La paura fa 90, anzi 57%

La paura ha dominato le elezioni austriache, provocando una netta sterzata a destra. Due terzi dell’Austria, ossia le aree rurali, montane e i piccoli centri si sono schierati con Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache. In quelle porzioni di Paese l’ÖVP ha toccato punte del 38%. Nelle grandi città, prima fra tutte la capitale Vienna, e nelle aree urbane hanno vinto i Socialdemocratici, che qui hanno ottenuto il 33,3% dei voti. Anche i liberali di NEOS raggiungono il 6,2% proprio nelle aree cittadine. Da notare però, che l’ÖVP conquista due distretti viennesi: il primo e il 19esimo. Non è un caso che i quartieri più ricchi della capitale diano il sostegno al giovane leader popolare. L’affluenza alle urne è stata dell’80% e ha registrato un incremento di 5,09 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2013. Un dato di affluenza da record. Si tratta, infatti, del secondo incremento più consistente di sempre nella storia della Repubblica austriaca. 

Incredibilmente le regioni che sono state meno colpite, se non addirittura per niente sfiorate dal fenomeno dei rifugiati, hanno aderito a quei partiti, Popolari e ultradestra, che dell’immigrazione hanno fatto il proprio cavallo di battaglia, promettendo una stretta e minacciando chiusure, muri, controlli. In stati quali il Burgenland, letteralmente sommerso da ondate massicce di migranti provenienti dalla rotta balcanica, i Socialdemocratici perdono dei voti, ma rimangono il primo partito. Lo stesso è accaduto a Vienna, dove non sono mai cambiate le politiche di accoglienza verso gli immigrati e dove non vi sono stati tagli ai sussidi per rifugiati e richiedenti asilo. Le dinamiche elettorali sembrano simili a quelle delle elezioni in Germania, dove i Länder con meno migranti hanno visto il successo della destra radicale. Insomma, chi non ha subito in prima persona il fenomeno migratorio, chi non ha sperimentato sulla propria pelle i problemi di una stretta convivenza con gli immigrati, chi non ha avuto contatti con i rifugiati si è chiuso a riccio e ha aderito alla linea dura in materia di immigrazione. Ma cosa vuol dire tutto questo? Che la sinistra deve ricominciare a fare la sinistra, senza rincorrere sul suo stesso terreno la destra, come sostengono alcuni? Oppure, il fatto che oggi in Austria esista solo un centrosinistra e che, una vera sinistra sia di fatto sparita con l’uscita dal Parlamento dei Verdi, indica che la proposta di sinistra in questo momento storico non ha alcuna presa sull’elettorato? Oppure l’Austria rende ancor più evidente che l’ondata di populismo che dilaga in Europa oggi è di fatto inarrestabile?

Alla fine le elezioni austriache consegnano un Paese fortemente diviso, tra aree metropolitane e aree rurali. Un Paese che vede protagoniste tre grandi forze politiche: ÖVP, SPÖ, FPÖ. Non bisogna però perdere di vista che due dei tre grandi partiti austriaci sono di stampo conservatore. Ciò che emerge dalle elezioni in Austria è che la paura fa 90, anzi, quasi il 60%. Il 57% per l’esattezza. La vera vincitrice è stata la paura, perché è più facile cavalcarla che combatterla. Il vero mostro che minaccia l’Unione europea è rappresentato dalla paura del diverso associata a ignoranza e povertà. Se c’è una lezione da trarre per i Socialdemocratici austriaci, per i Verdi, per la Liste Pilz e per l’Europa è che fin tanto che vi saranno sacche di popolazione che vivono nell’arretratezza, nella recessione, nel disagio, isolate da chi, invece, ha più strumenti critici e mezzi economici, a trionfare sarà sempre la paura. E la paura si sa, divide, distrugge. 

Una coalizione è d’obbligo, ma quale? 

Se c’è una cosa che l’elettorato non perdona sono le manovre di palazzo. Se il partito vincente, ovvero il nuovo ÖVP di Sebastian Kurz, venisse tenuto fuori dal governo e alla guida del Paese ci fosse una innaturale coalizione rosso-blu, tra Socialdemocratici e Partito della Libertà, che invece non hanno vinto, occorrerebbe dare più di una spiegazione agli austriaci che, al contrario, hanno espresso chiaramente la loro volontà.

