Nella giornata internazionale dell’emoji, ecco la mia intervista alla 16enne che ha creato l’emoji con l’hijab. Si chiama Rayouf Alhumedhi e a fine 2017 è stata inserita da Time nell’elenco dei trenta teenager più influenti del pianeta. Rayouf è di origini saudite, ma vive a Vienna. Frequenta il liceo internazionale alla VIS con successo. È una ragazza intelligente, simpatica, socievole. Rayouf è musulmana e indossa il velo islamico, ovvero la sciarpa che copre testa e spalle, lasciando libero il volto.
È lei che ha ideato e fatto in modo che quell’immagine di giovane donna con l’hijab diventasse un emoticon che tutti abbiamo notato all’interno del nostro smartphone, sia esso iPhone o Android. Qualche mese addietro oltre all’onore e alla gioia di essere diventata famosa per la sua iniziativa, il suo caso ha suscitato scalpore perché Rayouf è stata oggetto di un’incredibile ondata di odio in rete. Una pagina incresciosa dell’era dei social media, che ha visto coinvolti anche membri di spicco del mondo politico viennese. Attraverso le sue parole scopriamo di più sui suoi hater, su di lei e sul suo Paese, l’Arabia Saudita.
Genesi di un emoji
Ha uno sguardo vispo e il sorriso contagioso, Rayouf, chiacchierare con lei è piacevole e offre mille spunti interessanti. Le chiedo di spiegarmi come sia nata l’idea dell’emoji con l’hijab.
“Tutto ha avuto inizio in modo semplice, dall’idea che ci fosse un emoji che potessi usare con i miei amici. Un’iniziativa nata in piccolo, dal mio caso personale, che poi si è trasformata in qualcosa di più importante -mi racconta Rayouf Alhumedhi– Quando mi sono resa conto che poteva rappresentare milioni di donne allora ho cominciato davvero a darmi da fare perché questo emoji potesse essere realizzato davvero”. La 16enne di Vienna è consapevole che molta dell’attenzione dei media sia stata sollevata soprattutto dal fatto che l’emoticon sia connesso all’Islam, argomento controverso che suscita sempre reazioni contrastanti. “Ho capito quanto quell’emoji fosse importante nel momento in cui ho cominciato a ricevere tantissimi messaggi di ringraziamento su Instagram” mi spiega Rayouf. Il feedback su Instagram è stato di proporzioni eccezionali e per quanto si tratti di una semplice icona Rayouf mi fa notare che “quel banale emoji, ha reso felici molte donne, permettendo loro di essere rappresentate”.
Un fiume d’odio
Oltre alle tantissime testimonianze positive hai dovuto fronteggiare anche un altro fenomeno, un’ondata di odio incontenibile in rete, puoi raccontarmi qualcosa al riguardo? “Quando ho presentato la mia richiesta per la realizzazione dell’emoji mi aspettavo che ciò sarebbe accaduto -dice Rayouf- Però, come ho già detto, sono consapevole che l’Islam sia un argomento molto controverso, capace di scatenare un acceso dibattito, di provocare sensazionalismo, attirando anche reazioni negative. Sapevo che molti avrebbero detto che l’hijab è simbolo di oppressione e che si sarebbero scagliati contro, ma tutto questo non mi ha dato fastidio, perché in fondo me lo aspettavo”.
Gli hater, gli odiatori del web, fanno parte della realtà dei social media, però come ti sei sentita ad essere oggetto di frasi e commenti feroci e provocatori nei tuoi confronti anche da parte di alcuni politici, come Johann Gudenus (FPÖ), rappresentante di spicco dell’ultradestra viennese? “Johann Gudenus deve alimentare i consensi del proprio elettorato, alla gente che lo segue piace che dica quelle cose -mi racconta con naturalezza Rayouf- Crede davvero in ciò che dice e ci credono i suoi sostenitori? Non lo so. Me ne importa qualcosa? Direi di no, anche perché sono convinta di essere nel giusto e aver fatto una cosa positiva. E poi non si può piacere a tutti. Anche perché quello che faccio non lo faccio per raccogliere consensi e like, o per compiacere gli altri. Al contrario faccio ciò che voglio”.
L’hijab, le donne, l’Arabia Saudita
Chiedo a Rayouf se secondo lei questo emoji può aver contribuito a sfatare alcuni dei pregiudizi sull’Islam? “Penso che questo emoji abbia direttamente o indirettamente influenzato il modo di pensare della gente, producendo un cambio di visione nei confronti dell’Islam -dice raggiante Rayouf- Noi siamo persone normali, che usano molto le nuove tecnologie, e conduciamo una vita normale”.
