L’arte contemporanea domina la scena viennese. È in pieno svolgimento la Vienna Contemporary, la fiera mercato di arte contemporanea tra le più prestigiose del mondo. Un’edizione ancora più bella degli anni precedenti, con una selezione di artisti, opere e gallerie sempre più curata e di alto livello. Questi i numeri della kermesse che apre una finestra sull’Austria e sui Paesi di Centro ed Est Europa: 118 partecipanti di cui 110 gallerie d’arte e 8 istituzioni provenienti da 27 Paesi diversi, più di 400 artisti, 5.000 opere in mostra e ci si aspetta un’affluenza di pubblico di oltre 30.000 visitatori.
Sempre forte la funzione di cerniera tra Occidente e Oriente che Vienna ormai ha consolidato, come mi spiega il Direttore Artistico Christina Steinbrecher-Pfandt: “Rappresentiamo una vetrina di un numero sempre crescente di Paesi dell’Est Europa. Quest’anno abbiamo l’Ucraina, la presenza della Serbia e sempre più gallerie dal Belgio, segno che il rapporto di fiducia che abbiamo costruito in questi anni ormai tende a consolidarsi e a dare i suoi frutti”. Una Vienna Contemporary incentrata anche sul ruolo chiave delle nuove tecnologie e dei media digitali, sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. Interessante l’esperimento di augmented reality attraverso una app che interagisce con le opre d’arte esposte. “Le connessioni tra arte e digital media sono sempre più strette e cambieranno velocemente il modo in cui si fruirà della cultura e dell’arte, il nostro modo di rapportarci ad esse, il modo in cui si produrranno opere d’arte e il nostro consumo di arte e cultura -mi racconta Dimitry Aksenov, Presidente della Vienna Contemporary- Si aprono nuove sfide e per questo sarà anche stimolante iniziare ad investire in startup che lavorino sull’uso delle tecnologie digitali in ambito artistico e culturale. Ma ciò che cambierà sarà anche il fatto che le tecnologie aumenteranno il valore dell’arte e il ruolo che l’arte avrà nella nostra società”.
Il ruolo chiave di Vienna come crocevia tra Ovest ed Est viene messo in evidenza anche dal Direttore Generale Renger Van der Heuvel: “Vienna geograficamente e storicamente ha un’importanza straordinaria come ponte, come anello di congiunzione tra questi due mondi. Quando sono arrivato per la prima volta dieci anni fa ho immediatamente sentito in modo palpabile la presenza dell’Europa dell’Est. Abbiamo puntato a migliorare ulteriormente la qualità delle gallerie che espongono e questo è stato possibile grazie alla reputazione sempre più consolidata della fiera”. Importante il focus sull’Armenia, “un Paese dell’ex Unione Sovietica, estremamente interessante anche sotto il profilo politico, per la rivoluzione pacifica che ha vissuto” sottolinea Van der Heuvel. Vediamo insieme le quattro gallerie italiane presenti e le opere più stimolanti della Vienna Contemporary.
Un po’ di Italia, tra tanto Est
Sono quattro le gallerie italiane presenti alla Vienna Contemporary: Galleria Doris Ghetta di Ortisei, Galleria Michela Rizzo di Venezia, Privateview Gallery di Torino e Alessandro Casciaro di Bolzano. Diversissime le loro proposte, che non necessariamente portano in mostra artisti italiani, come nel caso di Doris Ghetta che quest’anno espone oltre a due artisti altoatesini anche opere interessantissime di Sophie Hirsch, giovane artista viennese, che vive negli Stati Uniti.
Le opere della Hirsch, nata nel 1986, sono inquietanti e spiazzano l’osservatore. Il suo interesse è incentrato sul corpo umano. Con una tecnica originalissima utilizza il silicone applicato a strati su stoffe che hanno una forte somiglianza con la carne, con i tessuti umani.
Colpisce uno strano brandello di carne che con le sue lacerazioni e piaghe sembra visualizzare, incarnandoli, gli incubi più orrendi che affliggono l’umanità. Carne analizzata, pelle e tessuti vivisezionati, con un effetto impressionante per chi entra in contatto con i suoi lavori.
Doris Ghetta propone anche Arnold Holznecht e Aron Demetz, altoatesini ma con un curriculum internazionale. Opere nelle quali entra la natura, quelle di Holznecht, che abita e lavora in Val Gardena.
