Lo scandalo dell’ex Cancelliere

Sebastian Kurz esce di scena, travolto dal suo stesso “sistema” di potere. Peculato, concussione, corruzione, i reati ipotizzati. L’ÖVP crolla nei sondaggi. Per ironia della sorte proprio l’ex Cancelliere, che si era servito di sondaggi truccati e commissionati con fondi pubblici per scopi partitici, vede all’indomani delle sue dimissioni il proprio partito calare drasticamente nelle preferenze dei cittadini austriaci, scendendo al 27% dal 31% dello scorso agosto e dal 37,5% delle politiche del 2019. Il cosiddetto “affaire delle inserzioni pubblicitarie” (Inseratenaffäre) ha disvelato all’interno del Partito Popolare che fa capo all’ex Cancelliere Kurz un vero e proprio sistema che si serve di metodi spregiudicati e agisce al di fuori delle regole, utilizzando un linguaggio irrispettoso degli avversari politici, in totale spregio delle istituzioni democratiche.

Sebastian Kurz perde la guida dell’esecutivo travolto dallo stesso sistema corruttivo di cui è al contempo artefice e vittima. Un sistema che è emerso anche attraverso una serie di messaggi che Sebastian Kurz si è scambiato con il cerchio dei suoi più stretti collaboratori nei quali turpiloquio e nepotismo si mostrano in tutta la loro potente brutalità. Non l’interesse pubblico ma quello privato sono al centro di uno scandalo che potrebbe portare l’Austria ad una disaffezione per la politica senza precedenti e ad una profonda sfiducia verso le istituzioni. E sono proprio la ricerca di stabilità e trasparenza ad aver guidato il Presidente Van Der Bellen nella designazione del Ministro degli Esteri Alexander Schallenberg (ÖVP) quale nuovo Cancelliere, chiudendo nel modo più rapido possibile una crisi che poteva rischiare di paralizzare il Paese. Un cambio della guardia a capo dell’esecutivo chiesto dai Verdi e dal loro leader e Vice-cancelliere Werner Kogler, alleati di governo dei Popolari, che mettevano seriamente in discussione la capacità di azione di Kurz, minacciando possibili nuove coalizioni. Scopriamo di più su questi sms e messaggi in chat che potrebbero non avere rilevanza penale ma che fanno luce su un inquietante sistema del Cancelliere.  Continua a leggere



ToTok, l’app spia degli Emirati?

ToTok, la popolare app per chat in video e voce, è ancora bandita dall’Apple Store. L’accusa, cybercrime. Sarebbe stata usata dagli Emirati per spiare gli utenti. ToTok era popolarissima tra gli espatriati residenti negli UAE, dove non è consentito l’utilizzo di altre app di messaggistica simili, in video, voce e testo, come ad esempio WhatsApp e Skype. Un sistema che non facilita la comunicazione in video e voce con l’estero e che occorrerà sicuramente ripensare, soprattutto in vista di Expo 2020 Dubai.

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ToTok consentiva di poter parlare con protocollo VoIP (Voice over IP), quindi gratis, evitando bollette telefoniche ancor più salate del normale, permettendo di rimanere in contatto, in voce e in video, con parenti e amici in altre zone lontane del mondo. Proprio per questo ToTok era diventata una delle app più scaricate negli Stati Uniti, guadagnando consensi e utenti anche in molti altri Paesi. Attualmente WhatsApp, Skype, Facebook Messenger voce, a cui tutti noi siamo abituati, non funzionano negli Emirati Arabi Uniti, e l’Autorità per le Telecomunicazioni emiratina (Telecommunications Regulatory Authority – TRA), incoraggia all’uso di Botim e C’ME, fornite rispettivamente da Etisalat e Du, ma non su base gratuita  senza limiti. Inizialmente, a ridosso di Natale, il bando aveva coinvolto sia Apple sia Google. Poi, senza troppo clamore, verso la prima metà di gennaio, Google ha reinserito la app su Google Play Store UAE, per poi toglierla nuovamente senza alcuna spiegazione. Il New York Times per primo ha scritto dell’indagine in corso da parte dell’intelligence statunitense. Secondo le autorità americane ToTok sarebbe stata utilizzata per controllare ogni comunicazione scritta e in voce. Il governo emiratino avrebbe spiato e tracciato ogni movimento, contatto, appuntamento, informazione, interscambio di chi aveva scaricato e usato la app. Scopriamo di più sulle presunte accuse e chi vi sia dietro ToTokContinua a leggere



ISIS, le chat del terrore

L’attentato a Manchester porta la firma dell’ISIS. È l’ennesimo, sanguinoso attacco al cuore dell’Europa. Il ruolo giocato dai social media nel diffondersi della propaganda dell’ISIS è indubbio. La presenza di miliziani del Califfato islamico su internet è attivissima. Attraverso le piattaforme social vengono raggiunti nuovi adepti e si reclutano i kamikaze di domani, gli assassini per mano dei quali, in futuro, si continuerà a seminare morte in Europa e nel resto del mondo. Il proselitismo via social network sembra inarrestabile e acquistano sempre più importanza le chat. Twitter e Telegram sì, WhatsApp no. Da Twitter, che è pubblico, l’ecosistema jihadista si è spostato sulle applicazioni di messaggistica istantanea e tra queste a WhatsApp viene preferito Telegram, per le sue caratteristiche di sicurezza e tutela della privacy degli utenti.

Accanto a questi canali comunicativi anche i media tradizionali hanno un ruolo nell’espandersi a macchia d’olio dell’ideologia jihadista. Nico Prucha, ricercatore esperto di jihadismo dell’Istituto di Studi Orientali dell’Università di Vienna, monitora da anni la galassia di miliziani del terrore operativa su Twitter, Facebook e Telegram. Proprio la chat di Telegram è uno strumento fondamentale per la propaganda dell’ISIS: “Per sua natura Telegram è una piattaforma dove le organizzazioni estremiste entrano in contatto con nuovi sostenitori e un canale attraverso il quale è possibile veicolare contenuti multimediali” dice Nico Prucha, in una intervista rilasciata al Kurier.

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L’avanzata di Telegram rispetto ad altri social network è dovuta al fatto che, soprattutto Twitter, ha iniziato dal 2016 a filtrare i propri contenuti, bloccando o cancellando quegli account legati all’ISIS. “L’ecosistema jihadista ha abbandonato Twitter per riversarsi in massa su Telegram -racconta Prucha- piattaforma sulla quale già viaggiava la comunicazione di membri di rilievo del mondo jihadista. Anche se fare proselitismo su gruppi segreti all’interno di Telegram non ha la stessa efficacia di campagne di propaganda fatte via Twitter”. I controlli sui contenuti operati da Twitter nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha costretto l’ISIS a riprogrammare e rivedere la propria strategia comunicativa, e tornare così ad essere efficaci e pienamente attivi anche su Twitter, Instagram e Facebook, malgrado esista il rischio più che concreto che gli account possano essere bloccati. “Proprio perché l’ISIS è un gruppo molto pragmatico, ha modificato lo scambio di contenuti, che sempre più avviene attraverso un’operazione di copia e incolla fatta da singoli supporter -spiega Prucha- Così se un singolo account viene bloccato, ve ne sono sempre di nuovi che operano e diffondono contenuti, indisturbati, sfuggendo alle maglie dei controlli”.  Continua a leggere