Vienna – Dubai A/R

La Turchia non è un paese per donne

Asya è bella, colta, realizzata professionalmente, parla bene inglese e tedesco. L’ho conosciuta qualche anno fa, mentre lavorava in Austria, dove ha vissuto per un lungo periodo. Un’amicizia, la nostra, che dura ancora. È tornata nella sua amata Istanbul da alcuni mesi. Asya è una donna in carriera, intraprendente, talentuosa, cittadina del mondo. Questa è la sua testimonianza dell’orrore che si impossessa in fretta della Turchia. Asya esordisce così: Ciao Mila, non posso scriverti su Facebook. Purtroppo gli account vengono crackati. La via più sicura è utilizzare WhatsApp, ma poi devo subito cancellare tutta la nostra conversazione. È molto pericoloso. La polizia può fermarti in qualsiasi momento, soprattutto le forze d’elite, e controllare le tracce delle tue conversazioni private. Ogni appiglio può rivelarsi fatale.

I provvedimenti del governo turco stanno uccidendo giorno dopo giorno lo stato di diritto e la democrazia, in uno dei Paesi che fino a pochi anni fa era tra i più avanzati della zona eurasiatica. In queste ore si susseguono arresti di massa. Vigono restrizioni sull’espatrio. È stato dichiarato lo stato di emergenza per 3 mesi e sospesa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Aleggia lo spettro della pena di morte. La voce di Asya parla direttamente alla nostra coscienza. A rischio c’è la civiltà. Il processo di islamizzazione sta permeando ogni ganglio della società turca. Non c’è più spazio per la laicità. Erdogan sta eliminando qualsiasi forma di dissenso. Ecco perché come mi racconta Asya con il cuore ferito: la Turchia non è un Paese per donne. 

Facebook sotto controllo e social media setacciati

Facebook non è un mezzo sicuro per comunicare -mi spiega Asya- È nel mirino del governo. Occorre molta cautela e per il momento sembra che usare WhatsApp sia più saggio. Ti fermano e possono decidere di lasciarti andare, come di trattenerti. Se rifiuti di far vedere il tuo smartphone possono arrestarti per sospetto coinvolgimento nel golpe. Ogni cosa può essere usata contro di te e far scattare l’arresto per fiancheggiamento al tentato colpo di stato. Ecco perché dopo aver comunicato con te, eliminerò immediatamente ogni traccia della nostra conversazione, mi dice Asya. Comunque per fortuna sto bene, non devi preoccuparti per me.

Non c’è giustizia, solo ronde per strada

Mi spezza il cuore vedere la mia bellissima Turchia trasformata in una repubblica islamica -scrive con immenso dispiacere Asya- Non c’è legge uguale per tutti, non c’è un sistema giudiziario che possa proteggermi e proteggere le persone come me. A chiunque io non vada a genio, o chiunque nutra antipatia nei miei confronti, basta che mi accusi di aver appoggiato il golpe e per me si aprirebbero immediatamente le porte del carcere. Potrei rimanerci rinchiusa per anni. Ho paura per me e per la mia famiglia.

Insulti e aggressioni alle donne

Restare qui diventa ogni giorno sempre più insostenibile. Può accadere di camminare per strada e incontrare gruppi di uomini islamici integralisti, che ti riempiono di improperi perché sei vestita all’occidentale, perché non hai il capo coperto con l’hijab, il foulard, o non indossi il velo integrale. Mi è capitato che mi vomitassero addosso parole di fuoco. “Presto non potrete più vestirvi in questo modo” mi hanno gridato a brutto muso. Qui in Turchia non mi sento più al sicuro. Sono terrorizzata. C’è anche chi pensa che sia lecito aggredire e violentare le donne senza il velo, perché non sono vere musulmane. Questo non è il mio Paese.

Non è più il tempo di Gezi Park, non è possibile fare gli eroi

No Mila, non correrò inutili rischi -mi rassicura Asya- indosserò l’hijab, se dovesse diventare necessario. Molte persone come me stanno cercando il modo per lasciare il Paese. Stavolta è diverso, la situazione è gravissima, questa volta stanno imprimendo una vera svolta autoritaria.

Non è più il tempo delle proteste di Gezi Park, adesso ci troviamo faccia a faccia con masse di esaltati con le spade sguainate, che hanno persino decapitato un soldato, uscendone indenni. Sono stati identificati, ma non li hanno arrestati. Non posso vivere in questa Turchia, dove la violenza e la prevaricazione dominano, soprattutto ai danni delle donne. Mia mamma non ha motivo per avere troppa paura, lei ha il capo coperto. Sembra assurdo quello che ti sto dicendo -aggiunge Asya- ma è proprio così. Con il tipico pragmatismo occidentale le dico di non fare sciocchezze, di mettersi il velo e non rischiare la libertà, o peggio la vita. E aggiungo: Non è il momento di fare gli eroi! Asya mi risponde: Tranquilla, Mila, come ti ho già detto se occorre indosserò anch’io l’hijab. Non è possibile fare gli eroi -prosegue Asya- quei tempi sono finiti, non è più come a Gezi Park. Non è una ribellione stile figli dei fiori, adesso sembra un incubo simile a Daesh, allo Stato Islamico (IS), e questo è spaventoso.

Abbandonati al loro destino

Ci sentiamo abbandonati. Ci sentiamo totalmente soli e in balia del nostro destino di terrore e sofferenza. L’Europa resterà a guardare. Il resto del mondo non farà assolutamente niente. È un copione già visto -dice con amarezza Asya- Nessuno alzerà un dito, come per la Bosnia, per la Siria e per tanti altri Paesi dilaniati dalla guerra, o da regimi totalitari. Non accadrà nulla. Nessuno ci aiuterà. Vorrei andare via, lontano da qui, in cerca di un futuro vivibile. Ricevere i tuoi messaggi mi fa sentire amata e meno sola. Grazie, sei una vera amica. Ti aggiornerò, di tanto in tanto. Asya

 

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