Nasce come scultore ma a Vienna espone quadri nei quali vengono inseriti dagli aghi di pino alle venature del legno che danno un effetto tridimensionale ai suoi lavori. Stile minimalista, per opere quasi meditative.
Demetz ha esposto le sue opere nel padiglione italiano alla Biennale di Venezia, e qui a Vienna propone sculture di notevole suggestione, prevalentemente combustioni.
Il legno carbonizzato assume deformazioni e disgregazioni e nell’opera scultorea di più grande formato è in atto una trasformazione-fusione tra due corpi, una metamorfosi tra anima e corpo che incanta ed emoziona.
Lino, gesso, legno
Un solo artista, 38enne di New York, Adam Winner, per la galleria torinese Privateview di Silvia Borella e Mauro Piredda.
La vera particolarità è il modo in cui le opere presenti alla Vienna Contemporary sono state concepite e realizzate.
Winner le ha prodotte in Italia, durante un periodo trascorso a Torino alcuni mesi fa.
La misura con cui Adam Winner si rapporta con il mondo è se stesso, così tutte le sue opere, che si rifanno molto all’arte povera, usano come unità di misura la lunghezza delle sue mani, quella del suo volto, e la sua altezza.
Materiali poveri ma nobili, come evidenzia Mauro Piredda: legno, lino belga, gesso. La particolarità sono le stratificazioni di lino, gesso e colore, sempre e solo bianco associato ad un blu o un verde scurissimi, tanto da sembrare nero.
Nessuna forzatura nelle pieghe del lino, tanto che la stoffa talvolta sembra quasi fluttuare in balia di un vento dell’anima.
Paesaggio, natura e passeggiate
La Galleria Michela Rizzo propone molti artisti che lavorano con il paesaggio e la natura.
C’è Hamish Fulton, l’artista britannico che ha fatto del passeggiare la sua arte, inventando assieme a Richard Long nuove forme di landscape art.
Poi c’è il viennese Michael Hoepfner che traduce in arte, tra disegno e foto con interventi di tipo pittorico, le sue camminate e visite in Tibet, dove si è recato per ben 14 volte.
E ancora troviamo Antonio Rovaldi che cammina e gira in bicicletta creando foto suggestive, e Pierpaolo Curti che propone paesaggi metafisici, basati sul suo rapporto con la montagna e la natura.
Poi c’e Silvano Tessarollo che dalle sculture in cera degli anni ’90 è passato a dipinti espressione di una nuova tecnica che si serve di elementi naturali: terra e pioggia vengono utilizzati e per così dire intrappolati nell’opera, attraverso uno strato di resina, quasi a fissare la natura all’interno dei suoi quadri.
Alla Vienna Contemporary sono proposti due suoi acquarelli. Infine c’è Ryts Monet, italianissimo, che vive a Vienna da un paio d’anni. Un paesaggio più antropomorfo, quello di Ryts Monet, che analizza una dimensione sociologica. Lavora con diversi media e parte sempre da materiale preesistente.
Riserva Aurea è un assemblaggio realizzato con banconote raccolte nel tempo, tutte con illustrazioni floreali. Grazie ad un passe-partout bianco apposto sopra diventano il focus dell’opera.
Un’opera con recto e verso, con le banconote visibili nella parte posteriore e i fiori che campeggiano sulla parte frontale. Palm Oil è una foto, quasi una natura morta contemporanea. Una composizione realizzata con prodotti alimentari etnici che hanno una connessione con i Paesi di origine degli immigrati che gestiscono quegli esercizi commerciali nei quali sono stati acquistati.
L’estetica è quella di manifesti, cartelli e vetrine di questi negozi etnici. Persino i colori, sono stati trattati digitalmente in post-produzione, per creare un effetto sbiadito, come se la foto fosse scolorita dall’esposizione al sole e dall’incuria. Tutti dettagli che conferiscono verosimiglianza a questa inedita natura morta.
Plexiglas, carta giapponese e foglia d’oro
Alessandro Casciaro mi racconta che “l’idea è stata quella di portare un progetto unitario, con due artisti contemporanei che si confrontano con opere storiche delle avanguardie italiane e che al tempo stesso sperimentano. Due artisti per certi versi abbastanza simili, l’uno romano, l’altro tedesco”. Utilizzano tecniche e materiali anche classici come foglia d’oro, oppure disegno su carta, olio su vetro, come nel caso di Antonello Viola. Invece Giovanni Castell propone ambienti e architetture che ricordano l’arte del quattrocento, ma sono interamente realizzati in digitale, in ambito virtuale.
