Incontro Ernesto Neto, uno degli scultori e artisti più rappresentativi del panorama contemporaneo brasiliano e mondiale, mentre in Austria si tengono due sue mostre.
La prima è Aru Kuxipa – Sacred Secret a Vienna, alla TBA21, la Thyssen Bornemisza Art Contemporary – Augarten, realizzata con la collaborazione degli Huni Kuin, gli Indiani dell’Amazonia ai quali l’arte di Neto si sta sempre più indissolubilmente legando. La seconda è una splendida retrospettiva alla Kunsthalle di Krems.
L’arte di Neto sublima il concetto di scultura e quello d’installazione fino a trasformare le sue visioni che ricordano le strutture cellulari delle piante in creazioni biomorfiche su larghissima scala, pensate per essere esperienze totali.
Le opere di Neto possono infatti essere attraversate, vissute, toccate, sperimentate con più sensi contemporaneamente.
Sono estensioni del suo fare artistico che aspettano d’interagire, di essere percorse e fatte vivere dalla presenza attiva del pubblico. Nelle sue sculture ci si può camminare dentro, ci si può sdraiare, cantare, suonare strumenti musicali che sono lì apposta per essere usati dal pubblico.
Così mille sfumature nuove colorano e animano l’essenza stessa delle sue creazioni, ogni volta diverse, perché diversa e unica è ogni nuova interazione con il pubblico.
C’è molto della sua passione di ragazzo, quella per lo spazio, nelle sue opere d’arte. Neto voleva fare l’astronauta, o l’ingegnere spaziale.
E ogni opera è un mondo a sé, un viaggio dentro se stessi e dentro il cuore pulsante della natura.
Non si parte a bordo di un’astronave alla scoperta di galassie lontane, ma ci si spinge all’interno di se stessi, alla ricerca del senso profondo del nostro esistere qui, su questo pianeta.
Perché c’è molto della sua visione olistica del mondo nelle opere di Neto.
Gli chiedo se sia vero che lui, come a volte ha dichiarato, si sente uno scultore e pensa, vede e sente il mondo che lo circonda come uno scultore. “Sì, è vero –dice Ernesto Neto- Ma in questo momento sto pensando e vedendo come un boa”.
Questo fa parte dell’influsso sciamanico che si respira nelle tue opere soprattutto quelle presenti all’Augarten, a Vienna. “Nelle mie opere e dentro la mia anima” rilancia Neto.
Sì, anche dentro la tua anima. Infatti le tue opere riflettono esattamente ciò che sta accadendo nella tua anima.
È anche molto bello questo intrecciarsi della tua arte con la cultura e le tecniche dell’Amazonia. Puoi dirmi di più su questo aspetto? “Non solo l’Amazonia, è tutta la natura. Ho pensato alla natura, ho parlato della vita e creduto nella vita per trent’anni. Quando ho incontrato gli Huni Kuin, questo popolo della foresta, ho trovato i miei filosofi –racconta commosso Neto- Loro sono la natura. Quando parlano, possiamo sentire la voce della foresta. Per loro non c’è alcuna separazione tra la natura e noi. Quando noi diciamo la natura, mettiamo la natura come qualcosa fuori da noi, ma la natura è dentro di noi. Noi siamo la natura.
Noi abbiamo perso questa connessione, ma loro, gli Huni Kuin, hanno questa connessione con la natura e credono nella gioia. La cura, la salvezza, deriva dalla gioia. Loro cantano insieme, si tengono per mano. I miei lavori sono sempre stati sulla natura. E quando li ho incontrati per la prima volta, l’ho sentito”.
Hai sentito di essere stato in qualche modo scelto? “No, la mia amica Anna, profonda conoscitrice delle piante, mi disse di andare a incontrarli e io sono andato –mi spiega Neto- La seconda notte dopo il mio arrivo ci fu il loro rituale di cura. Era la prima volta nella mia vita che bevevo nixi pae. Quello è stato il momento nel quale sono rinato” mi dice Neto, con voce rotta e gli occhi lucidi. Un’esperienza radicale, che ha creato una cesura, tra un prima e un dopo, nel quale non poteva più essere lo stesso. C’era un’amaca al centro, dove gli Huni Kuin hanno fatto sdraiare Ernesto Neto, mentre attorno a lui tutti si muovevano con i loro copricapi piumati, secondo movimenti e coreografie che seguono precise geometrie.
“La forza del pitone, del boa, dell’anaconda, del jiboia (boa in brasiliano), è l’ayahuasca –prosegue Neto- che è un infuso di una pianta rampicante e di una foglia, il rampicante è l’elemento maschile, la foglia è quello femminile. Si tratta di una medicina sacra. La sacralità non è in cielo, in paradiso, lontano da noi, è qui e ora. È qui, nelle piante, sulla terra, nei nostri corpi, nell’aria, nei fiumi, nelle montagne. In quei momenti ho visto le cose più incredibili che abbia mai visto in tutta la mia vita. Quando la forza è arrivata ho sentito una forte connessione con la mia famiglia. Ho avuto la sensazione di fare l’amore con mia moglie in mezzo al cosmo. Da bambino volevo fare l’astronauta e quando ho fallito l’esame per entrare alla facoltà di astronomia non sapevo bene cosa fare della mia vita”.
La vita è speciale per Neto. Mi dice che ci sono miliardi di spermatozoi che cercano di fecondare un ovulo. E noi siamo il risultato di un singolo spermatozoo che ce l’ha fatta. “Abbiamo una responsabilità nel vivere e nel cercare la gioia –sottolinea enfatico- Gli Huni Kuin pensano che la gioia sia cura”.
Se Neto ha iniziato a fare lo scultore lo deve a Virginia, una cara amica con cui ha avuto una storia sentimentale e anch’essa conoscitrice degli Huni Kuin. Grazie a lei Neto vince la paura di un nuovo fallimento. Aveva già tentato di entrare in un corso di scultura al Museo d’Arte Moderna di Rio de Janeiro, ma sebbene insicuro e timoroso, decide di provare a fare il corso di scultura con l’argilla suggerito da Virginia. “Ricordo che quando ho realizzato la mia prima scultura d’argilla, che è in mostra a Krems, ho capito che questo era ciò che volevo fare nella mia vita. La forza non è in me, è nell’arte. L’arte è sacra. Quando ci svegliamo la mattina attraversiamo la poesia. Passiamo la giornata nella poesia, dentro la poesia, ci muoviamo nella poesia. Il momento che tu ed io stiamo vivendo ora è poesia. E ogni momento è sacro”. Mentre parla Neto mi guarda e sentiamo entrambi la commozione dell’attimo che stiamo vivendo. È quel che accade quando arte e vita si fondono e quando anche una semplice intervista si trasforma in poesia.