Skin Deep, la mostra dell’artista Lucia Riccelli, indaga emozioni e fragilità umane nello spazio sospeso della tela, attirando anche il Presidente Van der Bellen. La pittrice italiana vive tra Austria, Italia e Grecia, ma è Vienna ad averle regalato i più importanti riconoscimenti della sua carriera artistica. Infatti, dopo averla scoperta al Leopold Museum e aver acquistato una sua opera, il Presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen colpito dal suo talento le ha commissionato il suo ritratto ufficiale che, alla fine del suo secondo mandato, sarà esposto alla Hofburg, sede della Presidenza della Repubblica federale austriaca.
“Tra noi in qualche modo è nata un’empatia, o una simpatia -mi dice Lucia, descrivendo il rapporto che la lega al Presidente austriaco- In ogni caso è nata anche una grande, reciproca stima”, aggiunge. La capitale austriaca è il luogo in cui forse Lucia si sente maggiormente a casa, anche se per lei, che viaggia molto, casa è il mondo intero: “Adoro Vienna. Ovunque ci sia io e in qualsiasi luogo io possa esprimermi mi sento a casa -mi racconta Lucia- L’Austria per me come artista è un luogo fantastico perché sento che qui vengo valorizzata maggiormente rispetto all’Italia. Gli austriaci apprezzano il bello e sento di essere presa più sul serio”.
Lucia Riccelli è un’artista a tutto tondo, nasce ballerina, studia violino, frequenta l’accademia di belle arti. È la danza contemporanea ad aver riacceso l’interesse di Lucia per la pittura: “Danzando e vedendo i miei colleghi danzatori usare il corpo per esprimere movimenti che non puntavano solo a decorare lo spazio ma che rappresentavano anche una ricerca all’interno della persona sono riuscita a superare un periodo di stasi creativa” mi spiega l’artista. Scopriamo di più su Lucia Riccelli, la sua arte, la sua tecnica pittorica e la mostra Skin Deep.
La realtà rimodellata dall’artista
La mostra Skin Deep, in corso alla Kleine Galerie di Vienna, è un progetto al quale Lucia Riccelli tiene moltissimo. Le chiedo quali opere d’arte includa. “Questa mostra significa molto per me, in quanto ho potuto esporre, attraverso una serie di lavori che comprendono tutte le tecniche da me usate in questo periodo, una sintesi delle tematiche sulle quali indago e che quasi ossessivamente accompagnano la mia ricerca pittorica”. Lucia riesce a dare forma alle emozioni, all’interiorità più intima, mettendo a nudo le pieghe nascoste dell’anima, mostrando ciò che difficilmente le parole riescono ad esprimere, ossia l’autenticità dell’essere umano. Così pur restando sempre una pittrice figurativa, che ritrae soggetti reali, donne, uomini, talvolta anche bambini, Lucia sconfina nell’astrattismo con un fare pittorico che sempre più si libera dalla realtà oggettiva per decomporla e successivamente ricomporla in chiave espressionista. Un processo che fissa sulla tela quell’energia cinetica che tutto smaterializza e trasforma, catturando il lampo di un istante in tutta la sua verità, riuscendo ad imprimere sulla tela una scintilla di eternità. “Quell’immenso mondo che si cela dietro l’apparenza, le relazioni interpersonali, il linguaggio del corpo, la necessità di esprimere ciò che le parole non dicono, il coraggio di mostrare la propria fragilità nel tempo sospeso di una tela -così Lucia racconta i temi della sua ricerca pittorica- Sono opere di grande formato in acrilico ed olio, acquerelli su carta e una serie su stampa e pittura ad olio su alluminio. In questa serie di opere rimodello la realtà a mio piacimento ed è così che mi piacerebbe venisse interpretata da chi la osserva, sfidando le difficoltà dell’esistenza attraverso l’essenza delle proprie emozioni”.
Dalla danza alla pittura per dare forma al non detto
Attraverso la danza, con uno spettacolo su La Metamorfosi di Kafka inizia la ricerca di Lucia Riccelli sul movimento e sul linguaggio del corpo umano, come chiave per descrivere la condizione umana e la sua gamma infinita di emozioni e sensazioni. La sua carriera di pittrice decolla nel momento in cui alcuni suoi schizzi realizzati con la china su carta e preparati in occasione di uno spettacolo teatrale di danza contemporanea in Austria vengono esposti nel foyer del teatro e incontrano il favore del pubblico, tanto da essere tutti venduti nell’arco di una serata. Per la realizzazione delle coreografie dello spettacolo il regista aveva chiesto ai danzatori di pensarsi insetto e da lì ipotizzare la trasformazione in essere umano, attuando di fatto il processo inverso a quello kafkiano. “Da questo sono venuti fuori degli schizzi che erano un po’ anticonvenzionali ma molto autentici, perché il pensiero che li aveva sviluppati era autentico -mi spiega Lucia– C’era un misto di curiosità, nel vedere cosa succedeva in quelle persone, velocità perché stavano danzando. È avvenuto uno scambio, mi sembrava di vedere me stessa allo specchio fare la stessa cosa, così cercavo di ricordarmi il mio processo coreografico per poi riportarlo su carta. Da lì è cominciato lo studio dello stato d’animo umano che si è sviluppato in tanti anni fino ad ora, prendendo le mosse da quel momento, in piccoli schizzi in bianco e nero ai quali non avevo dato alcuna importanza, a parte il fatto della curiosità di studiare questi movimenti e questo processo. Continuo ostinatamente a lavorare sugli stati d’animo, sul non detto, su ciò che rimane un po’ nascosto nelle persone”.
