Japan Unlimited

La mostra Japan Unlimited è una finestra spalancata sul Paese del Sol Levante. Installazioni, opere, fotografie e video arte che vedono esposti, fianco a fianco, artisti giapponesi, austriaci, italiani e inglesi. Il cuore di Vienna, con il suo centro culturale e museale del MuseumsQuartier, si apre al Giappone, rendendolo così più decifrabile e vicino. Un modo per celebrare con una mostra d’arte i 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Vienna e Tokyo. Le immagini sono potenti e il continuo gioco di rimandi tra l’estetica occidentale e quella orientale contribuisce a mettere a confronto i limiti e la libertà di azione di una critica rivolta alla società contemporanea e alla politica.

Due i concetti portanti della cultura giapponese da cui si dipana tutta la mostra: tatemae, il comportamento che si basa sulle aspettative della comunità, e honne, i sentimenti che non vengono mostrati pubblicamente. Japan Unlimited si ripropone di analizzare in quale misura questi due principi giochino un ruolo nell’arte giapponese contemporanea, di come influenzino e ridisegnino le forme, condizionando il linguaggio artistico. Un percorso suggestivo, pieno di opere d’arte incisive e intrise di provocazione e senso critico, che attraverso immagini a tratti accattivanti, a tratti solo apparentemente rassicuranti, a tratti dal forte impatto visivo, mette in luce quanto l’arte debba combattere per superare i limiti imposti dalla censura.

Censura che non ha risparmiato nemmeno la mostra Japan Unlimited, almeno in Giappone, suscitando polemiche per la presenza di voci fuori dal coro, fuori dagli schemi, di artisti controversi per il proprio messaggio difficilmente imbrigliabile all’interno di una logica di contiguità al potere politico costituito. Scopriamo di più su alcuni degli artisti, tra cui due italiani che vivono tra l’Italia e l’Austria

Chim-Pom, irriverenti e provocatori

Il collettivo artistico giapponese Chim-Pom propone un’opera di video arte che si è attirata le ire del governo di Shinzo Abe e della Japan Foundation perché tocca nervi scoperti e temi di scottante attualità quali il disastro nucleare dell’impianto Daiichi di Fukushima.

Si intitola “KI-AI 100” e mostra la pratica comune nelle arti marziali di trarre energia attraverso grida di battaglia e momenti di pausa. Una tecnica che gli artisti hanno voluto utilizzare per cercare di incanalare energia positiva per la ricostruzione della città di Soma, molto vicina al luogo dell’incidente nucleare causato dallo tsunami nel 2011. Un video girato coinvolgendo alcuni giovani della città, che gridano assieme ai Chim-Pom anche frasi incongrue. Parole come radioattività e Fukushima vengono cancellate dagli artisti, diventando così tabù, parole sulle quali la censura esercita la sua azione direttamente e indirettamente, trasformando il loro lavoro in una riflessione sul nostro tempo e sulla nostra società contemporanea.

Nell’altro loro lavoro esposto “PIKA!”, i Chim-Pom hanno fatto volare sopra il Memoriale della Pace di Hiroshima un piccolo aeroplano che con la scia lasciata dai fumi di scarico compone la scritta Pika, che vuol dire lampo ed ha un’onomatopea che indica anche la bomba atomica. Un lavoro di denuncia, attraverso il quale il collettivo artistico giapponese intende schierarsi contro la bomba atomica, la guerra, e per ricordare il dramma dell’esplosione nucleare del 1945. Un’opera che però ha urtato la suscettibilità dei sopravvissuti di Hiroshima che l’hanno interpretata come una mancanza di rispetto per il proprio dolore.

A Japan Unlimited questa opera di video arte viene proposta in versione auto-censurata, ovvero che mostra il monumento senza il cielo e quindi senza aeroplano, e in versione integrale con questo anti-monumento che sorvola il Memoriale. 

Gianmaria Gava, oltre la fotografia

“Hiroito’s New Clothes” è un’opera di Gianmaria Gava, fotografo e artista italiano che da tempo vive a Vienna.

L’immagine dell’imperatore Hiroito scattata nel 1943 da un fotografo sconosciuto mentre si trovava a bordo di una nave da battaglia della marina imperiale alla base navale di Yokosuka, viene lavorata da Gava in modo da ritagliare e far sparire l’immagine dell’imperatore sostituendola con quella dello sfondo, ovvero l’ingrandimento di uno degli armamenti di cui è dotata la nave, un bocca di fuoco, un enorme cannone.

