Vienna – Dubai A/R

Austria, le donne, la scienza

In Austria la ricerca scientifica si declina anche al femminile. Sono tante le donne alla guida di team di ricercatori e molte sono italiane. La differenza rispetto all’Italia non è solo una questione di quote rosa. I finanziamenti e i fondi a disposizione della ricerca, come ad esempio il Fondo per la Ricerca austriaco (FWF Fonds der wissenschaftlichen Forschung), che quest’anno ha festeggiato il suo 50esimo anniversario, offrono linfa vitale ad un settore considerato strategico per l’Austria.

FWF/Luiza Puiu & Andrei Pungovschi

L’afflusso di denaro nelle casse di atenei e istituti di ricerca non universitari è maggiore rispetto al nostro Paese e consente di sperimentare anche in campi meno conosciuti quali quello della materia soffice, che trova applicazioni per filtri o sensori, oppure quello dei super-conduttori, che possono avere applicazioni nel settore dei trasporti. Al recente Festival della Scienza, il Be Open Festival, ho incontrato alcune donne dal curriculum eccezionale e dalla personalità magnetica. Questo è il resoconto dei miei incontri con loro. Scopriremo informazioni preziose sul male del secolo, il cancro, con risvolti inediti. Vediamo più da vicino i racconti di queste tre donne straordinarie

FWF/Luiza Puiu & Andrei Pungovschi

Una donna italiana guida la ricerca sul cancro

Maria Sibilia guida la ricerca sul cancro all’Università di Medicina di Vienna. Mi racconta come un punto cardine della loro attività verta sulla diversità nel tumore. Grazie al sequenziamento del genoma dei tumori è stato possibile dimostrare come i tumori siano molto eterogenei. Non si registra solo una differenza tra i tumori che colpiscono organi diversi, ma anche all’interno dello stesso tumore esiste un’elevata eterogeneità. In pratica ogni paziente ha una serie di mutazioni a livello genetico diverse dall’altro paziente. Anche all’interno del tumore stesso, a seconda di quale regione venga analizzata, ci sono differenze. “Quando prendiamo una biopsia di un tumore e decidiamo quale terapia dare al paziente in base alla caratterizzazione di quella particolare biopsia -mi racconta la Prof.ssa Maria Sibilia, Capo dell’Istituto di Ricerca sul Cancro dell’Università di Medicina di Vienna– In genere si spera che quel paziente risponda alla terapia somministrata, che viene data contro una determinata molecola che è alterata in quella precisa zona in cui è avvenuta la biopsia”.

MedUni Wien Matern

Però può succedere che le cellule di un’altra zona, che magari non hanno quelle alterazioni, continuino a crescere. Così abbiamo la cosiddetta resistenza, ovvero il fenomeno della recidiva. Ecco perché dopo aver dato una terapia si riscontra una regressione e poi una successiva ricaduta. L’approccio di cura odierno punta a colpire le varie diverse cellule di uno stesso tumore, facendo sempre nuove biopsie, così da riuscire a debellarlo. Al tempo stesso si cerca di stimolare il sistema immunitario affinché agisca e combatta il tumore aggredendolo.

Sistema immunitario e tumore

Il terapico ideale, però, sarebbe il nostro sistema immunitario, perché riesce ad individuare piccolissime differenze, per cui se veniamo infettati da diversissimi batteri e virus esso è in grado di riconoscerli e combatterli tutti” mi dice la Prof.ssa Maria Sibilia. Il punto nodale è istruire il nostro sistema immunitario perché impari a riconoscere di nuovo il tumore. “Quando cresce il tumore riesce a mettere a bada e controllare il nostro sistema immunitario -sottolinea la Prof.ssa Sibilia- Il sistema immunitario non riconosce più il tumore. Per cui questi cosiddetti checkpoint inhibitor sono alla base dell’immunoterapia che ha dimostrato successi incredibili, sebbene funzioni soltanto nel 20% dei pazienti”. La Prof.ssa Sibilia sui tumori solidi e la sua collega Veronika Sexl su quelli liquidi, le leucemie, lavorano entrambe sulle cellule del sistema immunitario per cercare di capire come sia possibile modulare queste cellule per riattivarle contro il tumore. “La maggior parte della ricerca si focalizza ad attivare le cellule T citotossiche contro il tumore. Però queste vengono represse dalle cellule del cosiddetto sistema immunitario innato” mi spiega la Prof.ssa Sibilia. Il futuro è rappresentato da una combinazione di cure personalizzate, le cosiddette targeted therapies dirette contro cellule tumorali specifiche, cure diverse da paziente a paziente, pur trattandosi dello stesso tipo di tumore nello stesso organo. A queste occorre associare anche giusti terapici che attivino il sistema immunitario. Bisogna però sapere con cosa iniziare e individuare i diversi fattori che possono predire se il paziente risponderà o meno all’immunoterapia. “Perché, come ho detto, le terapie autoimmuni funzionano solo nel 20% dei pazienti. Ma in questo 20% i risultati che si ottengono sono eclatanti, con una vera guarigione” enfatizza la Prof.ssa Maria Sibilia.

Un revival della chemioterapia

In seguito alle cosiddette terapie autoimmuni oggi si osserva anche un ritorno in auge della chemioterapia, per diverso tempo non guardata con favore. “La chemioterapia data in maniera giusta sul tumore giusto uccide il tumore in modo tale che questo si espone di nuovo al sistema immunitario. Per cui è come se la chemioterapia riuscisse a togliere la maschera con cui si camuffano e nascondono le cellule tumorali, rendendole nuovamente visibili al nostro sistema immunitario” conclude la Prof.ssa Maria Sibilia spezzando una lancia a favore della chemioterapia, per anni guardata con diffidenza e sospetto, soprattutto dai pazienti.