Lavora in bilico tra fotografia e pittura, realizzando una stampa su plexiglas deformata successivamente con forno a caldo, che fa acquistare ai lavori una certa tridimensionalità e letture diverse a seconda della prospettiva da cui ci si pone ad osservarle.
Giovanni Castell sperimenta molto a livello di tecniche, annegando anche gli oggetti nel silicone. Antonello Viola è un artista astratto, più tradizionale, che lavora sul monocromo.
Alla Vienna Contemporary propone opere fatte su carta giapponese, o vetro, con una dimensione secca. Procede stratificando e lavorando sul tempo.
Riflettori puntati sull’Armenia
L’Armenia con il suo passato tormentato e il suo presente fatto di una rivoluzione pacifica è il focus di questa edizione della Vienna Contemporary. Tutto traspare nelle opere d’arte selezionate dalla Armenia Art Foundation: dalla tragica memoria del genocidio che si è consumato tra il 1915 e il 1917, quando tra i 600.000 e il milione e mezzo di armeni sono stati deportati e massacrati dall’Anatolia all’attuale Siria ad opera dei turchi, al passato di repubblica dell’ex Unione Sovietica.
Proprio il periodo sovietico viene analizzato nel lavoro fotografico di Piruza Khalapyan che mostra una città cresciuta attorno ad un impianto nucleare e nel film realizzato da Arman Grigoryan su una città ideale progettata attorno ai giacimenti minerari.
Fondamentale il contributo e la svolta creativa impressa dalla Armenia Art Foundation, che non solo promuove artisti armeni, ma anche artisti di origine armena, o artisti che decidono di fare dell’Armenia il luogo della propria produzione artistica, come mi raccontano la curatrice Sona Stepanyan e il Direttore Esecutivo Anush Zeynalyan, di origini armene ma trasferitasi da Mosca a Yerevan due anni fa.
Originale il lavoro della giovane Rebecca Topakian che è partita dalle memorie dei bisnonni trasferiti in Francia, dove lei è nata, per fare ricerche sulla sua famiglia e sulla terra dei suoi avi.
La dimensione fiabesca, quasi mitologica è stata alimentata anche dalla storia del bisnonno che, appartenendo ad un ceto sociale diverso da quello della bisnonna, la rapisce e scappa con lei a cavallo per poter coronare il loro sogno d’amore, avversato dalle rispettive famiglie.
Le storie che Rebecca Topakian crea sono di fantasia e traggono linfa dal suo frammentario passato familiare e dal legame che pian piano si forma visitando e scoprendo la terra dei suoi avi.
Le foto di famiglia vengono stampate su pietre di tufo e ossidiana prese in Armenia e anche nei luoghi di origine dei bisnonni in Anatolia.
Artisti austriaci e non solo
Quest’anno la Zone 1 è dedicata non solo agli artisti austriaci, ma anche ad artisti che in Austria e a Vienna hanno realizzato il loro percorso formativo, o svolgono la propria attività artistica.
A curare questa sezione è stata l’italiana Victoria Dejaco, da anni addentro alla scena artistica viennese. “Sono tutti artisti che sviluppano temi a loro cari, analizzandoli in profondità. Tutte personalità di spessore anche se tutte al di sotto dei quarant’anni, che lavorano molto e sperimentano. Le loro opere continueranno a parlarci anche a distanza di anni”.
Nana Mandl ha vinto il premio Bildrecht Solo Award grazie ai suoi collage ricchi di immagini del nostro tempo, prese dal mondo digitale e citazioni.
Le foto prese dal web vengono deformate, combinate e sovrapposte con uno stile sperimentale che esce dai canoni tradizionali.
Tanto che Victoria Dejaco ha voluto essere fotografata accanto ad uno dei lavori di Nana Mandl.
Estremamente interessanti gli artisti proposti, tra cui Philip Patkowitsch che per i suoi lavori utilizza motivi da lui creati e poi stampati, abbinati a dettagli di fotogrammi cinematografici o di serie televisive.
Nella Zone 1 c’è anche un italiano, Simon Iurino, nato a Bolzano nel 1986.
“Anche se generalmente realizzo opere più architettoniche e installazioni, con uso di materiali industriali, per i lavori esposti alla Vienna Contemporary ho utilizzato la tecnica della cianotipia”.