Lo sfondo assurge in primo piano, diventando il soggetto della fotografia. Lo statement dell’artista è piuttosto critico: l’imperatore Hiroito era il capo delle forze armate e il suo ruolo non è stato solo di facciata, ma ha influito soprattutto sulla partecipazione del Giappone alla seconda guerra mondiale. Nel suo lavoro Gava considera le vicende belliche del Giappone, partendo dalla seconda guerra sino-giapponese fino ad arrivare al secondo conflitto mondiale. Con una manipolazione digitale la figura dell’imperatore da un lato scompare, perché diventa sfondo, diventando parte della grandissima nave da guerra, ma dall’altra questa assenza rende questa figura ancor più presente.

Una presenza nell’assenza, anzi sottolineata dall’assenza. La centralità dell’imperatore, collocato nel mezzo della foto di gruppo con tutti gli alti ufficiali della marina, è un po’ ambigua, come lo è il suo ruolo storico. Con la sua opera Gianmaria Gava aumenta gli interrogativi e i dubbi sulla figura di Hiroito. La tecnica usata dall’artista è quella dell’offset, un filtro che mescola i livelli, con il primo piano e lo sfondo che si sostituiscono l’uno all’altro, sovvertendo la messa a fuoco. 

Hana Usui, astrattismo di denuncia

L’installazione di Hana Usui è di grande suggestione. Si intitola “Elf Meter” e fa parte del ciclo “Death Penalty in Japan”. Si compone di quattro strisce di carta larghe 3 centimetri e lunghe 11 metri, come sottolineato dal titolo dell’opera, che sarebbe lo spessore e la lunghezza della corda adoperata per eseguire una sentenza capitale per impiccagione in Giappone. Queste strisce di carta sono state intinte nell’inchiostro e poi attorcigliate fino a formare delle figure, delle sculture, di persone giustiziate con pena capitale. Una di queste figure ricorda Norio Nagayama, diventato poi famoso come scrittore, condannato a morte e rinchiuso in prigione ancora minorenne, condannato alla pena capitale dopo 10 anni, e morto per impiccagione circa 30 anni dopo.

Le forme non sono mai scioccanti e l’estetica della Usui si rifa sempre all’eleganza dell’arte calligrafica giapponese e all’estetica minimalista orientale. Tortura nella tortura i condannati a morte vengono avvisati al mattino alle 9:00 che saranno giustiziati. L’artista si schiera anche contro questa crudeltà ai danni dei condannati. Alle pareti campeggiano immagini apparentemente rassicuranti, che sembrano bellissime composizioni astratte, ma che invece denunciano ancora la pena di morte.

Sono scatti stampati in bianco e nero che mostrano un centro di detenzione di Tokyo, in cui viene rinchiuso chi è ancora in attesa di giudizio e chi è in attesa dell’esecuzione della pena capitale. Un edificio con un bellissimo parco attorno. In genere la Usui utilizza una tecnica monotipica, sottoposta a slavature di china, stavolta si serve delle fotografie e di questi rimandi astratti al centro di detenzione. 

Ryts Monet e la sua lunga ricerca

Una statua della libertà scovata ad Ishinomaki, una cittadina giapponese distrutta dallo tsunami. Un simbolo dell’illuminismo che l’artista, Ryts Monet, sostituisce con la grande dea shintoista kami Amaterasu, dea portatrice della luce, che simboleggia anche il sole, e progenitrice dell’imperatore.

Un’ambivalenza tra la Lady Liberty, l’America, con la fiaccola rossa che rimanda alla bandiera del Giappone, con il sole nascente, e quindi ad Amaterasu. Dopo lo tsunami che ha distrutto anche la statua, vediamo quel che resta di Amaterasu sorretta da un palo, con il suo sostegno messo a nudo, è la metafora di un Giappone vinto dagli Stati Uniti.

Il nesso è con il discorso dell’imperatore Hiroito, che dopo la resa incondizionata, viene costretto a negare la propria divinità in un discorso molto sfumato in giapponese e in modo più esplicito in inglese.

Come nasce la mostra Japan Unlimited

Tutto nasce da un’idea del curatore Marcello Farabegoli. Italiano ma legatissimo al Giappone.

Farabegoli ha diretto per vari anni una galleria d’arte giapponese a Berlino.

I legami di Farabegoli con arte e diplomazia si sono inoltre consolidati anche negli anni di collaborazione e consulenza artistica, con organizzazione di mostre per l’Ambasciata d’Italia a Vienna, incarico affidatogli dall’allora Ambasciatore Giorgio Marrapodi.

Uno dei quesiti ai quali la mostra intende rispondere è: l’arte per sopravvivere deve essere diplomatica? E ancora, c’è il rischio che l’artista strumentalizzi gli scandali per farsi notare?

Per trovare le risposte c’è un solo modo, andare a vedere la mostra Japan Unlimited al MuseumsQuartier di Vienna, prima del 24 novembre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *