Dubai, nuovo salvataggio?

Dubai ha bisogno di un nuovo salvataggio causa COVID-19? L’emirato smentisce, ma quale forma avrà, se ci sarà, l’aiuto di Abu Dhabi? Nel 2008-09 l’emirato rischiava il default e venne salvato grazie ad un prestito del valore di 20 miliardi di dollari concesso dalla capitale che, grazie agli ingenti giacimenti petroliferi e alle cospicue risorse finanziarie, guida saldamente la federazione degli Emirati Arabi Uniti, con un forte ruolo politico ed economico. La situazione allora era circoscritta soprattutto al settore immobiliare e interessò l’indebitamento di società governative coinvolte nel business edilizio, in una delle fasi di maggior espansione dell’emirato. Stavolta l’effetto del lockdown imposto dalla pandemia è decisamente più vasto e potrebbe interessare tutte le imprese legate al governo di Dubai, quella galassia di compagnie a partecipazione governativa nota come Dubai Inc. (che comprende Dubai World, Dubai Holding, Emirates, Dubai Ports World, Jebel Ali Free Zone, Nakheel, P & O Ferries e altre).

Secondo gli esperti all’orizzonte possono prefigurarsi ristrutturazioni, ridimensionamenti, fusioni e acquisizioni e a subirne l’impatto non saranno solo semplici operai, maestranze e impiegati, ma anche contabili, manager, dirigenti. Ed è proprio l’indebitamento delle imprese a partecipazione statale che rende vulnerabile il sistema economico stesso dell’emirato. L’ipotesi di un nuovo salvataggio da parte di Abu Dhabi è un’eventualità così remota? Molto dipenderà da quanto il turismo e il commercio mondiale resteranno congelati, o fortemente sottodimensionati, e in quanto tempo il petrolio riuscirà a riprendere quota. Ma non è tutto, le forme in cui potrebbe delinearsi un salvataggio sono molteplici. Fra queste la possibile compartecipazione di Abu Dhabi ad alcune eccellenze economiche di Dubai. Vediamo insieme di quali asset dispone l’emirato e gli scenari che potrebbero prefigurarsi. 

L’indebitamento record di Dubai

Prima della crisi indotta dal coronavirus il Fondo Monetario Internazionale aveva messo in guardia Dubai il cui debito è superiore al 100% del PIL. Alcune delle imprese compartecipate dallo stato faticheranno a ripianare i propri debiti e si troveranno nei prossimi tre anni a dover restituire 21,3 miliardi di dollari, pari al 19,4% del PIL dell’emirato. Molti dei debiti delle imprese sono detenuti attraverso obbligazioni dalla Investment Corporation di Dubai, un fondo sovrano che ha tra i propri asset anche la compagnia aerea Emirates e detiene quote di Emirates NBD ed Emaar. In ogni caso secondo Moody’s una parte delle imprese compartecipate dallo stato dispone di liquidità e capacità di rinegoziazione dei propri debiti. La contrazione che l’economia di Dubai potrebbe subire entro la fine dell’anno oscilla tra il 5 e il 6%, soprattutto se le misure restrittive dovessero durare anche per tutta l’estate. Nelle ultime settimane Dubai ha preso contatti con vari istituti di credito per raccogliere liquidità attraverso l’emissione di obbligazioni. Secondo indiscrezioni potrebbero essere posti a garanzia i proventi derivanti dai pedaggi stradali.

Un salvataggio sotto mentite spoglie

Secondo la Reuters il salvataggio di Dubai da parte di Abu Dhabi stavolta potrebbe prendere la forma di fusioni e acquisizioni, anche perché gli asset di cui dispone l’emirato sono molti. Vi è più di un settore in cui i due emirati si fanno concorrenza.

L’aviazione, ad esempio, rappresenta un terreno di competizione tra il colosso Emirates ed Etihad che è in maggiore sofferenza. Nell’ambito delle attività aeroportuali e portuali, è ancora Dubai a primeggiare. A creare i legami tra le attività dei due emirati l’intervento del fondo sovrano Mubadala, che ha il compito di facilitare la diversificazione dell’economia di Abu Dhabi, gestendo 230 miliardi di dollari in attività. Se nel 2008 si è avuto solo un appannamento d’immagine per Dubai, stavolta un salvataggio sancirebbe una sorta di consolidamento forzato, destinato a ridefinire i rapporti di forza, dando alla capitale sempre più peso politico ed economico.

I gioielli che fanno gola ad Abu Dhabi

I due mercati azionari, ADX – Abu Dhabi Security Exchange e DFM – Dubai Financial Market e Nasdaq Dubai, sono tra i primi asset destinati ad una possibile fusione. Abu Dhabi entrerà gradualmente in possesso di quote di alcune delle attività strategiche di Dubai. Il settore dell’aviazione è uno di quelli in cui i due emirati sono in diretta concorrenza e che potrebbe suscitare l’interesse di Abu Dhabi. Da tempo, infatti, si rincorrono voci su una possibile fusione tra Emirates ed Etihad. L’industria del turismo e dell’intrattenimento (parchi a tema e musei), rappresentano altri ambiti in cui ipotizzare acquisizioni e fusioni. Dubai è in posizione dominante sul fronte finanziario, con il suo Dubai International Financial Centre, il più importante hub del mondo degli affari nell’intera area del Golfo. Altro fiore all’occhiello di Dubai il porto di Jebel Ali, che il Khalifa Port di Abu Dhabi cerca di insidiare, senza riuscirvi.

Il giacimento di gas di Jebel Ali

Lo scorso febbraio, a Jebel Ali, è stato rinvenuto il più grande giacimento di gas naturale mai trovato negli ultimi 15 anni e il quarto più importante al mondo. Un prezioso asset strategico per Dubai. La scoperta posiziona gli Emirati Arabi Uniti al sesto posto tra i produttori mondiali, e colma, almeno in parte, la distanza che separa l’emirato da Abu Dhabi quanto a riserve di idrocarburi. 80 trilioni di piedi cubici che affrancheranno Dubai dall’importazione di gas liquefatto entro il 2025. Una volta entrato a pieno regime lo sfruttamento del giacimento l’emirato potrebbe disporre di più gas rispetto al fabbisogno giornaliero di 1,5 miliardi di piedi cubici, attualmente importati. Una riserva dall’alto potenziale perché è un giacimento piuttosto superficiale con rilascio di gas dal bassofondo, rendendo facile e non costosa la sua estrazione. Al contrario i giacimenti di gas di cui dispone Abu Dhabi necessitano di laboriosa e costosa estrazione, essendo ricchi di acido solforico.

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