“La cianotipia veniva adoperata anche dagli architetti nel 1860 per moltiplicare i loro disegni tecnici -mi racconta Simon- L’uso di questa tecnica stabilisce un legame con l’architettura. La serie si chiama Folded Gesture, gesto piegato”.
La cianotipia è un procedimento fotografico monocromo che crea immagini di colore blu di Prussia e azzurro. In questi lavori ci si concentra sul gesto e sulla sovrapposizione della carta e della rete che Simon ha usato. Ad ogni piegatura corrispondono sfumature cromatiche, a seconda che siano più o meno esposte mentre, al tempo stesso, rimangono impressi motivi lasciati dalla trama della rete inserita assieme alla carta in queste opere che Simon Iurino ha ideato per la Vienna Contemporary.
Tra i tanti artisti spicca l’austriaco Julian Palacz che oltre ad avere una straordinaria sensibilità artistica è anche un talento dell’informatica.
Grazie alla sua capacità come programmatore ha creato un’opera bellissima che traduce in termini contemporanei l’antico origliare attraverso le pareti. I suoi quadri sono ingrandimenti delle tracce digitali lasciate dal vicino di casa.
Un dettaglio dell’algoritmo che, con ascisse e ordinate, ci racconta attraverso un’immagine astratta quanto il vicino si sia collegato ad internet, da quali dispositivi e a quali orari, in due diversi giorni della settimana.
Anche l’inglese James Lewis che ormai da anni vive a Vienna espone nella Zone 1. Lewis crea quadri che raffigurano costellazioni.
Opere quasi architettoniche che visualizzano lo spazio e hanno molteplici livelli di lettura. Incastonati ci sono anche calchi in resina di bicchieri, e parti di denti umani con patologie.
Anche le sue sculture sono un modo per fermare il tempo, una stratificazione di malta, di sostanze usate in medicina e biologia, perché il tempo è una costruzione umana che però consuma e cambia le cose.
Cina, Corea e Olanda
Belle e stimolanti le proposte della PIFO Gallery di Pechino.
Stavolta non c’è nessun pittore cinese ma, come mi racconta il Direttore Dayu Yang, vengono presentati al pubblico viennese due artisti astratti tedeschi: Benjamin Appel, tedesco ma vissuto molti anni in Ecuador, ed Enrico Bach. Appel è ossessionato dalla forma rettangolare.
Bach, invece, ama esprimersi su tele di grande formato, oppure riprodurre le impressioni di opere di grandi maestri del passato traducendole in un linguaggio astratto.
Di grande impatto le opere di Seungmo Park della Efremidis Gallery di Berlino che realizza opere con reti metalliche usate quasi come fossero pixel.
Parte da sue fotografie e poi elabora quelle immagini con stratificazioni tridimensionali di rete metallica. Più ci si allontana più le immagini si definiscono, più ci si avvicina più le immagini tendono a diventare sfocate e confuse.
Opere tridimensionali che sono un’illusione. Una idea e una tecnica che l’artista coreano, che vive tra Seoul e New York, ha maturato nel corso del suo lungo soggiorno in India, quando voleva diventare monaco.
Oggi è un uomo di famiglia, con moglie e figli, ma crea quadri e sculture che lasciano davvero un segno forte. Sempre di grande interesse le proposte e gli artisti della galleria olandese Gerhard Hofland.
Le tele di Michael Kirkham mostrano una realtà catturata mai in modo cinico, ma sempre con compassione e amore, anche quando le immagini sono crude.
Le sculture dell’olandese Bas De Wit sono realizzate con poliestere e raffigurano il caos della vita.
Nei capitelli contorti e curvati su loro stessi ha fissato il declino della società e della cultura occidentale, ma sempre in modo profondamente ironico e provocatorio.
Tra i pittori austriaci ve ne sono due da segnalare. Clemens Wolf, artista astratto, che utilizza prevalentemente il blu e il nero.
Peter Jellitsch che realizza motivi ripetuti, come ad esempio palme stilizzate che lo hanno colpito nel periodo formativo a Los Angeles. Palme in bianco e nero, ripetute a mano e non stampate.
Gli artisti sono amici e condividono lo stand della Vienna Contemporary, rappresentati dalla galleria Clemens Gunzer di Vienna.
Hanno venduto in poche ore, nel giorno della preview, praticamente tutte le loro opere esposte, alcune delle quali ritratte in queste foto, tanto da costringere il gallerista Clemens Gunzer a sostituirle quasi tutte.