Insieme Popolari e ultradestra raggiungono il 57%, ovvero un’ampia maggioranza. Insieme hanno tutti i numeri per formare un governo, non ultima anche una totale consonanza programmatica. La dirigenza dell’FPÖ preferirebbe un’alleanza con i Socialdemocratici. Mettersi assieme a Kurz sarebbe un abbraccio letale. Una coalizione nero-blu, o meglio turchese-blu, sarebbe intrinsecamente conflittuale, visto che Kurz ha scippato l’agenda al Partito della Libertà e visto che le due forze conservatrici competono sullo stesso segmento del mercato elettorale. Però l’elettorato dell’FPÖ preferisce una coalizione con l’ÖVP. Strache alza la posta, dichiara di pretendere il Ministero dell’Interno. Altri dirigenti dell’ultradestra dicono che non si debba entrare a tutti i costi in un governo con l’ÖVP. I colloqui di mercoledì sera fatti da Kurz a casa di Strache a Klosterneuburg vanno nella direzione di un possibile accordo. Inoltre, le dichiarazioni rilasciate dal leader dell’ÖVP secondo cui i due partiti che sono cresciuti di più, ÖVP (7,48%) e FPÖ (5,46%), siano chiamati a unirsi e a guidare il Paese, non lasciano spazio a dubbi. Una coalizione ÖVP-FPÖ appare come l’unica logica conseguenza del voto del 15 ottobre. E poco importa che Sebastian Kurz possa venir ricordato per aver riportato al governo l’ultradestra. Ci sono anche voci insistenti su un possibile governo di minoranza con il solo ÖVP. Molto rischioso, però, e assai improbabile.

Governare, una tentazione troppo forte?

Stare all’opposizione costa caro, ma a volte è un male necessario. Saprà il Partito Socialdemocratico resistere alla tentazione di una riedizione della Große Koalition, che gli austriaci poco comprenderebbero e mal sopporterebbero? Inoltre, voci di corridoio parlano di una profonda antipatia tra Kurz e Kern. Insomma, sarebbe una coalizione rissosa e instabile esattamente come quella che si appresta ad uscire di scena. Anche un’alleanza con il Partito della Libertà, sebbene già sperimentata nel Burgenland, e forse leggermente punita dall’elettorato con un calo di voti, sarebbe incomprensibile. Certo, esiste convergenza tra i due partiti su questioni di matrice sociale, ma sarebbe come cercare di tenere insieme due entità diametralmente opposte. Come già detto, un’unione innaturale. Inoltre, come ignorare che l’uomo più potente dell’SPÖ, Michael Häupl, è fermamente contrario ad un governo rosso-blu, tanto da paventare persino la scissione? È vero, stando fuori dal governo si perdono soldi. Però esistono fasi nelle quali è meglio riconquistare il potere, dato dalla fiducia degli elettori, che non inseguire il denaro. Christian Kern ha il sostegno della dirigenza del partito, ha scongiurato una disfatta, ha sostanzialmente evitato una perdita di voti, anzi i Socialdemocratici hanno registrato persino un’infinitesimale crescita dello 0,04%. Stando coerentemente all’opposizione Kern avrà modo di far finalmente riguadagnare terreno al partito, cambiando l’SPÖ, al centro di scandali che gli austriaci non hanno potuto ignorare. È proprio Christian Kern, infatti, a dissipare ogni dubbio riguardo a una eventuale coalizione rosso-blu che “al mille per mille” non si farà. Eliminando di fatto ogni possibile speculazione. 

La posizione del Presidente Van der Bellen

Grande equilibrio ha mostrato finora il Presidente Van der Bellen. Si è congratulato per la vittoria con Sebastian Kurz. Ha posto solo pochi paletti: il governo deve essere pro-Unione europea, perché l’Austria incida e conti sempre di più in Europa; né il Ministro degli Esteri, né quello dell’Interno dovranno essere affidati all’ultradestra. D’altro canto il numero due del Partito della Libertà, Norbert Hofer, ha ribadito che il Ministero dell’Interno è l’unica vera condizione per entrare in un governo con i Popolari. L’introduzione della democrazia diretta è stato uno dei punti forti dell’FPÖ, ed è un punto che in linea di massima vede favorevole anche Kurz, sebbene il leader dei Popolari abbia specificato di non avere alcuna intenzione di indire un referendum sulla permanenza dell’Austria nell’Ue. C’è da augurarsi che non vi siano pressioni interne, né tanto meno pressioni internazionali che forzino Kurz a modificare i propri piani.

A giudicare dalla linea di condotta tenuta finora, Wunderwuzzi, che ha il sostegno di tutti i grandi vecchi del Partito Popolare e dell’imprenditoria austriaca, andrà dritto per la sua strada. Piccola nota a margine, c’è stato anche un colloquio tra Van der Bellen e Peter Pilz. Una chiacchierata informale, forse sul futuro verde in Austria.

screen shot

A Kurz il mandato di formare il governo

A Sebastian Kurz, leader del maggior partito austriaco, il Presidente Alexander Van der Bellen ha affidato l’incarico di formare il nuovo governo, tenendo presenti temi quali educazione, integrazione, ambiente, permanenza nell’Unione europea e ruolo attivo dell’Austria in Europa. Un governo che faccia il bene del Paese e degli austriaci, all’insegna del rispetto reciproco, di uno spirito che sia collaborativo e di dialogo tra tutte le forze politiche, anche con quelle di opposizione. Kurz, con palpabile emozione, ha ringraziato il Presidente e ha accettato l’incarico. Da subito e nei prossimi giorni si appresta ad avviare colloqui con tutti i partiti, non solo con i più grandi. In quest’ottica, infatti, preannuncia anche prove tecniche di inclusione nella compagine governativa dei liberali di NEOS.

Carina Karlovits/HBF