Burkaverbot, no al velo integrale

A ridosso della festa della donna in Austria è acceso il dibattito sul velo islamico integrale, il niqab. Ancor più, dopo l’approvazione della legge sull’integrazione, Integrationsgesetz, che ne prevede il bando da tutti gli spazi pubblici. Viene definito Burkaverbot e vieta di fatto la copertura integrale del volto, sia che avvenga con il niqab, o con il burqa. Per chi non rispetti tale norma sono previste multe di 150 euro. Un tema molto controverso, che ha visto scendere in piazza a Vienna oltre 2.000 persone appena un mese fa, in segno di protesta contro il provvedimento del governo federale. Una manifestazione alla quale hanno partecipato soprattutto donne musulmane. Secondo avvocati ed esperti austriaci il divieto contenuto nella legge sarebbe un provvedimento non necessario, discriminatorio e sproporzionato. Per la Camera di Commercio austriaca esiste il rischio che le donne con indosso il niqab vengano definitivamente isolate ed escluse dal consesso pubblico, relegandole ai margini della società. Andare a fare acquisti, recarsi negli uffici pubblici, effettuare una visita medica, accompagnare i figli a scuola, tutto nella quotidianità diventa impraticabile per quelle donne che indossano il velo islamico integrale in Austria. Queste sono solo alcune delle attività che le donne svolgono in pubblico. Forse lavorare, o sedersi in un bar per un caffè non rientra tra ciò che è consentito alle donne musulmane? È la provocazione lanciata da Ibrahim Olgun, Presidente dell’IGGÖ Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich (la Comunità di Fede Islamica in Austria). Olgun è contrario al Burkaverbot e non vede miglioramenti nella comunicazione se queste stesse donne non portassero il velo islamico integrale. Però la donna coperta integralmente da niqab o burqa è davvero l’immagine femminile che vuol dare la comunità islamica austriaca?

Un dibattito molto sentito, che agita l’opinione pubblica e si è riverberato anche sulla stampa austriaca, proprio in occasione dell’8 marzo. “È una condanna a restare invisibili -mi dice Carla Amina Baghajati, Rappresentante delle Donne dell’IGGIÖ, Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich– Per le donne che indossino il velo islamico integrale vi sono forti limitazioni, sia nella vita professionale, sia nella sfera pubblica della loro esistenza”. Anche se la Baghajati non nutre simpatia per il niqab, non ne approva il bando. Hijab e niqab sono capi di abbigliamento che, per alcune donne, diventano parte integrante della pratica religiosa. Tuttavia non sono un comandamento imposto dalla religione. Per Carla Amina Baghajati c’è il rischio di far fare alle donne musulmane enormi passi indietro. In Francia le donne che indossano niqab o burqa sono diventate eroine, i loro uomini pagano le multe volentieri, e sempre più esse rappresentano l’immagine dell’ideologia radicale. Questo bando contenuto nella legge sull’integrazione “contribuisce a diffondere un clima di paura e sospetto nei confronti dei musulmani -puntualizza la Baghajati- Alimentando reazioni populiste che prosperano su queste emozioni e aprendo la strada a un’ulteriore polarizzazione della società”. 

 

L’hijab e la neutralità dello stato

Ma c’è di più. All’interno dell’Integrationsgesetz, la legge sull’integrazione, per poliziotti, giudici, magistrati è previsto il divieto di simboli religiosi. A questi dipendenti della pubblica amministrazione, in nome della neutralità dello stato, non è consentito indossare neanche l’hijab, il foulard che copre solo collo e spalle, ma lascia visibile il volto. L’applicazione di tale norma, però, non sembra essere immediata, ma inciderà in un futuro prossimo. La multiculturalità e le mille sfumature di una società cosmopolita secondo Carla Amina Baghajti vanno salvaguardate perché “l’idea della neutralità dello stato significa che non vi siano interferenze con il credo personale dei cittadini, vuol dire assicurare una società pluralistica, nella quale ogni individuo abbia il diritto di professare la religione che crede e possa godere della libertà di espressione”. Chi opera nei settori pubblici dovrebbe riflettere questa idea di pluralità che permea la società contemporanea. “A costoro dovrebbe essere garantito che nessuno ne forzi le scelte in nome della legge -mi spiega la Baghajati- L’insieme di norme e leggi crea un’impalcatura sulla quale si fonda la neutralità dello stato e sotto questa architettura i cittadini possono mantenere la propria individualità”. Ecco perché per la Baghajati si può dire che un’entità astratta come lo stato sia neutrale, ma che tale categoria non sia applicabile al singolo individuo. “Coloro che svolgono un servizio pubblico sono chiamati ad applicare e far rispettare la legge. È possibile che il Ministro Kurz pensi davvero che le donne musulmane non siano adeguate a far ciò se indossano il velo?” rilancia la Baghajati.

