Iran-USA, sarà guerra?

Dubai non è nel mirino delle ritorsioni iraniane. “È un luogo sicuro per i residenti e i turisti di tutto il mondo” assicura il Dubai Media Office via Twitter, destituendo di fondamento le presunte minacce da parte dell’Iran diffuse da alcuni media internazionali. Sugli sviluppi tra Teheran e Washington le autorità emiratine sembrano escludere il rischio concreto di una guerra. A tranquillizzare gli animi le parole di Suhail Al Mazrouei, Ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti, dopo l’attacco iraniano alle basi militari statunitensi in Iraq.

Secondo Al Mazrouei non si assisterà ad un conflitto armato e nemmeno c’è da temere per il flusso di petroliere nello Stretto di Hormuz, attraverso cui passa il 20% del traffico mondiale di greggio. “C’è un indubbio inasprimento dei rapporti tra gli Stati Uniti, che sono un nostro alleato, e l’Iran, che è un nostro vicino, ma l’ultima cosa che vogliamo in Medio Oriente è che aumentino le tensioni” ha dichiarato il Ministro dell’Energia emiratino alla stampa locale. Ingiustificato per Al Mazrouei anche l’allarme su possibili carenze nell’approvvigionamento di idrocarburi. Se la domanda resta come quella attuale e la situazione geopolitica altrettanto, non vi sono motivi per prevedere alcuna scarsità di fornitura di petrolio. Le scorte mondiali hanno capacità per una media di 5 anni. Inoltre i Paesi dell’OPEC possono far fronte ad eventuali insufficienze di approvvigionamento, seppur con limitazioni in caso di emergenze catastrofiche, che però per Al Mazrouei non si profilano all’orizzonte. “Ci auguriamo che prevalga il buonsenso e che si faccia di tutto per disinnescare il conflitto da entrambe le parti” ha detto il Ministro emiratino. Anche perché nessuno può permettersi di tornare a scambiare il greggio al prezzo di 100 dollari al barile, ha concluso Al Mazrouei. Scopriamo insieme quale ruolo giochi l’Iraq nello scacchiere mediorientale ed internazionale e quali siano i possibili futuri scenari economici

Il ruolo dell’Iraq nell’OPEC

Malgrado le attuali tensioni, la capacità di fornitura di greggio dell’Iraq è garantita, ha dichiarato Mohammed Barkindo, Segretario Generale dell’OPEC. Le strutture petrolifere irachene sono in sicurezza e proseguono regolarmente la loro attività, mettendo in condizioni il Paese, tra i più importanti produttori di petrolio dell’OPEC dopo l’Arabia Saudita, di poter ottemperare i propri impegni al 100%.

Iraq, terreno simbolico di scontro

Teheran ha avvertito Baghdad poco prima dell’azione missilistica contro le strutture militari statunitensi, quale ritorsione per l’uccisione di Qassem Soleiman, comandante delle forze Quds. Sebbene l’attacco iraniano con 22 missili balistici alle basi aeree americane di al-Asad ed Irbil non sia stato sferrato con l’intento di provocare vittime, gli analisti prevedono che l’Iraq sia destinato ad una forte instabilità. Anche se la tensione tra Teheran e Washington dovesse diminuire e si arrivasse persino a negoziare un nuovo accordo sul nucleare e a stabilire un’eventuale cooperazione contro il terrorismo, Baghdad resterebbe una zona ad alto rischio di conflitto e destabilizzazione, diventando di fatto il terreno di scontro per una guerra indiretta, la cosiddetta “proxy war”.

In Iraq, infatti, vi sono le milizie Hashed al-Shaabi, incorporate all’interno dell’apparato statale iracheno, ma legate all’Iran. Nell’attacco statunitense nell’aeroporto di Baghdad lo scorso 3 gennaio non è stato ammazzato solo il generale Soleiman, ma anche Abu Mahdi al-Muhandis, vice comandante delle milizie Hashed al-Shaabi. Nessuno è in grado di prevedere eventuali ritorsioni per vendicare la morte del proprio vice comandante da parte dei miliziani Hashed al-Shaabi, così vicini ad Hezbollah e radicalmente anti-americani.

Le assicurazioni sulle petroliere e l’impennata dei prezzi

In seguito all’attacco americano del 3 gennaio a Baghdad le assicurazioni sulle petroliere che vanno dal Medio Oriente verso la Cina hanno subito un repentino aumento, arrivando ad oltre 300.000 dollari al giorno.

Le petroliere che attraversano lo Stretto di Hormuz trasportano un terzo del greggio mondiale. Nel 2018 sono transitati 21 milioni di barili di greggio. Per tutti, anche per le navi cargo, sono richieste massima attenzione e vigilanza. Gli analisti prevedono che, a causa delle tensioni nella regione del Golfo, possa schizzare l’inflazione e che le economie emergenti possano pagare maggiormente il prezzo della crisi.

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