Silvio Soldini e gli occhi dell’anima

Non vedere, vedendo. Vedere, eppure non vederci. Il Colore Nascosto delle Cose di Silvio Soldini, arriva nei cinema viennesi, in versione originale con sottotitoli in tedesco. È innanzitutto una bellissima storia d’amore. Un film in cui poesia e sense of humor si intrecciano straordinariamente. Lui, Teo, interpretato da Adriano Giannini, è un uomo irrisolto. Lei, Emma, una potente Valeria Golino, è una donna realizzata e forte. Per conquistare quella forza ha tanto sofferto e tanto lottato. Emma è diventata cieca a sedici anni, ma nonostante questo vive un’esistenza piena, con un lavoro appagante. Un uomo e una donna diversissimi, due mondi distanti, altri, che casualmente si incontrano. Sboccia la passione, un sentimento travolgente scompagina queste due esistenze. Teo è l’uomo adatto per concedersi una distrazione dopo la separazione dal marito, mentre Emma è per Teo una donna completamente diversa da tutte quelle conosciute fino a quel momento. Dopo quell’incontro tutto si trasformerà e nulla potrà essere più come prima. La cecità talvolta è quella interiore, è l’incapacità di assumersi responsabilità, di essere sinceri, con gli altri e con se stessi.

Forse l’handicap è quasi una sorta di espediente per dimostrare che alla fine chi non vede ci vede molto più di chi vede? “Beh, sì in un certo senso all’inizio del film il vero cieco è lui -mi racconta Silvio Soldini– Però l’idea era che questo incontro tra Teo e questa donna non vedente che è Emma fosse una cosa che alla fine gli stravolgeva un po’ la vita, come succede nelle storie anche tra persone normali. Però in questo caso è ancora più estremo l’incontro. Con una diversità, con una persona che non ci vede, ma che al tempo stesso è molto più centrata di lui”. Teo è un uomo incline alla bugia, che intreccia relazioni con più donne in parallelo, che fugge costantemente, dalla famiglia, dagli impegni, da se stesso. Fa il creativo in un’agenzia di pubblicità ed è molto assorbito dal suo lavoro. Dopo aver conosciuto Emma, però, impara pian piano a leggersi dentro e da uomo incompiuto si trasforma, comprendendo alla fine come affrontare la vita e una storia d’amore. Scopriamo di più sul film e sulla sua genesi anche attraverso le parole e il racconto di Silvio Soldini

L’osteopata ipovedente, un fatto reale

Un osteopata cieco ha originariamente stimolato la sua curiosità, scardinando pian piano i suoi preconcetti sulle persone cieche. Dopo aver conosciuto quest’uomo, che peraltro è riuscito a risolvergli il problema che aveva alla spalla, Silvio Soldini vede sgretolarsi in un colpo solo luoghi comuni e pregiudizi. Il suo osteopata aveva visto il suo film Pane e Tulipani, andava in settimana bianca a sciare, era impegnato a fare regate in barca a vela, aveva una famiglia e una figlia. Una vita normale, nonostante il suo handicap. Dapprima nasce un documentario, Per altri Occhi, uscito nel 2013. Poi, dopo aver imparato molto sull’universo dei non vedenti, Silvio Soldini decide che è arrivato il momento di tradurre gli elementi e gli spunti raccolti nel corso della lavorazione del documentario in un soggetto cinematografico. Così nasce Il Colore nascosto delle Cose, distribuito nelle sale italiane nel settembre 2017. “Ho pensato che da questa esperienza potevo raccontare qualcosa di buono”, ha detto Soldini al pubblico del Votiv Kino di Vienna subito dopo la proiezione della pellicola in anteprima, organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura e dalla Polyfilm Verleih.

