Vinicio Capossela torna all’Expo di Dubai con un concerto che parla di terra e sostenibilità. Attraverso la musica e l’arte i paesi dell’entroterra italiano, con tutto il loro patrimonio folklorico e culturale, entrano in dialogo con la megalopoli del futuro, proiettata in una dimensione globale. Un contrasto capace di generare creatività e interconnessione, tanto che il variegato e multiculturale pubblico di Dubai si è fatto piacevolmente coinvolgere dal ritmo di ballate che uniscono le radici della musica popolare alla dimensione colta, con testi che sanno parlare dei grandi temi esistenziali con la forza dell’universalità. “È un concerto che è stato pensato soprattutto per parlare di sostenibilità, in questo luogo che mi pare il più insostenibile del pianeta, come realizzazione in sé -mi racconta Vinicio Capossela– Però, allo stesso tempo, proprio perché è il luogo in cui l’imprinting dell’uomo, l’antropocene, raggiunge forse il suo più alto picco è il luogo adatto per interrogarsi sulla sostenibilità”. Un viaggio attraverso le terre interne spaziando prevalentemente nel repertorio delle “Canzoni della Cupa”, esportando il modello dello Sponz Fest, il festival ideato da Capossela che si svolge in Alta Irpinia, giunto quest’anno alla sua decima edizione.
Un’esperienza mobile, che ha coinvolto molti luoghi e paesi, soprattutto il paesaggio naturale, architettonico e umano. Una crasi tra Sponz Fest e Expo 2020 Dubai per un connubio glocal che stimola la riflessione su grandi temi e sfide del mondo contemporaneo attraverso l’arte e le note. “Un gioco di parole, Expo, Ex-ponz Dubai -mi spiega Capossela- Perché lo Sponz Fest è l’esperienza che mi ha premesso di approfondire di più questo aspetto delle realtà delle terre interne”. Nella sua esibizione sul palco del Millennium Amphitheatre Capossela tocca anche il tema della guerra in Ucraina. L’ultimo brano, una sorta di preghiera alla luna, lo canta portando indosso come un mantello la bandiera della pace, “l’unica bandiera nella quale mi riconosca”. Dal palco lancia un monito contro la guerra e un appello alle coscienze: “Quando il senno sembra essere andato via, sulla luna, nel mondo non resta che la follia”. Scopriamo di più sul concerto e su ciò che ci ha raccontato Vinicio Capossela.
Un ritorno a Expo sul filo delle emozioni
Chiedo a Vinicio Capossela se al di là dell’aver accettato un secondo invito dal Padiglione Italia abbia deciso di tornare ad esibirsi a Dubai perché abbia trovato emozionante un pubblico così variegato come quello dell’Expo. C’è stata emozione nel suo primo concerto, tanto da volerne fare un secondo? “L’emozione c’è stata, eccome -mi dice Capossela- È come portare in una dimensione più aperta un progetto. E nel momento in cui lo porti in un contesto in cui c’è tutto il mondo, acquista anche un ulteriore significato. Un conto è suonare nel tuo Paese, un conto è suonare tra le centinaia di echi di diverse culture. E portare qualcosa che ha una sua radice anche culturale, ha modo di venire fuori molto di più in un contesto così ampio come quello in cui siamo”.
Ex-ponz Dubai e l’idea di comunità mobile
Lo Sponz Fest nel corso dei suoi dieci anni di vita è stato un modo per sperimentare un modello di comunità mobile, di concerto diffuso, di piattaforma di riflessione anche su varie tematiche, dalla salvaguardia dell’ambiente all’acqua, dalla sostenibilità ad una coltura della terra rispettosa delle risorse naturali e della biodiversità. “l’Italia alla fine è un Paese di paesi, che hanno subìto tutti una sorte simile, svuotamento demografico, perdita dei servizi, e allo stesso tempo conservano comunque non soltanto una memoria ma anche una possibilità diversa offerta dai cambiamenti che stanno attraversando la società, i cambiamenti imposti dalla pandemia -sottolinea Capossela- Ripensare alla dimensione dei paesi come una dimensione di comunità mobile mi sembrava il soggetto da mettere alla base di questo concerto”.
L’ombra dell’inconscio collettivo junghiano
Se il precedente concerto all’Expo di Dubai, “Bestiale Comedia”, era “un concerto ultraterreno” come Vinicio Capossela lo ha definito, questo invece è “un concerto terrestre, legato alle mitologie della terra e al lato oscuro che la terra conserva, l’ombra dell’inconscio collettivo di cui parlava Jung”. Canzoni, quelle proposte al Millennium Amphitheatre dell’Expo, che traggono linfa da un certo tipo di folklore e che originano anche in qualche modo dal corpo vivo delle tradizioni che affondano le radici nella cultura del territorio. Musica ed immagini, proiettate su un gigantesco video wall scorrono paesaggi di campagna, borghi come Calitri e Matera, asini, mulattiere, maschere della Barbagia, cortei come opere collettive, volti di donne e contadini, le maschere di Tricarico. Tra il pubblico in tanti battono le mani ritmicamente e più d’uno si alza in piedi per ballare sulle note di brani che hanno il potere travolgente della leggenda e del folklore.
Sulla guerra in Ucraina le parole di Bertold Brecht
“La guerra che verrà non è la prima, prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti -dice dal palco Capossela, con la voce rotta dalla commozione- Tra i vinti la povera gente faceva la fame, tra i vincitori faceva la fame la povera gente”, si rivolge così Vinicio Capossela, al pubblico dell’Expo, con le parole di Bertold Brecht. Un messaggio di pace che rafforza quanto detto nel corso della conferenza stampa: “La musica di ogni cultura e realtà è già scambio, è già qualcosa che non potrebbe prevedere il conflitto. La cosa veramente terribile di quello che sta accadendo è la sensazione di irrilevanza, una riflessione che rende veramente pessimisti sulla capacità dell’uomo di migliorare”.
Capossela riflette sui tanti conflitti che insanguinano il nostro mondo che pure prosegue la propria esistenza con indifferenza. “Trascurando l’orrore di questa come di ogni guerra, perché non bisogna dimenticare che ci sono altre decine di conflitti altrettanto terribili in corso, eppure il mondo procede -mette in evidenza Capossela- Se anche soltanto ci limitiamo a considerare il tema della sostenibilità, è una catastrofe sotto ogni punto di vista. Pensando a questa corsa agli armamenti che sottrarrà sicuramente risorse a tutto quello che poteva essere la riconversione di questo mondo”. Della guerra in Ucraina conclude sottolineando come ogni conflitto armato sia la negazione della cultura. “Questa guerra è anche il frutto della cultura del combustibile fossile che ha un ruolo determinante in moltissime guerre. La musica, naturalmente, può servire a tenere vive le coscienze così come ogni forma di cultura. Quello che è tragico è che in situazioni così divisive, le voci critiche sono le prime messe a tacere, la verità la prima a soccombere -conclude Capossela- Le armi della cultura sono forse le uniche che bisogna implementare per impedire l’affermazione di ogni negazione di cultura che è appunto la guerra”.