Velo islamico e discriminazione sul lavoro

Un paio di mesi fa il quotidiano Der Standard ha pubblicato un’inchiesta su quanto le donne con indosso l’hijab, il velo che lascia scoperto il volto, siano discriminate sul lavoro sia in Germania, sia in Austria. Sono pochissime le chance offerte a donne con nome e cognome musulmano che alleghino una foto con l’hijab. Nella vita reale, però, non sono solo aziende o datori di lavoro a discriminare, ma anche colleghi e clienti, nel caso di contatti diretti con il pubblico.

“Sfortunatamente le donne musulmane incontrano molti ostacoli sul mercato del lavoro -mi racconta Carla Amina Baghajti– Dal 2004 la discriminazione religiosa è proibita nell’ambiente lavorativo, secondo le linee guida dell’Ue. Eppure questa legge ha un impatto quasi irrisorio nella vita reale e le donne che indossano il velo molto spesso vengono scartate”. Esistono però giovani musulmane, immigrate di seconda, o terza generazione, con ottima preparazione professionale che proprio per colpa dell’hijab si vedono preclusa ogni possibilità di emergere professionalmente. Stanno per avvicinarsi al mondo del lavoro, e malgrado il loro livello di istruzione e specializzazione sia elevato, non avranno opportunità e spazio. “Potrebbero diventare un modello da imitare, potrebbero spazzare via vecchi cliché e pregiudizi -mi dice la Baghajati- Potrebbero costruire un’immagine diversa delle donne musulmane, come portatrici di istanze pluralistiche, creatrici di coesione sociale e di proficuo lavoro di squadra”. 

È vera integrazione?

Il crocifisso nelle scuole e nelle aule di giustizia rimarrà, come ha più volte dichiarato il Ministro degli Esteri e dell’Integrazione Sebastian Kurz. Molti però si chiedono perché solo il velo islamico rientri tra quei simboli esteriori da eliminare. Perché, insomma, ci si concentri solo sui musulmani e non ad esempio sui simboli del cristianesimo. “Sembra quasi di voler tornare ai tempi della monarchia asburgica, quando ci si voleva assicurare della supremazia del cattolicesimo -racconta Carla Amina Baghajati– Questo va contro il principio di uguaglianza!”. Dal 1912 l’Islam fa parte delle religioni ufficialmente riconosciute in Austria. Un principio rinnovato e sancito anche con una legge nel 2015, che assicura ai musulmani il diritto di professare il proprio credo religioso. “Ecco perché questa legge sull’integrazione è uno sviluppo che porta conseguenze molto negative a livello nazionale -dice la Baghajati- E minaccia la reputazione dell’Austria, di Paese capace di gestire in modo positivo l’integrazione dell’Islam”. 

Bando del velo integrale e turismo

Il settore turistico teme che il Burkaverbot, il bando del velo islamico integrale, possa avere un impatto profondamente negativo sul turismo austriaco. Gli operatori turistici ritengono che questa norma della legge sull’integrazione danneggi l’immagine dell’Austria e possa determinare una flessione nelle presenze di turisti provenienti dai Paesi del Golfo e dal Medio Oriente. Se i turisti dei Paesi arabi non si sentiranno più a proprio agio, dicono alcuni manager di catene alberghiere, potrebbero scegliere altre mete invece dell’Austria. Negli ultimi anni è cresciuto sensibilmente il numero di turisti arabi, non solo negli hotel delle grandi città austriache, ma anche e soprattutto nei resort di lusso di località montane, tanto che sempre più esiste personale che parla la lingua araba e nei menù vengono inseriti piatti arabi. Al di là dei 150 euro di multa, rappresenta un vero deterrente per i turisti provenienti dal mondo arabo il fatto che per quelle donne che rifiutino di togliersi il velo integrale possa esserci come conseguenza anche quella di essere condotte in una centrale di polizia.

Una risposta a “Burkaverbot, no al velo integrale

  1. Fanno benissimo in questo momento di grandi atti di terrorismo bisogna vederci chiaro ,tutta devono essere identificabili e non gli va bene tornassero nei loro dov’è questa pratica è normalità

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