Arti performative e animo umano
Chiunque guardi un suo quadro deve potervi leggere qualcosa di suo, ecco perché Lucia Riccelli non dipige mai un’emozione ovvia. Ogni persona, a seconda del suo stato d’animo, può vedere riflesso nell’opera qualcosa di sé, del suo mondo interiore, oppure può persino sentirsi estranea a quel determinato sentimento. “L’idea sostanziale è lasciare queste anime dipinte nei quadri aperte, in modo che l’osservatore possa infilarcisi dentro e sentirsi a suo agio, o a disagio, o addirittura voglia guardare da un’altra parte. Non si tratta però mai di uno stato d’animo ovvio -sottolinea Lucia- È come siamo noi, è uno stato d’animo che si muove continuamente perché nella nostra quotidianità possiamo passare dalla gioia alla depressione, dalla paura alla speranza, siamo continuamente in movimento”. La ricerca di Lucia parte proprio dal movimento, grazie alla danza che le ha dato l’ispirazione e la cifra stilistica per mostrare concretamente gli stati d’animo. “Così mi sono chiesta come potessi farlo nella pittura, essere veloce, lasciare finestre aperte, pezzi aperti -mi spiega Lucia– Quindi è una ricerca che non si esaurisce ma cresce e prosegue con la mia arte. Ogni quadro ti fa capire quello che manca e che può rendere migliore il successivo, o invece capisci cosa ridurre”. Chiedo a Lucia quanto le arti performative e la danza fanno ancora parte di questo suo nuovo progetto artistico. “Per me ogni opera è un evento. In ogni opera, come in una performance, accade qualcosa ma nella quale il movimento dell’azione va oltre la mera rappresentazione di esso nel tentativo di renderlo eterno. È quell’inquietudine che ci fa danzare dentro, quel ‘solo’ da interpretare ogni singolo giorno della propria vita”. Lucia vive l’atto pittorico come una performance teatrale in cui disvelare luci e ombre dell’umano esistere: “La tela condensa un palcoscenico nel quale il sipario rimane sempre aperto, e su quella scena vorrei essere capace di reinventarmi ogni singolo giorno… eternamente -prosegue Lucia– Mi sembra che a volte sia questo il mio scopo come artista: essere capace di instaurare un dialogo con chi guarda il quadro, nel tentativo di divenire una sorta di fonte di ispirazione, dove chi osserva possa ritrovare i temi essenziali per celebrare la vita, la forza e la fragilità della condizione umana”.
Colori come note musicali
Il legame tra pittura e danza per Lucia Riccelli è fortissimo: “Per la mia visione dell’arte la danza e la pittura sono molto legate, si nutrono a vicenda, perché ho vissuto in entrambi i mondi. Quando danzo a volte lo faccio in previsione di un quadro, o di un lavoro, o di un concetto artistico che sto sviluppando”. Lucia suona anche il violino. Quindi nelle sue opere entra in gioco anche la musica. I colori che utilizza, sempre brillanti e pieni di contrasti forti, sono un qualcosa che nasce da dentro, sono le sue note musicali. “So che voglio contrasti, tinte scure, ma non uso il nero, solo combinazioni che creano blu scuro. Uso anche molto i colori complementari, una gamma dei blu e dei turchesi con gli arancioni, la scelta va molto spontanea sui colori complementari e il fatto che vi siano contrasti mi spinge a usare colori accesi là dove voglio più luce, perché uso la tela scura. Il colore esprime lo stato d’animo e quindi cambia con l’umore” mi racconta Lucia. Il modo in cui stende il colore riflette i suoi stati d’animo in un continuo gioco di rimandi con l’opera d’arte. “I contrasti forti fanno anche uscire di più la forma, così procedo a sensazioni, là dove il colore lo voglio stridente, o sfumato, in un dialogo costante con il quadro. Tu hai un’idea, la trasferisci sulla tela e il quadro poi ti risponde dandoti una nuova idea, finché non ti dice stop. Non penso molto, mi lascio andare, procedo istintivamente, facendo affiorare sempre nuove emozioni. Così non c’è il rischio di essere la copia di se stessi, ma al contrario si mantiene l’autenticità” conclude Lucia.
Collaborazioni creative
Lucia ha anche iniziato una collaborazione artistica con la pittrice Giada Iafisco. Le chiedo di parlarmene: “Abbiamo cominciato a collaborare durante la pandemia, un modo per lavorare a distanza e realizzare un’idea che avevamo da molto tempo nella nostra lista dei desideri. Giochiamo sulla diversità, partendo dalla fusione dei nostri differenti stili su un quadro. Io attraverso il colore ad olio rivelo i volti e con pennellate trasparenti rivelo e concretizzo l’incarnato. Giada Iafisco, attraverso l’acquerello e l’inchiostro, disegna i suoi intriganti labirinti grafici, che affiorando da sotto la pelle, sembrano alludere ai graffi che le esperienze incidono sull’anima. Insieme usiamo il volto come superficie espressiva ed ipnotica da scalfire”. Il risultato sono opere suggestive in cui l’intricato groviglio di emozioni che compongono l’animo umano trova voce. Un fitto gioco di trasparenze e opacità, di stratificazioni più o meno materiche, che rendono visibili i segni impressi nell’anima dall’esperienza del nostro vivere. “L’essere umano è la forza ispiratrice della nostra ricerca, l’urgenza di riconoscere le forme enigmatiche di ciò che si nasconde in fondo alla nostra mente e appunto ‘sotto la pelle’ e dare una voce ‘visibile’ ai nostri stati d’animo in continuo mutamento. Ci interessa creare personaggi che escano dalla loro quotidianità per collocarli in un luogo nuovo e permettere loro di reinventarsi attraverso strati, trasparenza, coincidenze e intuizioni”.
La mostra “Skin Deep” prosegue fino al 16 novembre, alla Kleine Galerie di Vienna (Kundmanngasse 30 – 1030).