Documentari e cinema

“Faccio ancora documentari -mi dice Soldini- Ed è un po’ l’opposto di fare cinema di finzione, perché nel documentario devi entrare nella vita delle persone e farti un po’ invisibile, almeno per come la vedo io, per provare a raccontare senza cambiare niente di quello che trovi. Invece nel cinema di finzione devi inventare tu un mondo, che non esiste prima. Gli attori devono interpretare dei personaggi, devono far finta di esser ciechi, vengono vestiti dalla costumista, abitano case che non sono le loro. È tutto finto, ma deve sembrare vero, è proprio l’opposto”. La bravura di Silvio Soldini non è stata solo quella di aver saputo trarre dalla realtà materia per un film, ma anche averla saputa offrire al pubblico con il linguaggio e i toni giusti. “Quando si parla di disabilità i pericoli sono due: o cadere nello stereotipo, o nel pietismo -mi racconta Soldini- Frequentando persone cieche ho imparato come evitare tutti e due”.

Sentimenti senza occhi

Una difficilissima prova d’attore riuscire ad esprimere i sentimenti senza servirsi degli sguardi. E Valeria Golino non ha potuto servirsi dei suoi intensi occhi blu per trasmettere al pubblico le emozioni di Emma. “Valeria era molto preoccupata di non essere credibile -mi spiega Silvio Soldini– Però è anche la magia del cinema. Uno va a vedere la Golino e deve credere che sia cieca. Com’è possibile? Eppure se si è bravi ci si riesce” e sorride. “Dopo tre minuti non si pensa più a Valeria Golino, ma ad Emma che è cieca. Quando ci si riesce è molto bello”.

Polyfilm

La stesura del soggetto è stata fatta da Soldini assieme a cinque persone non vedenti, per dare colore a tutte le sfumature emotive, per far trasparire leggerezza, ironia, amore per la vita, senza cadere negli stereotipi. Perché in genere i personaggi ipovedenti rappresentati al cinema o sono figure drammatiche, o sono super-eroi. Mentre nella realtà sono persone che viaggiano, fanno sport, hanno uno spiccato senso dell’ironia.

Polyfilm

Un lavoro di squadra

La Golino ha anche frequentato un corso di orientamento, per imparare a muoversi e prendere consapevolezza di come spostarsi nello spazio con l’ausilio del bastone. Un lungo lavoro preparatorio che ha visto la presenza di persone non vedenti anche nella fase iniziale delle riprese. “Mai come nel cinema il lavoro deve essere collettivo. Non è che un attore fa un’interpretazione incredibile perché la fa per conto suo. Ci devono essere delle basi sotto. L’interpretazione deve essere inserita all’interno di un film che funzioni nel suo complesso”. Ad un attore che interpreta con intensità si affianca sempre una sceneggiatura ben scritta, una regia che sa orchestrare insieme armonicamente tutte le varie componenti. Un lavoro corale che, come in questo caso, raggiunge vette di pura poesia

Polyfilm

La forza è una dura conquista

La protagonista impoverente, Emma, è una donna che vive una vita piena di soddisfazioni, gratificante. Ha un lavoro, ha amici, ha avuto un marito. Ma dietro questa apparente sicurezza si nascondono fragilità. “È anche molto importante il personaggio di Nadia, che in qualche modo ci parla di quello che deve aver passato Emma, quando aveva la sua età -sottolinea Silvio Soldini– Perché va bene far vedere una persona così forte, solida e ben piantata per terra malgrado la cecità, però bisogna anche far capire che non è una cosa così semplice. È stata una battaglia per Emma. L’ha vinta, però non è stata una passeggiata”.

Polyfilm

La forza e l’equilibrio si conquistano, con faticose e dure lotte. Possiamo solo immaginare quanto abbia sofferto e cosa abbia sopportato nel corso della sua esistenza attraverso il dramma che vive l’adolescente Nadia, interpretata da Laura Adriani, anch’essa diventata cieca nella delicata fase dell’adolescenza, che combatte la sua guerra quotidiana, tra disperazione e pensieri di morte.

Soldini e Vienna

È la terza volta che il regista Silvio Soldini visita Vienna. “È bellissima, ogni volta non la riconosco. Non so se sia lei a cambiare, o se sia io a dimenticare i luoghi, o a vedere zone diverse -racconta sorridendo Soldini- Oggi sono andato a vedere la mostra di Egon Schiele, che ho sempre amato, e mi sono riconciliato con il mondo”.