Dubai, nuovo salvataggio?

Dubai ha bisogno di un nuovo salvataggio causa COVID-19? L’emirato smentisce, ma quale forma avrà, se ci sarà, l’aiuto di Abu Dhabi? Nel 2008-09 l’emirato rischiava il default e venne salvato grazie ad un prestito del valore di 20 miliardi di dollari concesso dalla capitale che, grazie agli ingenti giacimenti petroliferi e alle cospicue risorse finanziarie, guida saldamente la federazione degli Emirati Arabi Uniti, con un forte ruolo politico ed economico. La situazione allora era circoscritta soprattutto al settore immobiliare e interessò l’indebitamento di società governative coinvolte nel business edilizio, in una delle fasi di maggior espansione dell’emirato. Stavolta l’effetto del lockdown imposto dalla pandemia è decisamente più vasto e potrebbe interessare tutte le imprese legate al governo di Dubai, quella galassia di compagnie a partecipazione governativa nota come Dubai Inc. (che comprende Dubai World, Dubai Holding, Emirates, Dubai Ports World, Jebel Ali Free Zone, Nakheel, P & O Ferries e altre).

Secondo gli esperti all’orizzonte possono prefigurarsi ristrutturazioni, ridimensionamenti, fusioni e acquisizioni e a subirne l’impatto non saranno solo semplici operai, maestranze e impiegati, ma anche contabili, manager, dirigenti. Ed è proprio l’indebitamento delle imprese a partecipazione statale che rende vulnerabile il sistema economico stesso dell’emirato. L’ipotesi di un nuovo salvataggio da parte di Abu Dhabi è un’eventualità così remota? Molto dipenderà da quanto il turismo e il commercio mondiale resteranno congelati, o fortemente sottodimensionati, e in quanto tempo il petrolio riuscirà a riprendere quota. Ma non è tutto, le forme in cui potrebbe delinearsi un salvataggio sono molteplici. Fra queste la possibile compartecipazione di Abu Dhabi ad alcune eccellenze economiche di Dubai. Vediamo insieme di quali asset dispone l’emirato e gli scenari che potrebbero prefigurarsi.  Continua a leggere

COVID19, cresce l’IVA in Arabia Saudita

A luglio l’Arabia Saudita innalzerà al 15% l’imposta sul valore aggiunto, causa COVID-19. Emirati e Bahrain restano per ora fermi al 5%. Mentre gli altri Paesi del Golfo sembrano voler rallentare il regime di transizione verso l’introduzione dell’IVA. La decisione dei sauditi arriva come una doccia fredda e rappresenta un vero choc per i consumatori che vedono improvvisamente triplicare l’imposta sul valore aggiunto a partire dal primo luglio.

Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno introdotto assieme l’IVA il primo gennaio 2018. Il Bahrain ha fatto altrettanto un anno dopo. Nel 2018 gli introiti derivanti dall’IVA sono stati 27 miliardi di AED negli Emirati. A metà novembre il regno saudita ha dichiarato di aver avuto un gettito dell’imposta sul valore aggiunto pari a 46,7 miliardi di riyal. Sono molti i settori che hanno chiesto alle autorità emiratine un periodo di sospensione dell’IVA di almeno 6 mesi, per dare una boccata d’ossigeno alle imprese, fortemente destabilizzate dalla pandemia, e consentire ai consumatori di riacquistare fiducia. Ecco perché al momento non sembra che il governo emiratino abbia intenzione di ritoccare l’IVA. Al contrario, mantenerla al 5% produrrebbe vantaggi notevoli per le imprese locali. Vediamo insieme perché l’Arabia Saudita abbia adottato questa misura e cerchiamo di capire se gli Emirati andranno in scia.  Continua a leggere