Orrore e speranza sul set di Jonah

L’esodo dei rifugiati, in fuga da Siria, Iraq, Afghanistan, che cercano scampo dalla guerra e un futuro in Austria e in Germania, paragonato alla Shoah, quando 6 milioni di ebrei sono finiti nei campi di concentramento, o di sterminio nazisti. Un parallelo che prende forma nel film Jonah, del regista austriaco Michael Maschina. E, storia nella storia, la troupe che ha lavorato alle riprese del cortometraggio è tutta italiana. Sono ragazzi giovanissimi, il più anziano è il Direttore di Produzione, Giorgio Arnaldo Massari, che di anni ne ha appena 26, i più piccoli Francesco e Ginevra, 20 anni. Un cinema di qualità, Made in Italy, che cerca di rendere visibile l’invisibile, proponendo al pubblico un racconto che aiuta a capire come siano quei terribili viaggi affrontati da profughi disperati, stipati a bordo di furgoni, che somigliano ai vagoni di quei treni speciali che portavano con cadenza quotidiana alla morte migliaia di ebrei. Viaggi che sono incubi infernali, fatti di sofferenza e costrizione, di paura e orrore. Un film che cerca di instillare consapevolezza su una realtà drammatica dei nostri tempi. A migliaia giungono in Austria per trovare un luogo dove poter costruire un futuro migliore. Ieri migliaia di persone scappavano dall’Europa per salvare la propria vita dalle persecuzioni del nazifascismo. Anche oggi stiamo assistendo ad una tragedia umanitaria epocale. Oltre un milione di migranti sono giunti nel cuore dell’Europa nel 2015. Un dramma sconvolgente, che si è consumato sotto i nostri occhi, il peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale.

 

Come Jonah dentro le viscere dell’enorme pesce che lo ha inghiottito tornerà poi a rivedere la luce, così i rifugiati a bordo di un furgone, stretti l’un l’altro, senza aria, luce, senza possibilità di soste, alla mercé di trafficanti di esseri umani senza scrupoli, troveranno alla fine la salvezza. Il pubblico è invitato a vivere quelle tremende emozioni, la stessa claustrofobica sensazione dei profughi: essere trasportati in condizioni disumane, senza nessuna certezza, avendo ancora la morte negli occhi. Il regista Michael Machina punta a far sì che il pubblico si identifichi nei migranti protagonisti di quel viaggio fatto di orrore. Anche gli spettatori saranno in quel furgone, al buio, costretti, impauriti. Vivranno ciò che i rifugiati hanno vissuto, le loro emozioni a tinte forti, proveranno i loro stessi sentimenti. 

Com’è nata l’idea del film?

“Per me questo film ha rappresentato il primo passo per guardare al problema dei rifugiati -mi racconta il regista Michael Maschina– Volevamo condividere alcuni momenti che sentivamo comuni a tutti, indipendentemente dalla religione, o dalla nazionalità. Così abbiamo deciso di concentrarci sulla storia di Jonah, che è comune a entrambe le regioni, sia in Siria, sia in Austria, una storia che non separasse, ma che al contrario unisse”. E come Jonah viene inghiottito dalla balena, allo stesso modo i profughi sono fagocitati all’interno del furgone che li trasporterà verso una nuova vita.

“Così abbiamo costruito la storia su due diverse timeline: il 1940, quando molte persone hanno lasciato la Germania, e adesso, un momento in cui molti vogliono entrare in Germania. Questa era la nostra idea quando abbiamo cominciato a lavorare al film” mi spiega Michael Maschina.

Indubbiamente l’episodio del tir ritrovato lungo l’autostrada austriaca, alle porte di Vienna, con 70 migranti morti, è rimasto scolpito nella memoria del regista e ha ispirato la genesi del suo cortometraggio Jonah.

Una fiction girata in studio

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare Michael Maschina decide di non fare un documentario e di non utilizzare alcun materiale realizzato dai profughi stessi. La storia è girata interamente in studio.

“Il mio film è una fiction. Però tutta la storia si basa su fatti realmente accaduti -sottolinea Maschina- Non solo la vicenda del furgone, tutta la trama è basata su cose realmente accadute, sull’esperienza vera e reale dei rifugiati che mi hanno raccontato le loro vicissitudini.

Però abbiamo scelto il linguaggio filmico della fiction e non quello documentaristico per raccontare fatti veri”. Il corto è ambientato all’interno del furgone che trasporta un gruppo di migranti. Gli spettatori saranno lì con i rifugiati, e non abbandoneranno quel pulmino finché il film non finirà.

“Gli spettatori si sentiranno parte di ciò che accade, non potranno più scrollarsi di dosso quanto hanno visto e le emozioni che hanno provato -mi dice Maschina- La camera è sistemata in modo tale da dare alcune angolazioni e non altre. Volevo mostrare al pubblico solo ciò che ritenevo importante. Nel mio film non c’è scampo, non si può spaziare con lo sguardo, si rimane lì, inchiodati all’interno del furgone. Volevo che gli spettatori fossero assieme ai rifugiati tutto il tempo, senza alcuna possibilità di uscire, per dare loro le stesse sensazioni, per condividere ciò che hanno vissuto i profughi”.

