Vienna – Dubai A/R

Attacchi Parigi: Salah Abdeslam è stato in Austria due mesi fa

Salah Abdeslam, ancora latitante e ricercato dalla polizia, e sospettato di aver partecipato agli attacchi di Parigi lo scorso 13 novembre, è stato in Austria il 9 settembre, poco più di due mesi fa. A dare la notizia è stato il Ministero dell’Interno austriaco.

Salah Abdeslam, nato in Belgio, fratello di Brahim, uno dei killer degli attentati di Parigi, ha noleggiato l’automobile ritrovata nelle vicinanze del teatro Bataclan, dove sono state uccise 89 persone. Salah è stato fermato per un controllo di routine in Oberösterreich (Alta Austria). Un normale posto di blocco stradale della polizia austriaca effettuato il 9 settembre ad Aistersheim, a circa 50 chilometri dal confine. Era a bordo di una macchina con altri due compagni di viaggio, proveniva dalla Germania. 

Austria: nessun sospetto che Salah fosse collegato al jihad

Il portavoce del Ministero dell’Interno Karl-Heinz Grundböck ha dichiarato che all’epoca del fermo “le autorità austriache non avevano alcun sospetto che Salah Abdeslam avesse legami con jihadisti”. Riguardo agli altri due uomini nell’automobile assieme a Salah, il Ministero dell’Interno afferma in una nota che al momento “non sembrano essere collegati agli attacchi di Parigi”.


Non è chiaro perché Salah Abdeslam si trovasse in Austria. A quanto risulta avrebbe dichiarato di essere in vacanza per qualche giorno a Vienna. Per ora non si conoscono ulteriori dettagli, ma il Ministro dell’Interno Johanna Mikl-Leitner ha detto alla ORF, la tv pubblica austriaca, che i servizi di sicurezza stanno cercando di capire dove abbia soggiornato e chi abbia incontrato in Austria.

Vienna hub del jihad, Belgio centro logistico del terrore

Da vent’anni Vienna, che geograficamente è un passaggio obbligato per chi vada da occidente a oriente, ha accolto Bosniaci, Serbi, Kosovari, ma anche Ceceni, Turchi, Pakistani, diventando di fatto un crocevia per molti jihadisti.

I foreign fighter austriaci, ovvero gli islamici con cittadinanza austriaca, che sono andati a combattere in Siria sono 230. Di questi 40 hanno perso la vita combattendo, 120 fanno ancora parte delle milizie dello Stato Islamico, 70 hanno fatto ritorno in Austria. Un dato allarmante per un paese di 8 milioni e mezzo di abitanti. Dati che preoccupano almeno quanto quelli del Belgio, che si sta delineando sempre più come paese chiave per il reclutamento di nuovi adepti dell’ISIS. “Il Belgio è già da anni un centro logistico dell’estremismo jihadista -spiega il Prof. Marco Lombardi, docente dell’Università Cattolica di Milano e membro dell’Italian Team for Security Terroristic Issues & Managing Emergencies- A causa di una frammentazione sociale rilevante, il Belgio ha un numero di reclute molto elevato: 400 foreign fighter, ovvero circa 40 persone per milione di abitanti”.

L’ISIS ha obiettivi propagandistici, non militari

Dopo gli attacchi di Parigi il quadro della guerra dichiarata dallo Stato Islamico al resto del mondo appare agghiacciante: si tratta di un contesto di guerra ibrida, diffusa, pervasiva, delocalizzata.

Come racconta il Prof. Lombardi “Esiste una sorta di Open Source warfare (un conflitto open source), dove le reclute sono ovunque. Non è allarmismo, ma occorre avere consapevolezza dei rischi. Nessuno può dormire sonni tranquilli”.

In Germania, ad Hannover, è stato annullato lo svolgimento di un’altra partita di calcio, Germania-Olanda, incontro al quale era prevista la presenza della Cancelliera Angela Merkel e del suo vice Sigmar Gabriel. La psicosi da attentato si sta impadronendo dell’Europa tutta. Ma il Prof. Lombardi mi fa notare come tutto sia effetto della propaganda dello Stato Islamico. “Non è psicosi, ma effetto della propaganda. Certo, l’attacco allo stadio è stato un insuccesso sul piano militare, ma pensavano davvero di poter entrare? Non sarebbe stato possibile. Allora, o sono degli incapaci o la motivazione non è quella militare, bensì la propaganda”.

Allo Stade de France sul piano militare è stato mandato probabilmente l’individuo più fragile sotto il profilo emotivo, rilancia il Prof. Lombardi “una volta scoperto sarebbe stato più utile farsi saltare al posto di controllo per provocare più danni. La breccia avrebbe potuto essere utilizzata da un back up che sarebbe entrato provocando un caos enorme. Però non c’era alcun back up e non era neppure presente un comando a distanza per far saltare il ragazzo al punto giusto, in caso di esitazione. Infatti, l’attentatore suicida preso dal panico è scappato ed è esploso dove ha causato meno danni”.

Bataclan: attentato con scopi comunicativo-propagandistici

Se quindi come suggerisce il Prof. Lombardi i terroristi non sono stati spinti da strategia militare per l’attentato allo Stade de France, è possibile rileggere in chiave diversa anche la strage al Teatro Bataclan. Cosa ha spinto il commando ad agire in quel modo? “Tutti hanno detto che i terroristi sparavano a colpo singolo: giustiziavano, questo è stato il senso comunicato –sottolinea il Prof. Lombardi- La strage era facile farla con due granate”.

Allora dobbiamo pensare che sia stato un fallimento? “La motivazione è stata di tipo comunicativo –enfattizza il Prof. Lombardi- Riguardo allo stadio tutti pensano a ciò che sarebbe potuto accadere se l’attentatore suicida fosse entrato all’interno. Al Teatro Bataclan tutti hanno percepito che il commando fosse lì per giustiziare, lo hanno ripreso e divulgato via Twitter in tempo reale. Bataclan è diventato virale e continua a propagarsi per la rete. Se l’attacco fosse stato di successo sul piano militare avremmo avuto più morti, ma meno efficacia comunicativa e propagandistica: l’attacco sarebbe finito allora. Secondo il paradigma comunicativo, invece, l’attacco sta andando avanti ancora, con estrema risonanza, per la viralità che ha innescato”.

La cyber-guerra è già iniziata

Internet e i social media giocano un ruolo fondamentale e il Califfato se ne sa servire in maniera efficacissima a fini propagandistici, per fare proselitismo, per reclutare nuovi miliziani. In quest’ottica l’intervento di Anonymous potrebbe rivelarsi decisivo. La cyber-guerra potrebbe forse riuscire là dove non arrivano neppure le bombe lanciate dai caccia francesi e russi? “Anonymous sta collaborando attraverso Kronos con l’intelligence statunitense –precisa il Prof. Lombardi- Si tratta di un nuovo dinamismo degli hacker etici”.

Terrorismo e rifugiati, un binomio nefasto

I massicci bombardamenti aerei producono un incremento dell’ondata di profughi, orde di disperati in fuga dalla Siria alla ricerca della salvezza in Europa, con il rischio di accogliere a braccia aperte potenziali pericolosi attentatori.

“La connessione tra i flussi migratori e il terrorismo esiste –dice il Prof. Lombardi- Per affrontarla occorre deideologizzarla. I terroristi lavorano con i trafficanti perché così incassano denaro. Utilizzano i flussi migratori come arma della guerra ibrida: potenzialmente possono far passare persone. Hanno infatti usato questi flussi per loro spostamenti interni: sulle stesse rotte dei rifugiati 200 Boko Haram si sono mossi verso Nord lo scorso settembre per andare a combattere nel nord della Libia. Di certo usano i documenti dei migranti: sim e documenti d’identificazione sono stati ritrovati in diversi commando (come ad esempio all’attentato al Museo del Bardo a Tunisi). Il legame è oggettivo: il problema è come garantire chi ha legalmente diritto alla protezione e chi invece la sfrutta”.

Come difendersi dalla guerra ibrida dell’ISIS?

Di fronte a una guerra ibrida, a minacce diffuse capillarmente ovunque e difficilmente rintracciabili, urge una risposta che viaggi su un doppio binario: da un lato intensificando la sicurezza, con la polizia, ma anche militare sul posto. “Ma al tempo stesso si rende necessario un accordo sul nuovo Medio Oriente da parte della coalizione che combatte lo Stato Islamico –enfatizza il Prof. Lombardi- senza questa intesa sulla futura governance non si può eliminare l’IS. E sempre sul lungo periodo diventa fondamentale risolvere le radici della radicalizzazione fornendo prospettive di futuro ai giovani, ripensando i modelli d’integrazione dei flussi migratori”. L’alternativa di una coalizione disunita, dove ognuno pensi ai propri interessi, o di un’Europa divisa da barriere, non fa profilare all’orizzonte nulla di buono. “L’Europa vince lo Stato Islamico solo se è unita –sottolinea il Prof. Lombardi- Altrimenti morirà divisa”.

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