Ho accompagnato un gruppo di volontari dell’associazione austriaca #SOSKONVOI nel loro viaggio alla volta di Tovarnik, in Croazia. A bordo del convoglio aiuti da distribuire ai circa 5.000 rifugiati affluiti nella cittadina croata, vicinissima al confine con la Serbia. Una situazione quasi esplosiva, anche se il numero di migranti varia di giorno in giorno.
Partenza da Vienna al mattino di buon’ora. Arrivo a Tovarnik sul far della sera.
Il team che gestisce il campo, nato spontaneamente a 600-700 metri dalla stazione, ci accoglie e ci rende subito operativi. Il campo sorge in un luogo che non ha infrastrutture. Ciò che si teme di più stanotte è la pioggia.
Le previsioni del tempo sono inclementi: acquazzoni dalla mezzanotte e per le prossime 48 ore. È una corsa contro il tempo, per montare più tende possibili. Nella notte la campagna si punteggia di canadesi e igloo, piccole e grandi.
Poi inizia la distribuzione di aiuti, soprattutto coperte, materassini da campo, sacchi a pelo, vestiti e scarpe.
La situazione più critica è alla stazione di Tovarnik. Qui si concentrano tra le 2.000 e le 3.000 persone.
Anche se la CroceRossa è presente con un piccolo presidio che offre cibo e bevande, la situazione è difficilissima per i rifugiati, che pure non vogliono andarsene nella speranza di poter salire prima su quei treni che li porteranno verso ovest, verso la Germania.
Restano qui, in condizioni disumane, in una stazione piccolissima, di appena due binari.
Sono ammassati l’uno su l’altro, dormono per terra, alcuni sui binari, o nelle aree attorno alle pensiline. Qua e là qualche tenda, ma la maggior parte di loro è all’addiaccio.
I più fortunati sono raggomitolati in un sacco a pelo, altri in giacigli di fortuna. Attorno immondizia ovunque. Per terra giacciono una massa di uomini, donne, bambini e rifiuti di ogni genere.
Scatolette di latta vuote, posate e bicchieri di plastica, resti di cibo, indumenti e scarpe abbandonati da chi è partito in fretta.
Le prime gocce cominciano a cadere e si abbassa la temperatura. Si teme il peggio, così si continuano a distribuire generi di prima necessità.
I rifugiati cingono d’assedio i furgoni, hanno bisogno di tutto.
Malgrado la ressa attorno ai mezzi dei volontari, malgrado le sofferenze e le difficoltà, il clima è tranquillo. C’è anche chi non ha perso il sorriso.
Moltissimi tra questa umanità disperata appartengono alla classe media siriana. Hanno tutti almeno uno smartphone, sono su Facebook e Whatsapp. Qualcuno si fa dei selfie per documentare la notte nella stazione di Tovarnik.
Al mattino con il sole, che smentisce ogni previsione meteorologica, arriva anche un treno.
Tutti i rifugiati si accalcano lungo i binari.
Una marea umana invade le pensiline e applaude di gioia.
Tutti vogliono salire a bordo di quel treno che sembrava non arrivare mai.
Restano lì, fermi, a migliaia, commossi e increduli.
Sarà forse la fine di un incubo per molti di loro. Anche dal campo accorrono a frotte.
Tutti chiedono: “Qitar, qitar?”, treno in arabo. Vogliono sapere se partirà e se porterà anche loro via di lì, verso una nuova vita.