Emozioni tradotte in colori, questa è l’arte di Martino Zanetti. I suoi dipinti sono un trionfo cromatico, che spazia da gamme sgargianti, dotate di potenza straordinaria, a tonalità più delicate. C’è poesia, sulle tele di Zanetti, grumi densi di sentimenti, pennellate ardenti di passione, mille sfumature impalpabili. C’è la felicità, espressa attraverso i colori.
Marino Zanetti trascorre la sua vita tra Treviso e Vienna, città alla quale è molto legato, per affinità elettive e non solo per ragioni connesse alla sua attività industriale. E proprio a Vienna, è in corso una mostra, “Colours“, che è una summa del suo fare artistico ed è ancora visitabile fino al 17 febbraio. L’allestimento molto riuscito ed efficace è nella sede dell’Ambasciata Italiana.
Scenografico il contrasto tra le suggestive architetture e gli stucchi ottocenteschi di Palazzo Metternich e le opere di Zanetti, colore allo stato puro, emozioni sublimate nella loro essenza.
La forza materica delle sue opere è ciò che più colpisce. A tratti verrebbe persino voglia di toccarle, quelle tele ruvide, quei pigmenti vivi, quelle gocce debordanti.
E Martino Zanetti autorizza il pubblico a farlo. Lui, l’artista, incoraggia lo spettatore a toccare le sue opere, caldeggia un contatto fisico con i suoi lavori, perché il pubblico non resti passivo, ma viva pienamente i suoi dipinti, se ne appropri.
La matericità, la fisicità, sono elementi intimamente legati al fare artistico di Zanetti. Per lui la tela è spazio, spazio da vivere, come i sentimenti. “Il mio rapporto con il colore è fisico, è intensissimo, è proprio simile al suono -racconta Martino Zanetti che ho incontrato qui a Vienna- Innanzitutto la tela non è un oggetto, ma è uno spazio”.
E le sue tele sono sacchi di caffè, di quel caffè Hausbrandt che la sua famiglia commercia da generazioni.
“Le mie tele sono sempre sacchi di caffè. Prima di tutto perché li ho sotto mano -confessa Zanetti- Poi perché sono sacchi di un tessuto abbastanza stretto. Mi piacciono perché hanno una bella fisicità. E poi per riuscire a dipingere un sacco di caffè bisogna mettere tanti di quegli strati di colore, perché lo mangia”.
Riesce a coniugare la pittura e l’attività di imprenditore di successo, tanto che di sé dice con autoironia: “La mia propensione era anche per il commercio e l’industria. In fondo sono un po’ Dottor Jekyll e Mister Hyde, ma ho continuato a dipingere sempre”.
Così Giordano Bruno Guerri sintetizza l’arte di Zanetti la sera del vernissage: “È un’arte gioiosa e quindi l’espressione di una personalità gioiosa, che non bada alle tecniche, ma all’invenzione di se stesso. È una sua rappresentazione, ma fatta sotto forma di colore”.
Di grande impatto le tele di grande campitura. Si sente vicino a Jackson Pollock, Martino Zanetti, con il quale condivide in parte la tecnica delle sgocciolature e in parte la pittura come azione, azione nello spazio, e la tela come spazio vivo.
A tratti c’è anche chi ravvede nelle opere di Zanetti riferimenti a Matisse, ai suoi colori vivacissimi, alle sue forme quasi elementari, ridotte all’essenza.
Eppure per Martino Zanetti la sua arte è solo colore, è sensazione, è divertimento giocoso, una sinfonia di emozioni accese e violente come i colori primari, la sua vita trasformata in atto creativo.
“Quando inizio una tela pian piano accentuo un colore, così un colore spinge l’altro, sempre di più. Non è vero che un’immagine nega un’altra, un’immagine spinge un’altra immagine, è un gioco meraviglioso. È identico alle note musicali”.
Una nota sostiene l’altra, come una tonalità di colore accompagna ed esalta la successiva creando un tutto armonico, e Zanetti fa danzare i colori, li fa vibrare, li suona come fa con il suo pianoforte, ingaggiando con loro un rapporto che è innanzitutto fisico, istintivo, totalizzante.
“Per me la pittura è colore, è prima di tutto sensazione -mi spiega- È colore, punto e basta. È emozione, e l’emozione non ha una forma. Io vedo solo colore, e nel colore ci volo in mezzo. Alla fine sono venuti fuori dei fiori perché ho deciso di metterci dei contorni, ma sempre in modo casuale, istintivo, non perché ricercassi una forma. Nel momento in cui mi distolgo dal pensiero di ciò che sto facendo, allora vien fuori la cosa che veramente ha senso”.
Rifugge intellettualismi e sovrastrutture Zanetti: “Quando gioco con i colori nulla è casuale. Alla fine un pensiero deve esserci, ma il pensiero non deve sovrastare. Devi riuscire a slegarti dal pensiero”.
Solo così si arriva al pubblico ora con fare irruente, ora con estrema dolcezza.
E proprio perché per lui i colori sono come note musicali che Zanetti alterna lunghe sessioni di pittura al suono del suo strumento preferito, il pianoforte.
“Suono mentre dipingo. Suono il piano e dipingo. Ho tre pianoforti, uno è anche nello studio dove dipingo e mentre i colori si asciugano suono. Passo giornate a dipingere e suonare. È un rapporto totalizzante quello con la pittura e la musica” e Zanetti ne sente l’urgenza e l’esigenza imprescindibile.
Crash più di altre opere mostra tutta la sua matericità, tutta la sua prorompente fisicità. Qui più che altrove la tela grezza e il colore abbondante occupano lo spazio con prepotenza, esercitando un fascino magnetico su chi guarda.
Sua moglie Martino Zanetti l’ha conquistata così, quando a Venezia aveva riempito dei suoi colori vivacissimi una chiesa sconsacrata.