Burkini vs bikini? Vienna contro il bando francese

Burkini o bikini? No, non scriverò pro o contro il burkini. Non darò un contributo tardivo al dibattito più infuocato dell’estate 2016. Eppure il primo luglio, un mese e mezzo prima che in Costa Azzurra, a Hainfeld, cittadina della Bassa Austria, è entrato in vigore il bando del burkini in una piscina pubblica, per decreto del consiglio comunale. Una mozione proposta dal consigliere Peter Terzer, dell’FPÖ, il Partito della Libertà. A chi frequenti la piscina comunale di Hainfeld si impone il rispetto dell’uso di indumenti appropriati, in linea con i necessari criteri igienici. Queste le motivazioni addotte dall’amministrazione, presieduta dal sindaco dell’SPÖ Albert Pitterle. Sono norme in essere da decenni, sembra che abbia dichiarato il primo cittadino di Hainfeld alla stampa locale, aggiungendo anche che nessuna polemica è stata sollevata a fronte del divieto.

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Nel frattempo in Francia il Consiglio di Stato sospende la norma anti-burkini a Villeneuve-Loubet, comune vicino a Nizza, perché lesivo delle libertà fondamentali. E l’Onu condanna il bando imposto in Francia, perché discrimina i musulmani. In questo scenario, a Vienna, proprio qualche giorno fa, ha preso vita una manifestazione di protesta contro la proibizione del burkini imposta sulle spiagge francesi. Al motto di “Wir schwimmen wie es uns gefällt” (Noi nuotiamo come ci piace), un invito affinché ognuno sia libero di fare ciò che gli pare, donne musulmane, velate e non, donne non musulmane e uomini, si sono ritrovati lungo le sponde del Donau Kanal per opporsi a quella che ritengono un’inaccettabile prevaricazione da parte dello stato francese. 

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Protesta stile beach party a bordo piscina

Donne e uomini, di età diversa, si sono presentati indossando il costume da bagno che preferivano. Si sono viste le più fantasiose tenute: dal burkini castigatissimo a quello più colorato e trendy, dal bikini al costume intero, in qualche caso abbinato all’hijab, dai vestiti normali agli shorts, da uno strano simil perizoma maschile alla minigonna, dal pareo al sexy Dirndl, a maschera e boccaglio.

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Hanno cantato e ballato a lungo, per poi tuffarsi in una delle più famose e suggestive piscine della città, la Badeschiff, una nave trasformata in vasca olimpionica, con annesso bar-ristorante, spazio per ombrelloni e sdraio.

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Moltissimi i cameraman e i fotografi, accorsi per avere qualche scatto della variopinta dimostrazione di protesta. Forse meno nutrito del previsto il numero dei partecipanti.

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Gli organizzatori si aspettavano 400 supporter, ma alla fine, complice un tempo incerto, hanno aderito alla dimostrazione di protesta meno persone del previsto. Mentre su Facebook in 2.000 si erano detti interessati.

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Le immagini della spiaggia di Nizza

Ho chiesto a Elvira Feistl, attivista e promotrice di Schwimmen wie es uns gefällt, il perché di questa manifestazione. “Tutto è nato grazie a un gruppo formato da 10 persone: 8 donne, alcune musulmane con hijab, altre senza, e alcune non musulmane, più 2 uomini”.

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All’inizio si è trattato dell’idea di due amiche, non islamiche, colpite dalle immagini di Nizza. Due poliziotti, in spiaggia, obbligano una donna musulmana a togliersi la tunica con la quale era coperta.

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“Nessuna di noi porta l’hijab -racconta Elvira- ma il fatto che nell’estate del 2016 un’istituzione statale possa decidere cosa un donna debba indossare in pubblico nel suo tempo libero significa eliminare con un colpo di spugna decenni di storia dell’emancipazione femminile in Europa”.

