistemare le famiglie che vivono qui –racconta Daniela Angetter, Coordinatrice della struttura- Questo problema logistico è stata fonte di molte preoccupazioni per noi, perché sembrava che il nuovo centro non sarebbe stato pronto prima di gennaio-febbraio 2016. Ora la situazione sembra essere cambiata: i tempi di attesa si sono ridotti e fortunatamente la nuova struttura dovrebbe essere operativa già da novembre”.
Tutte le famiglie di rifugiati che vivono nel centro di accoglienza di Schwechat aspettano la decisione del giudice di ultima istanza. Una decisione che cambierà il loro destino.
Nel frattempo studiano tedesco 2 volte a settimana all’Accademia dell’aeroporto austriaco. E per favorire questo processo d’integrazione la Croce Rossa organizza per loro anche corsi di conversazione.
Ecco perché “volontari che siano in grado di dare lezioni di tedesco sono molto richiesti in questo momento –sottolinea Daniela Angetter- come pure persone disposte a dedicare tempo ai 110 bambini presenti nel centro”.
I bimbi che più degli adulti sono bisognosi di svago e di compagni di giochi.
Certo, hanno pattini a rotelle, monopattini, palloni, però non è facile per loro, soprattutto quando il tempo è brutto e pioggia e freddo li costringono all’interno del capannone.
Il refettorio è usato anche per fare corsi, attività ricreative e per ospitare eventi. Qualche settimana fa si sono esibiti i Red Nose Clowndoctors con uno spettacolo pensato apposta per rallegrare i piccoli rifugiati di Schwechat.
Per facilitare il riconoscimento delle famiglie e per evitare ai volontari della Croce Rossa di ricordare nomi difficili ci si serve di una serie di simboli.
Animali, alberi, fiori, addirittura il sole di colori diversi.
Tante immagini disseminate nei vari padiglioni di cui si compone la pianta del centro.
Così ogni unità abitativa è contrassegnata dalla sua icona. Immagini che rallegrano la fredda architettura della struttura.
Parlo con la famiglia dell’elefante giallo. Sono afghani, originari della città di Maidan Shar, capitale della provincia del Wardak, nella regione centro-orientale dell’Afghanistan. Shabana ha 26 anni, è una giovane coraggiosa e combattiva.
Faceva l’insegnante e teneva corsi di alfabetizzazione per le donne afghane. “I Talebani mi hanno picchiata e minacciata di morte più volte -racconta commossa Shabana- Abbiamo resistito, ma alla fine siamo dovuti scappare”.
Una decisione non facile che lei e suo marito Wais, autista 28enne, hanno preso soprattutto per i loro figli: Ali di 4 anni e Morsal, una bambina di soli 2 anni.
Shabana ha lasciato un fratello e due sorelle in Afghanistan. Suo padre è stato ucciso dai Talebani.
Incontro anche la famiglia del gatto blu. Provengono tutti dalla Siria e sono arrivati in Austria il 9 agosto. Prima hanno trascorso una settimana al centro per rifugiati di Traiskirchen, poi sono stati trasferiti nella struttura dell’aeroporto viennese. Mazen ha 40 anni.
Faceva il professore in un liceo di Aleppo, come sua moglie Baraa 30enne. Hanno 3 figli: Mussaab di 8 anni, Muhammad di 7, Tim di 3. La situazione in Siria era diventata pericolosissima, per questo hanno deciso di andarsene, lasciare tutto, vendere la macchina, i loro possedimenti e fuggire dal proprio paese. La loro casa è stata distrutta completamente da una bomba. “Siamo andati via dalla Siria per il bene dei nostri figli, per garantirgli un futuro sereno, di pace –dice Mazen- La casa e la macchina le riavremo con il tempo, specie se riusciremo a poter fare un giorno il nostro lavoro d’insegnanti”.
Allontanare i loro bambini dalla guerra e dalla morte era più importante di qualsiasi bene materiale. Hanno speso 13.000 dollari per il viaggio dalla Siria all’Europa. “Abbiamo dovuto pagare in Siria e in Grecia –mi spiega Mazen- Mia sorella che vive in Arabia Saudita ci ha dato dei soldi e poi abbiamo venduto tutto, anche l’oro di mia moglie. La vita è più preziosa di ogni altra cosa, specie quando in gioco c’è la vita dei bambini”. Nel loro lungo viaggio Mazen ha potuto imparare i nomi di quei trafficanti di uomini che hanno il controllo del lucrosissimo business dell’immigrazione clandestina attraverso la rotta balcanica. Li ha stampati nella mente: “Sasha e Tony questi erano i loro nomi –dice con voce rotta Mazen- non li dimenticherò mai. E quando i loro intermediari mi hanno sentito ripeterli si sono indispettiti, ma io non ho paura di loro”.
Ora Mazen è a Vienna, al sicuro, e presto per i suoi figli questa terribile odissea sarà forse solo un brutto ricordo.