I rifugiati vanno in scena

I rifugiati vanno in scena, raccontando le loro storie sul palco. Si intitola Badluck, sfortuna, cattiva sorte, la performance al Teatro Nestroyhof Hamakom di Vienna, della quale proprio mercoledì c’è stata l’ultima replica. Uno spettacolo che si è protratto per circa nove settimane, recitato quasi completamente in inglese. Sull’onda del successo, in tempi brevi, questo lavoro teatrale sarà trasformato anche in un film. Sul palcoscenico non ci sono attori professionisti. Solo persone normali con le loro piccole storie di vita quotidiana. Sullo sfondo, l’inferno della guerra.

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Attorno a una struttura fissa, stabilita, c’è sempre spazio per l’introduzione di nuovi elementi, legati anche all’attualità. È stato necessario recuperare attraverso i ricordi le storie di ognuno, con un delicato lavoro di maieutica, per far emergere dai recessi della memoria la loro vita, cercando di rendere quel groviglio di emozioni e sensazioni, che di fatto è l’umano esistere. Ecco perché alcune parti cambiano di volta in volta. Spesso vengono inserite le reazioni dei rifugiati-attori ai fatti drammatici che accadono in Siria o in Iraq. I bombardamenti a Baghdad, o al campo profughi in Siria, hanno reso potenti e dense di pathos alcune delle repliche, come quella intensissima dello scorso 12 maggio. 

Un diverso punto di vista

“Abbiamo deciso di dare spazio ai dettagli della vita personale di questi rifugiati -mi racconta Karl Baratta, regista- In genere questa prospettiva non coincide con quanto la gente osserva in tv o nei notiziari sulla guerra in Siria e sulla realtà dei profughi. Il pubblico alla fine apprezza molto lo spettacolo e ci ringrazia. Abbiamo avuto la sala stracolma di spettatori”.

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Ecco perché sono stati aggiunti spettacoli in più anche nel mese di maggio. E sempre per questa eccezionale rispondenza da parte del pubblico si è pensato di trasporre anche sul grande schermo il progetto. “Sono sempre stato interessato a portare in scena delle biografie, la vita delle persone -mi spiega Karl- Così sono stato molto felice quando Natascha Soufi mi ha proposto di lavorare a questo progetto, concentrandoci su piccole storie, sugli aspetti più personali, che spesso restano esclusi dai racconti dei media”.

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Il palco come zona franca

“Volevamo anche che il palcoscenico fosse un luogo liberatorio, catartico, dove non albergassero pressione e paura -dice Karl- Una zona franca dove i rifugiati potessero parlare liberamente”. Anche per questo il lavoro di regia è stato molto limitato, si è piuttosto trattato di indirizzare i rifugiati, di liberarli dall’ansia del confronto con il pubblico. Un percorso fatto insieme, per portare alla luce aneddoti, frammenti di emozioni, brandelli di realtà quotidiana, istanti di terrore, il dolore per la perdita di persone care. Solo due rifugiati sono per così dire professionisti dello spettacolo: Hayder Munsed che viene da Baghdad dove faceva l’attore, e Hayder Al Chagovi, regista e cameraman, anch’egli iracheno.

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Aveva iniziato a lavorare come operatore per l’Ambasciata americana. Un lavoro onesto, con il quale poteva mantenere la sua famiglia. Eppure i suoi connazionali lo hanno bollato con il marchio infamante del traditore, lo hanno minacciato, finché Hayder, per non mettere in pericolo la vita della sua intera famiglia, ha dovuto abbandonare l’Iraq e fuggire.

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In Iraq non c’è spazio per chi voglia fare l’attore, così anche Hayder Munsed, a Baghdad, ha avuto la vita difficile. Mentre metteva in scena un suo spettacolo la sua abitazione è stata distrutta da un’esplosione dolosa. L’Iraq non è un Paese per artisti.

Muhammad, l’insegnante-rapper

Muhammad irrompe sul palco cantando una sua poesia in versione rap. È travolgente, giovane, determinato. Nonostante il conflitto è stato capace di continuare a condurre una vita apparentemente normale, se fare l’insegnante in una città costantemente sotto attacco, come Aleppo, possa considerarsi un’esistenza normale.