Rifugiati anche tra gli attori

Per scrivere la sceneggiatura sono stati utili i racconti di veri rifugiati, che il regista e i suoi collaboratori hanno ascoltato trascrivendo tutto nei minimi particolari. Ma i profughi sono anche nel cast del film, assieme ad attori professionisti. “Ci siamo serviti di veri rifugiati sia durante le riprese sia nella fase della scrittura della sceneggiatura -dice Maschina- Solo i rifugiati possono raccontarti davvero come si sono sentiti durante quel viaggio disumano. Solo i profughi sanno cosa sia realmente accaduto all’interno del furgone, noi possiamo solo immaginarlo, ma loro lo hanno vissuto sulla propria pelle”.

Il regista è rimasto fortemente colpito dalle strazianti storie dei migranti ascoltati: “Il mio film resta molto toccante, ma ho dovuto tagliare alcune parti terribili di quei racconti. Ci siamo concentrati sulle emozioni, non su tutti i singoli, tremendi dettagli, troppo scioccanti. Nessuno sa veramente cosa questi profughi giunti nel nostro Paese hanno dovuto sopportare, dalla Siria all’Austria è un inferno”.

Quel tir con 70 cadaveri

Determinante nella volontà di realizzare questo cortometraggio il ritrovamento a Parndorf di quel camion pieno di una settantina di migranti morti asfissiati. “Ha inciso molto sulla nostra volontà di realizzare questo film -dice Michael Maschina– Volevamo anche cercare di capire le dinamiche che si creano in una situazione di costrizione, dove persone di diverse estrazioni sociali, sesso ed età sono obbligate a stare per sette giorni e più. Senza regole, in condizioni di disagio estremo e precarietà”.

Cinema austriaco Made in Italy

Una coproduzione internazionale, realizzata da una troupe quasi interamente italiana in Austria. “Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Michael Maschina, un regista giovane ma molto determinato -mi dice Giorgio Arnaldo Massari, Direttore di Produzione- Un grande professionista che sa guidare la troupe, sa selezionare i componenti con estrema capacità e sa infondere lo spirito giusto alla squadra”.

Una produzione che ha funzionato come un meccanismo perfetto: “Abbiamo avuto una media di tre ore di chiusura anticipata ogni giorno rispetto alle ore di riprese previste dal piano di lavorazione. Un evento rarissimo anche in produzioni estremamente professionali” rilancia Massari.

Noi lavoriamo in Italia, ma siamo stati chiamati qui in Austria, dove ci è stata tributata ampia fiducia -spiega Massari- Esperienza e curriculum sono fondamentali per creare un buon prodotto, però noi giovani abbiamo la passione e il cuore, che talvolta tendono a perdersi con il passare del tempo”.

Un progetto entusiasmante

“Quando Michael Maschina dopo aver già lavorato insieme, mi ha richiamato per questo progetto Jonah e ho letto la sceneggiatura, percependone la dimensione concettuale, cinematografica e la sua portata sulle prime ho avuto paura, ma poi ho pensato ora o mai più -mi spiega Massari- E per noi è stata un’opportunità straordinaria, così rara da trovare in Italia”.

La portata di questa ondata senza precedenti di migranti in Europa si riverbera nel progetto filmico concepito da Maschina. Giorgio Arnaldo Massari e i suoi ragazzi hanno sentito la responsabilità e la gioia di essere parte di coloro che scriveranno quelle pagine di storia.

“Ci siamo entusiasmati per l’idea, sarà un corto che o si ama, o si odia, ma non lo si può ignorare -puntualizza Massari- Michael Maschina è un regista di respiro europeo, ha grande intuito e una prospettiva più ampia del singolo film, un regista con una visione”. Ed è così che sul set si è creata un’atmosfera straordinaria, unita, collaborativa.

Italians do it better

E che tutto sia andato per il verso giusto garantendo la realizzazione di un piccolo capolavoro lo dimostra l’armonia che si respira tra i ragazzi della troupe. Al punto che anche a me, che sono una semplice ospite di passaggio viene assegnata una sedia, con il mio nome scritto sopra. Il mio posto privilegiato per assistere agli ultimi ciak in esterni, qualche giorno prima della fine delle riprese.

“Lavorare con Giorgio Arnaldo Massari come Direttore di Produzione e con la sua troupe è stata un’ottima scelta -mi racconta Michael Maschina- Avevo già girato con lui in Italia e mi serviva la gente giusta, professionale ma che fosse in grado di creare un clima affiatato attorno. La presenza di bambini nel film ha reso le riprese ancor più delicate. C’era bisogno di figure capaci, di fiducia e che sapessero fare squadra”.

Ogni membro della squadra è stato convocato per avere un ruolo preciso. Francesco Ferri, si è diplomato l’anno scorso alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano con il massimo dei voti e grazie al suo senso artistico straordinario, seppur giovanissimo gli è stato affidato il ruolo di Direttore della Fotografia in questo cortometraggio a Vienna.

“Giovani talenti italiani hanno offerto la propria creatività e professionalità, per girare in una produzione cinematografica austriaca” dice Massari con orgoglio, e malgrado sia appena 26enne, si sente come un padre per molti dei ragazzi della troupe.

L’Italia e la crisi del cinema

“In Italia c’è una crisi del cinema, negata, anche se non possiamo nasconderci dietro un oscar -ribatte Giorgio Arnaldo Massari– Ammiro chi vince un oscar, applaudo chi lo vince, ma non è un oscar che salva il cinema italiano. In Italia i giovani non trovano la loro strada, non si vedono affidati ruoli di responsabilità, non vengono equamente retribuiti. Inoltre se coloro che hanno esperienza creano attorno a sé un vuoto, non si ottiene quel ricambio generazionale necessario”. Ciò che sembra mancare in Italia sono le opportunità, quelle che invece esistono in Austria, per chi abbia talento e capacità per coglierle.