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Anni di conquiste non si possono cancellare

Elvira mi dice che molte donne musulmane l’hanno ringraziata per aver dimostrato solidarietà nei loro confronti. “Anche se coinvolge solo le donne islamiche, noi che non siamo musulmane, sentiamo che questo divieto ci riguardi tutte -sottolinea Elvira- È come se tutte le battaglie e le conquiste fatte dalle nostre mamme e dalle nostre nonne per poter decidere autonomamente cosa mettersi indosso, fossero state spazzate via in un attimo, con un atto di prevaricazione”.

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Così da flashmob in costume da bagno, si è trasformato in una vera dimostrazione organizzata, con un afflusso di persone che la stessa Elvira non si aspettava.

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La missione era far parlare i media del burkini e della libertà delle donne di prendere le proprie decisioni senza costrizioni. Alla fine Elvira e i suoi sostenitori ci sono riusciti. Tutta Vienna ha parlato dell’iniziativa pro burkini.

Burkini, la situazione francese

Sul divieto del burkini, stabilito da alcuni comuni, il premier francese Manuel Valls ha dichiarato che quell’indumento è “espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna” ed è perciò ”incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica”. In un sondaggio il 64% dei francesi si è detto favorevole al bando.

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Austria: il burkini e la libertà di nuotare

L’idea che molti non musulmani hanno è che il bisogno di coprirsi non nasca da una libera scelta della donna, bensì da una forzatura dei precetti del Corano. Laddove più che di modestia, si tratti al contrario del retaggio di una società arcaica, nella quale la donna era sottomessa e andava protetta dal rischio di possibili stupri o violenze. Inoltre coprirsi, soprattutto con il velo integrale, viene visto spesso come un ostacolo all’integrazione. Cosa dicono al riguardo le donne musulmane che indossano il burkini? “Sono felice che il bando in Francia sia successivamente stato sospeso dalla decisione del Consiglio di Stato che respinge tale divieto in modo categorico -spiega Carla Amina Baghajati, Responsabile stampa dell’IGGiÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich (la Comunità di Fede Islamica in Austria)- Una decisione appoggiata anche dall’Onu. Come donna musulmana sono felice del bodykini, come amo chiamarlo -visto che il termine burka non evoca in me alcuna associazione positiva- perché mi offre la possibilità di fare sport. Io adoro nuotare!”.

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L’Hijab è come il velo delle suore?

Ci sono musulmani che paragonano il velo islamico al velo delle suore, accettato comunemente dalla società occidentale, e a sostegno della loro tesi dicono che le donne che indossano hijab, niqab o abaya in fondo esprimono il loro sentimento religioso, proprio come le suore.

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Non le sembra, però, che ci sia una differenza tra delle religiose e delle donne comuni? “Non direi. Dovrebbe essere un principio di una società democratica consentire alle persone di decidere cosa vogliano indossare -dice Carla Amina Baghajati– E non dimentichiamo che l’hijab non è un’uniforme”.

Onu, burkini, islamic fashion

L’Onu nel condannare il bando del burkini in Francia ha ribadito che l’uguaglianza di genere non si ottiene imponendo cosa indossare. Se però è d’accordo con questo principio, non pensa che il burkini possa altrettanto essere considerato un’imposizione? “Non ho mai incontrato una donna che sia stata forzata a indossare il burkini -risponde Baghajati, che rilancia- Non trova significativo che le questioni legate alla libertà personale vengano discusse sempre sopra la testa delle donne musulmane? Comunque nell’arco di alcuni anni vedremo come questa inutile discussione sarà vista un domani con occhi diversi. Sempre più donne indosseranno il bodykini per proteggere la pelle dal cancro”. E non a caso, quest’anno, la nota catena britannica Marks & Spencer ha lanciato in Europa la sua prima linea di burkini. Anche se, più che per motivi salutistici, si è voluto forse strizzare l’occhio alla ricca clientela del mondo arabo, con modelli che unissero al principio della modestia anche il fashion design di tendenza.

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