Tu vieni dall’Arabia Saudita, un Paese dove la condizione della donna è un tema molto sentito. Pensi che questo tuo emoji possa avere in qualche modo un’influenza positiva? “Il mio impegno e i miei sforzi sono la prova che non è vero che le donne che indossano il velo non siano libere. Non è così, io faccio davvero ciò che voglio, liberamente, faccio ciò in cui credo. Questo è esattamente l’opposto di una condizione di repressione. Io rappresento esattamente l’antitesi dell’oppressione, porto avanti liberamente i miei sforzi per cambiare il mondo, o almeno provo a cambiare il mondo. Non vi è dubbio che vi sia stata e via sia attenzione mediatica per la condizione della donna in Arabia Saudita, per la mancanza di eguali diritti. Però, come tutti sanno, recentemente abbiamo conquistato il diritto di guidare”.
Poi sullo storico decreto emanato dal re Salman che ha finalmente fatto cadere un tabù Rayouf aggiunge: “Questo è un segnale di progresso per noi, soprattutto se si considera il fatto che l’Arabia Saudita, come stato, ha meno di un secolo di vita, anzi nemmeno una novantina di anni. L’Austria e l’Impero austro-ungarico, invece, esistono da decisamente più tempo. I vari stati si sono sviluppati nel tempo e non ci si può aspettare che siano tutti allineati e che raggiungano tutti gli stessi traguardi allo stesso tempo. Basti pensare che il diritto di voto alle donne in Austria è stato ottenuto nel 1920, mentre in Svizzera solo nel 1971. C’è un progresso graduale e le conquiste positive delle donne sono avvenute ed avvengono non ovunque in modo omogeneo”. Poi la giovane Rayouf conclude con un augurio: “Credo sia solo una questione di tempo perché uomini e donne abbiano gli stessi diritti anche in Arabia Saudita. Certo, speriamo che questo avvenga il prima possibile”.
Le faccio notare che qualcuno potrebbe obiettare che lei abbia comunque una posizione privilegiata. “Indubbiamente questo è vero -racconta Rayouf- Però io ho vissuto in Arabia Saudita e lo stesso ha fatto mia madre, so perfettamente come si vive laggiù. Riconosco di essere fortunata perché abito in Austria dove i diritti delle donne esistono e sono riconosciuti, dove indubbiamente conduco un’esistenza privilegiata. Questo, però, non mi impedisce di essere partecipe dei diritti delle donne e delle conquiste delle donne in Arabia Saudita”.
Rayouf e il suo rapporto con l’hijab
Qual è la tua esperienza personale riguardo all’indossare l’hijab? “Fa parte del mio modo di essere e a me piace davvero indossare il velo -afferma sicura e sorridente Rayouf- Qualcuno che a scuola non conosce il mio nome a volte mi chiama la ragazza con indosso l’hijab. È parte preponderante della mia identità e non mi opprime affatto. È vero altrettanto che ci sono donne che sono costrette a indossare il velo, non per loro volontà e che sono oppresse, perché non hanno alcuna possibilità di scelta e non possono vivere liberamente la propria vita. Tutto questo è orribile e si dovrebbe fare di più perché le cose cambino”. A questo punto Rayouf sottolinea come le generalizzazioni siano un’altra forma di pregiudizio riguardo al velo islamico.
“Non credo sia giusto generalizzare e mettere sullo stesso piano 500 milioni di donne, per una minoranza oppressa. Le generalizzazioni non sono mai corrette, questo ragionamento vale per qualsiasi comunità. D’altra parte però non si può nemmeno biasimare chi pensa che l’hijab sia simbolo di oppressione, perché è altrettanto vero che siamo costantemente bombardati da notizie che enfatizzano tutto questo”. Rayouf è una ragazza come tutte le altre e quando le chiedo se posso scattarle una fotografia, la prima cosa che fa è quella di sistemarsi il velo, un po’ come una coetanea occidentale si ravvierebbe i capelli. Allora ci si rende conto che quel velo è un complemento, un accessorio che fa parte dell’abbigliamento e non un simbolo di repressione. “Io sono una ragazzina come le altre e mi vesto con abiti che qualunque teenager indosserebbe, come jeans e t-shirt. E poi l’hijab può diventare anche un elemento fashion, legato al mio look”.