Vienna – Dubai A/R

L’arte di non uccidere

Mehyar Sawas ha conosciuto la guerra, che dal 2011 insanguina la Siria, seminando morte e distruzione. Ha 26 anni, è un giovane artista, la sua passione per la scultura lo ha salvato. Mehyar non ha ucciso, grazie all’arte. Non è andato a combattere per inseguire il suo sogno. Mehyar è stato però costretto ad abbandonare il suo Paese per non essere coinvolto in un conflitto fratricida, che dilania senza pietà la sua terra. Anche in queste ore, mentre una fragile tregua sembra essere stata raggiunta con l’intervento di Russia, Turchia e Iran, e un possibile accordo di pace sembra profilarsi tra Bashar al-Assad e le forze di opposizione, c’è sempre l’ombra minacciosa dei terroristi di Daesh (ISIS), tutt’altro che sconfitti. Il cuore di Mehyar è lacerato. La sua Siria è devastata da 5 anni di combattimenti: 470.000 morti, 1 milione 900.000 feriti, 3 milioni 800.000 rifugiati, intere città rase al suolo. Mehyar è uno di quei milioni di profughi scappati da un Paese martoriato, in cerca di un futuro migliore, lontano dalle bombe e dal sangue.

Arrivato a Vienna nel settembre 2015, Mehyar Sawas ha già avuto il suo primo riconoscimento importante come scultore. Ha esposto alcune delle sue opere al Wien Museum (Karlsplatz 8), in una mostra collettiva realizzata assieme ad altri cinque artisti siriani, con l’appoggio di Cardamom & Nelke. Una mostra alla quale ha dedicato un servizio anche la tv pubblica ORF.

Alcuni degli artisti con Mehyar al Wien Museum

Attraverso le opere degli artisti siriani che hanno esposto al Wien Museum, si apre uno squarcio sulle ferite prodotte dalla guerra civile che sta distruggendo il loro Paese.

Con il suo linguaggio intriso di simbolismo Thaer Maarouf sembra dipingere le atrocità che stanno divorando la Siria: attorno solo rovine, macerie, desolazione, morte.

Ma c’è spazio anche per comunicare in modo surreale.

Quando l’orrore travolge tutto, la chiave dell’ironia aiuta a non soccombere.

Enas Altaweel è anche disegnatrice di moda. Crea installazioni che sembrano personificazioni dei ricordi terribili del sanguinoso conflitto.

Veli sottili, trasparenze e pieghe oscure. Il gorgo del male, raffigurato in tutta la sua mostruosità, con tratti quasi antropomorfi sembra meno ostile.

Arte e natura

Le sculture di Mehyar sono opere astratte. Hanno spesso curve sinuose, soprattutto quelle realizzate in legno, o argilla.

Un gioco di luci e ombre, di pieni e vuoti, di cavità e convessità morbide, che racchiudono l’armonia dell’universo, che ne intrappolano energia e bellezza, come le linee dolci e lievi disegnate dai petali di una rosa carnosa.

L’arte aiuta, perché la natura è parte di essa ed è connessa al divino. L’arte deve mostrare la bellezza del creato. Dovremmo capire che siamo qui, su questo pianeta per vivere insieme, in pace, sostenendoci, amandoci -dice Mehyar- Io credo nel potere dell’arte e che essa sia parte di un grande disegno”.

Sculture cangianti a seconda della prospettiva dalla quale le si guardi. E in questo continuo togliere materia e aggiungerne di nuova, sono le opere stesse a comunicare all’artefice quando sono davvero finite, quando il processo del loro farsi è giunto a compimento.

Un uomo fortunato

Sono un uomo fortunato” e lo dice con lo sguardo sereno, Mehyar, malgrado le indicibili sofferenze vissute. Mehyar ha un diploma dell’Istituto di Arti applicate di Damasco. Quella al Wien Museum non è la sua prima mostra, ne ha già fatte altre.

Oltre al sussidio che riceve dallo Stato austriaco per il suo status di rifugiato siriano, che gli consente di pagare un affitto per un appartamento che condivide con il cugino e di avere il necessario per la sussistenza, Mehyar riesce a vendere alcune delle sue sculture e a ricavarne del denaro. Certo, non è ancora un vero lavoro, anche perché l’iter della sua richiesta di asilo è ancora in via di approvazione, però rappresenta un inizio promettente.

“Se riuscirò ad affermarmi come artista vorrei sostenere attività caritatevoli per fare beneficenza e aiutare chi ha bisogno”. I soldi guadagnati con la sua arte vorrebbe investirli in progetti benefici che non solo aiutino altri giovani artisti a trovare il loro percorso, ma anche coloro che sono in difficoltà.

L’esperienza dei rifugiati

“Vorrei mostrare alla gente la realtà dei rifugiati, per far capire meglio cosa significhi fuggire dalla propria terra, cosa si provi, cosa siano costretti a sopportare” mi racconta Mehyar.

È così che è nato un film, The sculptor of Damascus, interamente girato da lui, solo con uno smartphone. Alcuni spezzoni del film riprendono una piccola porzione del lungo viaggio intrapreso da Mehyar. Il resto è stato girato a Vienna e propone momenti della sua esistenza di rifugiato assieme a suo cugino, che lo ha accompagnato dalla Siria alla Turchia, attraversando Grecia e Serbia, fino in Austria. Sulle prime voleva andare in Svezia, Mehyar, neanche aveva idea di come fosse Vienna. Come ha iniziato a scoprirla ha capito che era il luogo dove voleva restare.       

Il potere dell’arte

Ho assistito alla creazione di alcune opere di Mehyar nel suo studio. Assorto nel plasmare la materia, l’argilla, con un bulino.

Spesso lavora con il gesso preparando modelli che successivamente riprodurrà in formato più grande utilizzando il legno. Implica fatica fisica levigare il legno, forgiarlo, tagliarlo, finché non arrivano le forme giuste e le vibrazioni positive.

Potenti anche le sculture realizzate con metallo e fili elettrici combusti, materiali più poveri e non troppo complessi da lavorare.

Le bruciature e le linee contorte dei corpi raffigurati fermano l’orrore della guerra, sono istantanee della sofferenza. Sono ritratti drammatici, permeati di dolore.

Eppure per Mehyar in quella tristezza, nel nero di quelle combustioni c’è del buono, può esserci una rinascita. “La sofferenza è una sfida, può essere una molla per stimolare la creatività, può darci la forza per ripartire e andare avanti, verso le nostre mete -mi spiega Mehyar- Da una mente rafforzata dal dolore può arrivare l’energia per costruire un mondo migliore”.

Il senso dell’esistere

Nelle sculture di Mehyar c’è sempre un messaggio positivo. Per lui l’arte è una missione, la sua missione per contribuire a creare un mondo più vivibile, armonico, animato da un sentimento di amore e fratellanza tra gli uomini. “Avere successo e non condividerlo con gli altri rende quel successo privo di significato” dice con occhi scintillanti.

Il senso della vita Mehyar lo ha imparato da suo padre, professore di filosofia, che molto ha fatto per i suoi studenti, per farli crescere, per aiutare a farli evolvere intellettualmente e umanamente. “Leggere molto, studiare e lavorare sodo. Questo è quello che farò, così tutto è possibile. Tu crei le tue opportunità, la tua fortuna, il tuo lavoro -dice Mehyar con fierezza sorridendomi- Ecco perché non c’è nulla di impossibile se si crede in ciò che si fa”.

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