La ricerca in Austria è tutta al femminile

Emanuela Bianchi è italiana, ha conseguito laurea e dottorato in Fisica a “La Sapienza” di Roma. Poi ha deciso di fare un post-dottorato a Vienna. Era il 2009 e da allora è rimasta nella capitale austriaca per portare avanti la sua ricerca occupandosi di materia soffice. “L’idea della mia linea di ricerca è quella di determinare quali caratteristiche delle unità colloidali permettono di ottenere una struttura mesoscopica, ovvero un materiale, sia in due che in tre dimensioni, con proprietà di interesse per applicazioni tecnologiche come filtri, sensori, catalizzatori -mi dice Emanuela Bianchi- Generalmente le strutture più interessanti sono quelle in cui le unità costituenti non sono impacchettate strettamente e per ottenere questo si può giocare molto con la anisotropia delle interazioni”. 

Privato

Ha appena vinto il premio START-Grant, che le consentirà di proseguire la sua attività di ricerca. “Nel caso della mia START la sfida sarà considerare unità con distribuzioni di carica eterogenea. Immagini delle biglie con chiazze di colore diverse sulla superficie, corrispondenti a diverse cariche elettriche -mi racconta Emanuela Bianchi– Supponiamo che le chiazze di colore uguale si respingano e quelle di colore diverso si attraggano, la competizione tra attrazione e repulsione favorirà alcune sistemazioni delle particelle e ne sfavorirà altre”. Le unità che la Bianchi studierà saranno sintetizzate tra Vienna e Bordeaux e lei, assieme al suo futuro gruppo, cercherà di rispondere a una serie di domande: “Come deve essere il design delle particelle per far sì che siano accessibili sperimentalmente e che al tempo stesso realizzino strutture di interesse? In che condizioni si sviluppano tali strutture? E infine, come facilitare il processo?”. Si tratta di un lavoro che prevede da un lato un approccio teorico, soprattutto per la modellizzazione, e dall’altro un approccio numerico, che consisterà nell’usare simulazioni al computer per investigare il comportamento di questi sistemi al variare dei parametri.

L’Austria, l’Italia e la ricerca

Cosa ha impedito ad Emanuela Bianchi di svolgere un’analoga attività di ricerca in Italia? “In Italia mancano semplicemente i finanziamenti adeguati e, a peggiorare le cose, non esiste alcuna regolarità nei bandi -mi spiega Emanuela- Personalmente il mio lavoro potrei svolgerlo altrettanto bene in Italia. Provengo da un ateneo di eccellenza e nel mio ambito Roma rappresenta un grande polo internazionale. Eppure le possibilità concrete sono pochissime, legate a una roulette russa e del tutto prive di periodicità temporale. Questo rende difficile il rientro per chiunque”.

Giovani talenti italiani attratti dall’Austria

Deborah Capecchi ha 30 anni e lavora nel campo della ricerca applicata. Ha fatto tutti i suoi studi di fisica a Pisa, triennale e magistrale, poi ha deciso di guardarsi attorno in Europa con l’obiettivo di fare ricerca. “Ho trovato un ambiente stimolante, multiculturale, internazionale, molto aperto a Innsbruck, molto forte in questo campo della fisica ed ora faccio un dottorato di ricerca lì” mi spiega Deborah.

FWF/Luiza Puiu & Andrei Pungovschi

La sua attività di ricerca applicata si orienta sui materiali super-conduttori e nello stand del Be Open Festival dedicato alla sua materia di ricerca è proprio lei ad illustrare ai visitatori, tra cui moltissimi giovani, un esperimento che mostra l’effetto di super-conduttività. Ci sono materiali che quando vengono raffreddati sotto una determinata temperatura possono condurre corrente senza dissipazione e possono espellere il campo magnetico. Un principio che trova applicazione nei sistemi di trasporto a levitazione magnetica. “Questi materiali sono ottimi per tale scopo, però questo sistema funziona al momento solo a temperature estremamente basse, perciò quello che si guadagna dal fatto che non vi sia attrito della rotaia, lo si perde sul raffreddamento -mi racconta Deborah- Il passo successivo sarebbe capire come portarlo a temperature più alte e questo è uno studio che possiamo fare utilizzando gli atomi freddi e portando un gas di atomi a comportarsi nella stessa maniera in cui si comporta un materiale solido”.

FWF/Luiza Puiu & Andrei Pungovschi

La ricerca di base costruisce il futuro

Se si riuscisse a portare il sistema a funzionare a temperatura ambiente potrebbe davvero rappresentare una svolta nel settore dei trasporti, soprattutto nella distribuzione dell’elettricità perché non vi sarebbe dissipazione. “Quel 5-10% che attualmente perdiamo nelle linee di distribuzione dell’elettricità verrebbe guadagnato -rilancia Deborah- Inoltre le batterie potrebbero andare avanti in eterno, sempre perché non c’è dissipazione. Migliorerebbero anche le prestazioni dei treni, che raggiungerebbero velocità molto più elevate”. È bello ascoltare Deborah Capecchi parlare con un linguaggio semplice di una materia così complessa. Esistono due tipi di ricerca: quella applicata, che vede come utilizzare ciò che già sappiamo, e quella di base, che studia come migliorare quello che sappiamo e cerca di scoprire di più. Non tutta la ricerca di base porta necessariamente a scoperte utili, ma è proprio grazie a quei mille rivoli di sperimentazione che nascono possibilità nuove e svolte inattese, che disegnano il nostro futuro. In Austria, più che altrove, si cerca di investire in entrambi gli ambiti di ricerca, proprio per rendere questo futuro il migliore possibile.

FWF/Luiza Puiu & Andrei Pungovschi

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