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“La mia famiglia, mia madre e mia moglie, erano tutto il mio mondo. La scuola, i miei studenti, il mio lavoro erano tutto per me -mi spiega commosso Muhammad- Avevamo una squadra di basket e pur avendo la morte e la distruzione attorno, abbiamo comunque cercato di continuare a vivere e di fare qualcosa di costruttivo, di positivo per il nostro Paese”. Non sarebbe mai partito se sua moglie non fosse rimasta incinta. “Non sarei mai andato via dalla Siria se non avessi sentito urgente il bisogno di far crescere la nostra famiglia in un luogo sicuro e protetto, lontano dalla morte e dal terrore. Il nostro bambino è nato in Turchia -mi dice- Questa è stata la cosa più importante per me, far nascere nostro figlio lontano dalla guerra e dalle bombe”. Prima vuole trovare un lavoro e poi anche la moglie e il figlio lo raggiungeranno. Sta imparando il tedesco, perché vuole rimanere a Vienna e mi saluta dicendo “Ich spreche nur ein bisschen Deutsch. Tschuss” (Io parlo solo un po’ di tedesco. Ciao).

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Noor, la cantante la cui voce ha sfidato le bombe

La voce di Noor è pervasa da una vena di tristezza. È una ragazza di 28 anni, timida, fragile. Eppure il suo canto ha sfidato le bombe, ha sfidato le vette più aspre del conflitto, perché lei ha continuato a esibirsi finché non è stata costretta a scappare da Damasco. Canta e suona la sua chitarra, e quando si esibisce perde ogni imbarazzo o ritrosia, affascinando il pubblico. Le sue note come la sua timbrica esprimono lo strazio di un popolo dilaniato dalla guerra, il dolore del distacco, la lacerazione e la sofferenza dell’esule. Noor ha fatto la volontaria finché è rimasta in Siria, ha aiutato chi era disperato e chi ha perso tutto. Continua a farlo anche qui a Vienna, come se la sua carriera di cantante e la sua attività di volontaria camminassero lungo lo stesso binario.

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Wael, il manager attivista

Wael ha raccontato la sua storia personale, in modo divertente e appassionato, creando un grande coinvolgimento con il pubblico anche grazie alla spontaneità e immediatezza del suo modo di comunicare.

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“No, non sono un attore e nemmeno un giornalista, facevo il manager in Siria” mi dice Wael, con un filo di commozione. Il suo racconto si dipana tutto attraverso la sua storia d’amore con quella che poi è diventata sua moglie. È stato amore a prima vista, un colpo di fulmine e quel sentimento è ancora vivo e intatto malgrado la guerra. Wael è il più impegnato politicamente e sempre informato su quanto accada nel suo Paese, attraverso la rete dei suoi contatti sul territorio. “Sul palco denuncio le torture praticate dal regime di Assad, cerco di far capire al pubblico i micidiali barili bomba, armi molto economiche ma mostruosamente letali, che producono morte su larga scala. Parlo della scia di sangue che ogni giorno le truppe governative lasciano dietro di sé, della violenza con la quale il regime spegne ogni aspirazione democratica e ogni anelito di libertà in Siria”.

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Attraverso la sua, si dischiudono ai nostri occhi migliaia di storie analoghe, e all’improvviso i rifugiati ci appaiono per quello che sono: uomini e donne come noi. Bambini innocenti in attesa di un futuro migliore. Gente comune che conduceva una normale vita borghese, sradicata dalle proprie case, dalle proprie vite, dalla propria terra, da una guerra feroce e fratricida.

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Tarek, il ragioniere con il talento dell’attore

Tarek è un ragioniere, eppure ha dimostrato di avere eccezionali doti artistiche e comunicative, trasformandosi in un perfetto conduttore e attore. Ha grande ritmo e senso dell’umorismo, è lui a condurre il pubblico attraverso questo viaggio nella dimensione individuale di un dramma collettivo. Forse sarà scritturato da un’altra compagnia teatrale viennese per un lavoro che debutterà il 9 giugno. “È stata una mia scoperta -dice Karl Baratta-  mentre li aiutavo a creare la performance e a far sviluppare il racconto. Tarek è anche un bravissimo giocatore di calcio balilla e fa parte della squadra di Vienna, contribuendo a far vincere molto il team”. Tarek sta aspettando il pronunciamento definitivo sulla sua richiesta d’asilo e prima di ottenere i documenti non può far molto. Inoltre, anche se parla bene varie lingue tra cui l’inglese, non conosce ancora abbastanza il tedesco e quindi ci vorrà del tempo per un suo pieno inserimento.

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Squarci di quotidianità

“Quando parlano della loro esperienza fanno intravedere anche squarci della società che hanno attorno, delineano l’ambiente circostante, descrivono la loro realtà quotidiana, condividendola con il pubblico. E questo secondo me è l’aspetto più interessante di tutto il progetto” sottolinea Karl Baratta. Non sono solo persone disperate, ma persone che hanno una loro esistenza fatta di famiglie, rapporti umani, attività lavorative, piccole passioni, aneddoti, sono in qualche modo ritratti di individui che vanno in scena. E tutti insieme questi ritratti compongono un affresco straordinario, dalle tinte forti, e denso di significato.

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