Intercettazioni di stato

L’Austria sta per approvare un pacchetto sicurezza che prevede intercettazioni su WhatsApp, Skype, Telegram, come già avviene per telefonate e sms. Però in Parlamento ancora non c’è accordo. La disputa è incentrata sull’uso di un Bundestrojaner, ovvero un “trojan federale” per controllare le comunicazioni che avvengono attraverso le applicazioni di messaggistica istantanea. Prima del semaforo verde i socialdemocratici vogliono assicurazioni dal Ministro della Giustizia Wolfgang Brandstetter (ÖVP), che non vi sia alcun uso di trojan, ovvero software che permettano di monitorare tutto, qualsiasi dato, comprese le informazioni personali. Inoltre l’SPÖ vuole anche la certezza che non si proceda a schedare tutti, indiscriminatamente, anche cittadini sui quali non vi sia alcun sospetto di attività criminale. Non comprende le obiezioni dei socialdemocratici il Ministro della Giustizia che, assieme al Ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka (ÖVP), ha presentato il pacchetto sicurezza già dallo scorso marzo. Di fatto si tratta di estendere regole che già esistono per le intercettazioni telefoniche e per gli sms anche alle applicazioni di messaggistica istantanea come WhatsApp e Skype. Naturalmente tali misure verrebbero utilizzate solo in presenza di grave indizio di reato ed esclusivamente dopo aver ottenuto l’autorizzazione del giudice.

Si difende il Ministro Brandstetter, non è mai stato pianificato l’uso di alcun trojan, anche perché alla fine in Austria sarà possibile effettuare minori controlli rispetto ad altri Paesi, come ad esempio la Germania. D’altro canto l’SPÖ non solo vuole impedire che chiunque, indistintamente, finisca nelle maglie dei controlli, ma intende anche prevenire ogni utilizzo di informazioni personali da parte di soggetti terzi. Di fatto le comunicazioni sarebbero intercettate prima che vengano criptate, oppure subito dopo la loro successiva decrittazione. La questione è che per fare ciò servirà un software, tipo trojan, come quello che verrà adoperato in Germania, dove la legge sulle intercettazioni estesa anche alle comunicazioni telematiche è stata recentemente modificata per colmare il divario tecnologico che rendeva spuntate le armi della polizia nel combattere criminalità e terrorismo, che sempre meno usano sistemi antiquati come cellulari e sms, mentre sempre più si servono di canali più moderni quali chat e app di messaggistica istantanea quali appunto WhatsApp, Telegram, SkypeContinua a leggere



ISIS, le chat del terrore

L’attentato a Manchester porta la firma dell’ISIS. È l’ennesimo, sanguinoso attacco al cuore dell’Europa. Il ruolo giocato dai social media nel diffondersi della propaganda dell’ISIS è indubbio. La presenza di miliziani del Califfato islamico su internet è attivissima. Attraverso le piattaforme social vengono raggiunti nuovi adepti e si reclutano i kamikaze di domani, gli assassini per mano dei quali, in futuro, si continuerà a seminare morte in Europa e nel resto del mondo. Il proselitismo via social network sembra inarrestabile e acquistano sempre più importanza le chat. Twitter e Telegram sì, WhatsApp no. Da Twitter, che è pubblico, l’ecosistema jihadista si è spostato sulle applicazioni di messaggistica istantanea e tra queste a WhatsApp viene preferito Telegram, per le sue caratteristiche di sicurezza e tutela della privacy degli utenti.

Accanto a questi canali comunicativi anche i media tradizionali hanno un ruolo nell’espandersi a macchia d’olio dell’ideologia jihadista. Nico Prucha, ricercatore esperto di jihadismo dell’Istituto di Studi Orientali dell’Università di Vienna, monitora da anni la galassia di miliziani del terrore operativa su Twitter, Facebook e Telegram. Proprio la chat di Telegram è uno strumento fondamentale per la propaganda dell’ISIS: “Per sua natura Telegram è una piattaforma dove le organizzazioni estremiste entrano in contatto con nuovi sostenitori e un canale attraverso il quale è possibile veicolare contenuti multimediali” dice Nico Prucha, in una intervista rilasciata al Kurier.

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L’avanzata di Telegram rispetto ad altri social network è dovuta al fatto che, soprattutto Twitter, ha iniziato dal 2016 a filtrare i propri contenuti, bloccando o cancellando quegli account legati all’ISIS. “L’ecosistema jihadista ha abbandonato Twitter per riversarsi in massa su Telegram -racconta Prucha- piattaforma sulla quale già viaggiava la comunicazione di membri di rilievo del mondo jihadista. Anche se fare proselitismo su gruppi segreti all’interno di Telegram non ha la stessa efficacia di campagne di propaganda fatte via Twitter”. I controlli sui contenuti operati da Twitter nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha costretto l’ISIS a riprogrammare e rivedere la propria strategia comunicativa, e tornare così ad essere efficaci e pienamente attivi anche su Twitter, Instagram e Facebook, malgrado esista il rischio più che concreto che gli account possano essere bloccati. “Proprio perché l’ISIS è un gruppo molto pragmatico, ha modificato lo scambio di contenuti, che sempre più avviene attraverso un’operazione di copia e incolla fatta da singoli supporter -spiega Prucha- Così se un singolo account viene bloccato, ve ne sono sempre di nuovi che operano e diffondono contenuti, indisturbati, sfuggendo alle maglie dei controlli”.  Continua a leggere