L’attentato a Manchester porta la firma dell’ISIS. È l’ennesimo, sanguinoso attacco al cuore dell’Europa. Il ruolo giocato dai social media nel diffondersi della propaganda dell’ISIS è indubbio. La presenza di miliziani del Califfato islamico su internet è attivissima. Attraverso le piattaforme social vengono raggiunti nuovi adepti e si reclutano i kamikaze di domani, gli assassini per mano dei quali, in futuro, si continuerà a seminare morte in Europa e nel resto del mondo. Il proselitismo via social network sembra inarrestabile e acquistano sempre più importanza le chat. Twitter e Telegram sì, WhatsApp no. Da Twitter, che è pubblico, l’ecosistema jihadista si è spostato sulle applicazioni di messaggistica istantanea e tra queste a WhatsApp viene preferito Telegram, per le sue caratteristiche di sicurezza e tutela della privacy degli utenti.
Accanto a questi canali comunicativi anche i media tradizionali hanno un ruolo nell’espandersi a macchia d’olio dell’ideologia jihadista. Nico Prucha, ricercatore esperto di jihadismo dell’Istituto di Studi Orientali dell’Università di Vienna, monitora da anni la galassia di miliziani del terrore operativa su Twitter, Facebook e Telegram. Proprio la chat di Telegram è uno strumento fondamentale per la propaganda dell’ISIS: “Per sua natura Telegram è una piattaforma dove le organizzazioni estremiste entrano in contatto con nuovi sostenitori e un canale attraverso il quale è possibile veicolare contenuti multimediali” dice Nico Prucha, in una intervista rilasciata al Kurier.
L’avanzata di Telegram rispetto ad altri social network è dovuta al fatto che, soprattutto Twitter, ha iniziato dal 2016 a filtrare i propri contenuti, bloccando o cancellando quegli account legati all’ISIS. “L’ecosistema jihadista ha abbandonato Twitter per riversarsi in massa su Telegram -racconta Prucha- piattaforma sulla quale già viaggiava la comunicazione di membri di rilievo del mondo jihadista. Anche se fare proselitismo su gruppi segreti all’interno di Telegram non ha la stessa efficacia di campagne di propaganda fatte via Twitter”. I controlli sui contenuti operati da Twitter nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha costretto l’ISIS a riprogrammare e rivedere la propria strategia comunicativa, e tornare così ad essere efficaci e pienamente attivi anche su Twitter, Instagram e Facebook, malgrado esista il rischio più che concreto che gli account possano essere bloccati. “Proprio perché l’ISIS è un gruppo molto pragmatico, ha modificato lo scambio di contenuti, che sempre più avviene attraverso un’operazione di copia e incolla fatta da singoli supporter -spiega Prucha- Così se un singolo account viene bloccato, ve ne sono sempre di nuovi che operano e diffondono contenuti, indisturbati, sfuggendo alle maglie dei controlli”.
Immagini jpeg per bypassare filtri e controlli
Altro metodo utilizzato dall’ISIS per la sua propaganda online è creare nuovi account per singoli eventi. Una strategia che offre ottimi risultati.
Infatti gli account non vengono scovati con la stessa rapidità con la quale vengono aperti. Inoltre “non avviene più solo uno scambio di testi, che vengono intercettati grazie ai filtri con cui si effettuano i controlli -dice Nico Prucha– ma si veicolano i testi come immagini jpeg. Questi file devono essere identificati. Occorre prima riconoscere le immagini come testo, poi le si deve tradurre e filtrare con parole chiave”.
Un’operazione di controllo e filtro molto complessa e lunga, che rende inadeguato ogni sforzo per arginare un’attività di proselitismo che, invece, procede incessante 24 ore al giorno. Però “Twitter sta facendo moltissimo per frenare la propaganda online di gruppi jihadisti -dice Prucha- Lo stesso ha fatto Telegram, che però per sua natura è parzialmente criptato. Ecco perché è difficile l’individuazione al suo interno di gruppi con 8.000-9.000 membri, che si rigenerano con incredibile rapidità”.
Media tradizionali ed esperti di jihadismo
In che modo i media tradizionali possono diventare complici, loro malgrado, della propaganda dell’ISIS e della diffusione dei messaggi jihadisti? “In Inghilterra, ad esempio, The Mirror o il Daily Mail in qualche modo aiutano la diffusione di contenuti dell’ISIS, perché sono soliti “embeddare” filmati o estratti di video jihadisti” dice Nico Prucha. anche contenuti di Fox News sono ancora reperibili online. “Effettivamente è un elemento su cui riflettere -evidenzia Prucha- I media tradizionali si considerano responsabili di diffondere, sia pure solo parzialmente, contenuti video jihadisti, sapendo che le loro pagine non verranno mai bloccate?”. Insomma, i media tradizionali possono diventare essi stessi cassa di risonanza di messaggi jihadisti, e veicolo di diffusione di contenuti dell’ISIS. E questo ha enormi implicazioni etiche, perché da un lato c’è l’esigenza di informare, dall’altra il rischio di fare il gioco della propaganda del Califfato islamico. Inoltre ci sono aziende che stanno facendo fortuna come esperti di jihadismo ed estremismo islamico che diffondono materiale dell’ISIS in lingua inglese, facendo proprio il gioco della propaganda jihadista. Anche questi siti e account non vengono bloccati, perché fanno attività accademica, o specialistica.
I Paesi dove l’ISIS fa più propaganda
Dal colpo di stato in avanti la Turchia non solo è diventata obiettivo di molti attacchi terroristici, ma è anche il Paese dove gli esperti hanno notato la massima diffusione di propaganda dell’ISIS, con materiale tradotto in lingua turca. Secondo Nico Prucha si tratterebbe di un tentativo di guadagnare maggiore influenza lungo il confine turco-siriano e nelle comunità sunnite ortodosse presenti in Turchia. “Dalla fine del 2016 i Paesi nei quali la propaganda dell’ISIS è più attiva, oltre la Turchia, sono: l’Arabia Saudita, Siria, Egitto, Iraq e anche la Gran Bretagna”. Nulla possono i siti governativi che puntano a una narrativa alternativa. “Ciò che servirebbe sono voci autorevoli del mondo islamico che coraggiosamente prendano posizione contro l’estremismo” conclude Nico Prucha.